Geopolitica

L’urgenza democratica impone una disobbedienza civile

29 Giugno 2015

Sono giorni caldi in Europa e il Mediterraneo ribolle. La crisi greca, che è in realtà una crisi europea che a sua volta cela una crisi democratica globale, ci sta raccontando una storia vecchia, quella che riguarda dei debitori e dei creditori, ma anche la storia di alcuni diritti inamovibili e di molti doveri pretestuosamente pretesi.

La democrazia non è mai così democratica come quando viene messa a dura prova, il problema al solito sono i rischi. E i rischi sono un totale svuotamento dell’impianto democratico o peggio ancor un suo slittamento verso lidi autoritari e dittatoriali, ma oltre ai rischi ci sono anche delle prospettive e delle possibilità  che come interstizi rappresentano lo spazio da farsi: il pertugio dentro cui provare a infilare mani e piedi.

Forzare la democrazia divene così l’unico modo possibile per agevolarla e difficilmente questo avviene per mano di governi (seppur democraticamente eletti) che in genere alimentano il sistema e le sue consuetudini, gestendo il sistema con più o meno abilità, con più o meno buon senso. Nel caso della Grecia, nel caso specifico, non ci pare invece che il governo greco sia particolarmente dotato di buon senso, e per fortuna. Tsipras agisce sul rischio, ma soprattutto si muove per destabilizzare conscio che non potrebbe fare altrimenti.

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Il governo greco è nato da una forte spinta popolare di cambiamento e contemporaneamente con la consapevolezza che proprio per la crisi economica non ha la possibilità di detenere nessun potere reale se non quello dato dall consenso popolare. Un percorso di buon senso avrebbe dovuto portare Tsipras a gestire le richieste europee in chiave interna facendo digerire al proprio popolo le sanzioni (questo in realtà sono) che l’Europa e il FMI vogliono imporre. Tale percorso avrebbe portato ad una repentina perdita di consenso popolare e ad un aumento bilanciato di potere contrattuale, tuttavia l’esperienza greca ha visto recentemente una successione di governi impressionanti e  tutti falcidiati dalle riforme imposte loro dai creditori. Evidentemente il presunto potere contrattuale non viene da parecchio tempo ceduto a nessun governo greco e rimane saldamente nelle mani delle cancellerie europee e dei potentati economici (come si sarebbe detto un tempo).

La scelta di Tsipras a questo punto è apparsa obbligata: abbandonare il buon senso e percorrere il rischio, ossia farsi carico obbligatoriamente di un’esigenza democratica che mai negli ultimi cinquant’anni si era posta in maniera così urgente in Europa. Il referendum non è che l’inizio di un percorso che se sarà, sarà lungo e complicato verso una piena restituzione di legittimità al governo greco al di là delle ovvie e codine questioni di chi sia e dove stia la colpa di tutto ciò: ora è con questa situazione che bisogna fare i conti, non con quanto è stato e con chi è stato.

“Non accettare la realtà così come ci si presenta vuol dire contribuire alla sua liberazione. La sfida, il paradosso, sono quelli di credere nell’indispensabilità della rivolta anche senza aver fiducia nella possibilità di vincere: perché lo si deve, perché è bene ed è giusto che non si accetti, del mondo, quel che non va accettato – che è sempre e comunque violenza” scrive Goffredo Fofi in un prezioso libretto Elogio della disobbedienza civile (nottetempo, 2015) che è quasi un vademecum per capire quanto la situazione europea ci riguardi e quanto sia necessario affrontarla – diciamo così – eticamente.

Già perché il confine tra idealismo e realtà non pare avere oggi più fiato: ci siamo dentro in pieno e chiunque abbia a cuore un ideale democratico che direttamente – senza grandi complicate cinghie di trasmissione – incida nella nostra quotidianità, vi si trova coinvolto. In alternativa ad incidere come già vediamo saranno altre regole, altre esigenze e ben altre priorità. Goffredo Fofi in poco meno di cento pagine compie un percorso articolato tra Henry David Thoreau, Hannah Arendt, Mahatma Gandhi e Gunther Anders. La linea è quella tracciata da Capitini e seguita da Danilo Dolci: una disobbedienza attiva e civile che superi la dicotomia tra violenza e non violenza e che individui dove la violenza nasce e si genera, combattendola e infine isolandola. Un libro utile e lucidissimo che racconta meglio di ogni cronaca o approfondimento di carattere politico ed economico quale sia l’urgenza in corso.

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Goffredo Fofi ci scrive in qualche modo dal secolo scorso, lo fa con il carico esperienziale di un uomo del Novecento, ma la sua visione s’impone sia per sguardo e per pragmatismo ai nostri giorni con la forza di una critica mai china ai paradigmi alla moda. Definire, criticare e analizzare: Fofi usa in maniera dotta e raffinata gli strumenti classici senza alcun compiacimento, ma restituire un quadro preciso della situazione attuale. Il suo libro è uno strumento che smonta e permette di riparare, un libro utile e qundi necessario che fa dell’esperienza e dell’uso una forma di apprendimento che ognuno può verificare e a cui ognuno è chiamato.

Tsipras con il semplice statuto del referendum promuove così una forma di disobbedienza civile che chiama all’appello tutto il popolo greco e anche quello europeo, perché se non è del tutto vero che se la Grecia fallisce anche tutta l’Europa fallisce è invece abbastanza credibile che se la politica o almeno la visione di Tsipras fallisce allora a fallire sarà anche la visione di Europa che prese forma con il manifesto di Ventotene per mano di Manlio Rossi Doria, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli, Vittorio Foa e Ursula Hirschmann. L’urgenza non chiede pazienza, ma – come ricorda sempre Goffredo Fofi citando Albert Camus da L’uomo in rivolta – impazienza. “È con l’impazienza che comincia un movimento che può estendersi a tutto ciò che veniva precedentemente accettato”. Il filo è sospeso nel vuoto, ma non resta che attraversarlo, con attenzione, grazia ed equilibrio.

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