Geopolitica
L’Ucraina attacca a sorpresa in territorio russo a Kursk. In Italia si ciancia
Nella prima settimana di Agosto la guerra in Ucraina ha conosciuto un nuovo e inatteso sviluppo, con l’offensiva dell’esercito di Kiev che ha interessato il territorio dell’oblast di Kursk, all’interno dei confini della Federazione Russa. Le truppe ucraine, con un’operazione caratterizzata da notevole sorpresa, rapidità ed efficacia, hanno travolto le deboli difese di Mosca al confine e si sono spinte, in alcuni casi, per diverse decine di chilometri all’interno del territorio russo, distruggendo o catturando basi militari, depositi di munizioni e intere unità nemiche. Le azioni di sfondamento e le puntate in profondità finalizzate a generare il panico e lo scompiglio tra i russi sono state affidate ad alcune tra le unità più esperte e preparate delle forze armate ucraine, completamente meccanizzate e capaci di muoversi e colpire velocemente, mentre altri reparti di fanteria sono intervenuti successivamente per occupare i villaggi e prendere stabile possesso delle aree conquistate. La reazione russa si è manifestata con totale impreparazione e disorganizzazione, sfociata in alcuni casi nel panico. Con chiara evidenza, non solo l’attacco non era stato previsto dall’intelligence e dalla ricognizione, ma l’esercito russo ha dimostrato ulteriormente debolezza e carenze organizzative, dato che, una volta superato il velo delle guardie al confine, gli ucraini hanno fatto praticamente il comodo loro per alcuni giorni, senza incontrare nessun tipo di resistenza o quasi. Allo stato attuale, sono circa una settantina i centri urbani in mano agli uomini di Zelenskj, e Mosca ha dovuto mettere in atto un piano di evacuazione che ha coinvolto circa 120 mila persone, che si sono ritrovate improvvisamente la guerra in casa, mentre le autorità civili non mancavano di lamentare la situazione del proprio territorio invaso di fronte allo stesso Putin.
Il governo di Kiev, comprensibilmente, per alcuni giorni ha mantenuto totale riserbo su un azione per la quale il fattore sorpresa è stato determinante, e tuttora continua a non esplicitarne chiaramente gli obiettivi. Gli analisti stimano che le forze impiegate siano solo dell’ordine di alcune migliaia, anche se in buona parte di alto valore militare. Troppo poco, però, per pensare ad una controffensiva di ampio respiro, che possa aprire un vero e proprio nuovo fronte all’interno dei confini di Mosca. Ad ogni modo, un’azione di questo tipo, preparata nei dettagli ed eseguita con grande efficacia e determinazione, non può che rispondere a chiari obiettivi tattici, operativi e strategici, che possono essere anche molteplici e di diversa natura. Certamente, irrompere nell’oblast di Kursk è stato un modo per neutralizzare le postazioni da cui i russi continuamente bombardavano la regione di Sumy, e allentare la pressione su di essa. Non sfugge, poi, a molti esperti militari, come la conquista della cittadina di Sudza abbia posto nelle mani degli ucraini un importante centro logistico di distribuzione del gas russo destinato all’Europa orientale, e come nella regione, anche se diverse decine di chilometri più a nord, vi sia l’importante centrale nucleare di Kurcatov-Kursk. Tuttavia, il principale obiettivo perseguito dai vertici ucraini, è, con molta probabilità, costringere il ridispiegamento di importanti forze russe a difesa del territorio invaso, distogliendole in tal modo dal teatro del Donbass, dove l’offensiva di Mosca, in corso da quasi quattro mesi, si sta ora avvicinando a raggiungere risultati importanti, quali l’occupazione di Pokrovsk e Kostantinivka, centri cruciali nel sistema difensivo di Kiev. In tal senso, l’azione ucraina non dovrebbe portare all’occupazione nel lungo periodo, ma, come spiega Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) all’Huffpost, l’obiettivo è “puntare sulla mobilità della catena di comando ucraino per avanzare fino a un certo punto e forzare le truppe russe a ricollocarsi sul fronte interno e poi ritirarsi in modo ordinato”, sfruttando anche linee di manovra interne al fronte, notevolmente più brevi rispetto alla controparte. Non si può nascondere che questo tipo di operazione comporti rischi di fallimento, qualora, ad esempio, i russi riescano a farvi fronte senza spostare grandi quantità di truppe dal Donbass, come spiega l’analista storico-militare Mirko Campochiari, di Parabellum, oppure nel caso le forze ucraine, composte da alcune delle loro migliori unità, vengano annientate o fatte prigioniere, e vengano quindi sottratte ai futuri combattimenti per il suolo nazionale. Per il momento, comunque, la reazione russa sembra continuare ad essere condotta con lentezza di manovra, alla quale peraltro Mosca ci ha abituato in questo conflitto.
Non vanno nemmeno sottovalutate, inoltre, altre implicazioni politico-strategiche dell’offensiva in corso. Dal punto di vista del morale di soldati e popolazione, l’attacco all’oblast di Kursk rappresenta un segnale di rinnovata vitalità delle forze armate guidate ora dal Generale Alexander Syrsky, che si dimostrano capaci nuovamente di prendere l’iniziativa. Non poca cosa, per un esercito da molti considerato destinato solo a tentare disperatamente di difendere porzioni del proprio territorio di fronte all’avanzata di Mosca. Lo sconcerto e lo scompiglio provocato all’interno delle linee russe sono invece la conseguenza di aver portato loro la guerra in casa, per la prima volta con un’offensiva strutturata e non solo sporadica, come avvenuto in passato ad opera apparentemente di milizie di ribelli russi, o con episodici attacchi con droni. Mostrare la disorganizzazione e la debolezza dell’esercito russo di fronte al mondo è stato un altro risultato ottenuto da questi dieci giorni di invasione, e tale evento avviene a due anni e mezzo dall’inizio del conflitto, quando si pensava che Putin fosse stato ormai capace di risolvere, almeno in buona parte, le enormi carenze organizzative e di preparazione rivelate nei primi mesi di guerra. L’impreparazione e la sostanziale incapacità di reazione di Mosca dovrebbe fungere anche da incoraggiamento verso i partner occidentali, spesso timorosi di oltrepassare presunte linee rosse nel supporto a Kiev, le quali poi si svelano di una tonalità alquanto sbiadita. Secondo qualche commentatore un’eventuale invasione del territorio nazionale russo avrebbe comportato l’utilizzo dell’Atomica, magari tattica, per fermare le forza avanzanti. Nulla di tutto questo, almeno fino ad ora, per quanto sembri configurarsi inutile e pure autolesionista utilizzare una simile arma all’interno del proprio territorio su forze che non sono neppure dispiegate in elevate concentrazioni. Anche l’eventualità che il Cremlino possa utilizzare il pretesto dell’invasione per avviare una mobilitazione di massa non sembra particolarmente probabile, poiché l’impressione è che a Mosca non abbiano fino ad ora deciso un tale passo per chiare motivazioni di consenso politico interno, che continuano a rimanere valide. Infine, non può essere esclusa l’intenzione di difendere e addirittura incrementare le aree occupate, al fine di utilizzarle come merce di scambio a ipotetici futuri negoziati di pace, per recuperare la sovranità su province ucraine passate sotto il controllo russo. Ipotesi di non facile attuazione, anche se molto dipenderà dal tipo di risposta che sapranno imbastire i comandi sotto la guida del Generale Gerasimov. La controffensiva di agosto sembra quindi segnare un nuovo capitolo di questo tragico conflitto, che pur difficilmente cambierà le sorti della guerra, e ancor più difficilmente porterà ad un’avanzata in profondità negli oblast della Federazione Russa. Tuttavia, se anche solo sarà in grado di determinare un ritardo o un rallentamento nell’offensiva russa in Donbass, a causa di uno spostamento di unità militari a difesa di Kursk, avrà prodotto un risultato importante. Nella speranza che il rischio di sguarnire il fronte principale sia stato calcolato correttamente dai vertici ucraini.
Quel che accade sui fronti in Ucraina non può essere naturalmente slegato da un contesto internazionale che vede sempre Kiev dipendere dal sostegno e dalle forniture di materiale bellico da parte dell’Occidente. A tal proposito ha avuto un certo risalto l’iniziale posizione di Washington, la quale si dichiarava non a conoscenza dei piani ucraini, sebbene, di fronte al procedere con successo dell’operazione, non ha fatto poi mancare il sostegno. L’appoggio diplomatico è stato invece subito espresso dall’UE, tramite il portavoce dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera, Josep Borrell, che ha ricordato come l’Ucraina abbia il diritto di difendersi in ogni modo, anche colpendo l’aggressore entro il suo territorio. Una presa di posizione, questa dell’UE, che ha per il momento occultato le divergenze di opinione tra gli stati membri, i quali, complice l’agosto inoltrato, hanno evitato di prendere troppe posizioni ufficiali sull’avanzata. Una nota particolare, tuttavia, merita il dibattito sul tema sorto in Italia, animato inizialmente dal Fatto Quotidiano del direttore Marco Travaglio, spintosi fino a mettere sullo stesso piano l’invasione russa di due anni fa e la limitata controffensiva ucraina di oggi a Kursk. Sullo stesso quotidiano, non ha mancato di esprimersi un costituzionalista di chiara fama come Michele Ainis, il quale ha provocatoriamente invitato il nostro governo a rifornire di armi la Russia aggredita (sic!), richiamando la necessità per il nostro paese di rispettare il pluricitato articolo 11 della Costituzione, che, nella sua interpretazione, dovrebbe impedire il sostegno con fornitura di mezzi militari a Kiev. Non è difficile osservare come rimanga preminente in Italia un approccio legalistico alle relazioni internazionali, che nasconde talvolta un retropensiero ideologico, ostile a tutto ciò che può essere identificato con l’ampio concetto di Occidente. Stupisce però che certi ragionamenti in punta di diritto dimentichino come il diritto internazionale conferisca ampia facoltà ad uno stato aggredito di rispondere militarmente al suo invasore, anche sul suo territorio, al fine di far cessare l’aggressione, e che il nostro articolo 11 cost. riporti, dopo le parole “L’Italia ripudia la guerra”, la precisazione “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Sollecitato a prendere posizione, anche il governo Meloni, per bocca dei ministri Tajani e Crosetto, non ha dato particolare manifestazione di sostegno e approvazione all’iniziativa dell’esercito ucraino, al quale non permette l’utilizzo dei mezzi militari forniti dal nostro paese in operazioni sul suolo russo. Addirittura, il nostro Ministro della Difesa, a Radio Anch’io di venerdì 9 agosto, è giunto, non diversamente da Ainis, a paragonare l’attacco su Kursk con l’aggressione russa all’Ucraina, rendendosi protagonista poi di una piccata polemica in risposta ad un editoriale di Paolo Mieli sul Corriere della Sera, che faceva notare l’ambiguità di certe posizioni governative sul conflitto. Polemiche parzialmente rientrate dopo la solita rettifica di posizionamento fatta filtrare dalle voci su una telefonata chiarificatrice di Giorgia Meloni allo stesso Crosetto, con riaffermazione, almeno a parole, del sostegno a Kiev.
Che sia la necessità di assecondare i timori sulla guerra dell’opinione pubblica, sempre ben stimolati dalla allarmistica stampa italiana (qualche giorno fa praticamente tutti i media italiani si sono sbizzarriti ad arricchire gli incubi degli italiani con dettagliate e truculente descrizioni di una apparente nuova “super-arma” russa, la bomba termobarica – iperbarica per qualcuno –, la quale per Repubblica avrebbe fermato l’offensiva. Trattasi invece di un’arma, sì potente, ma usata dai russi fin dagli anni ottanta, che non è certo risolutiva e il cui utilizzo durante i combattimenti nell’oblast di Kursk non è confermato da nessuno che non sia il governo russo), o di non andare contro ad un certo sentiment simpatetico verso Putin diffuso nell’elettorato della destra italiana, oppure ancora il perseguimento di una strategia di riposizionamento in vista di una possibile vittoria di Donald Trump a novembre, il nostro paese continua ad esprimersi con voce parzialmente dissonante rispetto ai partner occidentali, e non propriamente ferma a sostegno dell’Ucraina invasa. Se poi ci si allarga a valutare le posizioni espresse dalle opposizioni, ci si rende conto come, anche qui, i distinguo continuino a prevalere sul sostegno, anche solo verbale, agli aggrediti, come dimostrano le dichiarazioni dei leader di AVS e M5S e pure di importanti esponenti del PD. Niente di nuovo, verrebbe da dire, sotto il sole del circo politico-mediatico di casa nostra, che, tra una polemica sugli ombrelloni e una sulle disfunzioni ormonali di qualche atleta impegnata alle Olimpiadi, mostra gradi di virulenza e retorica inversamente proporzionali all’importanza del nostro ruolo nello scenario internazionale. Del resto, in altri luoghi del mondo si è protagonisti della Storia, a noi (anche se non siamo gli unici) piace cianciare.
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