Geopolitica
L’odore di morte ad Aleppo che ha seppellito l’umanità
«Ho sentito l’odore di morte in ogni posto». Sono le parole di un cittadino di Aleppo, in Siria, che ha raccontato la sua esperienza ad Amnesty International. Morte è la parola che attraversa la testa di ogni siriano, ancora di più se residente di Aleppo, un tempo seconda città siriana più importante e ora campo di battaglia di una guerra civile interminabile. Il grande massacro del terzo millennio che scorre come un rumore di sottofondo per noi occidentali dall’indignazione a geometria variabile. Per il popolo siriano non c’è alcuna mobilitazione dell’opinione pubblica europea né tantomeno statunitense. Niente. Sul piano diplomatico c’è solo il lavoro dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, che comunque non gode di un grande supporto dei governi.
«Le strade sono piene di sangue. E le persone uccise non sono combattenti», ha raccontato un testimone. Le persone uccise infatti sono i civili di Aleppo. Migliaia di innocenti vittime di atrocità che sono «crimini di guerra». Come se non bastasse, i dati diffusi dall’emittente Al Jazeera parlano di 235mila persone a cui è negato, in maniera intenzionale, l’accesso a cibo, acqua e medicinali. Le fazioni che si stanno combattendo, quindi, usano le vite umane come pedine da muovere nel conflitto.
«È diventata routine la presenza di un elicottero sopra di noi. Così ho smesso di guardare in alto», ha detto lo stesso cittadino della citazione riportata a inizio articolo. Ad Aleppo, insomma, la presenza della morte è costante ed è sopra le teste delle persone. La vita ha perso qualsiasi importanza: può terminare da un momento all’altro. Ed è molto esplicativa la foto della bambina talmente terrorizzata da scambiare la macchina fotografica per un’arma: alza le mani in segno di resa dinanzi a un obbiettivo. Ciononostante la Siria resta un rumore di sottofondo per noi occidentali.
«La comunità internazionale ha voltato le spalle ai civili di Aleppo schermata dietro l’indifferenza», ha dichiarato Philip Luther di Amnesty International. Parole che non necessitano di ulteriori spiegazioni. L’organizzazione non governativa ha stilato un approfondito rapporto, pubblicato nei giorni scorsi, che ha esaminato il periodo da gennaio 2014 a marzo 2015 ad Aleppo. Con una conclusione incontrovertibile: «I civili di Aleppo stanno soffrendo atrocità impensabili». Le famigerate barrel bombs, bombe a barili (la foto qui sotto ne spiega il funzionamento), sono atroci strumenti di morte: durante l’esplosione lanciano schegge, frammenti di chiodi, ferro ed esplosivi che colpiscono in maniera indiscriminata la zona circostante.
Dopo la descrizioni dei brutali mezzi usati in guerra , ecco alcuni numeri più agghiaccianti presenti nel dossier:
Le forze governative hanno lanciato attacchi continui con barrel bombs e altre armi imprecisate su aree popolate di civili – tra cui almeno 14 mercati pubblici, 12 snodi di trasporto, 23 moschee – e su obiettivi civili, tra cui almeno 17 ospedali e centri medici e 3 scuole. […] Altri gruppi di monitoraggio di Amnesty International hanno documentato attacchi da parte dei gruppi armati dell’opposizione nei quartieri residenziali delle aree controllate dal governo. Questi attacchi sono stati realizzati con armi esplosive, come mortai, che non dovrebbero mai essere usate in prossimità della presenza di civili. Data la natura delle armi utilizzati, molte di queste azioni sono state probabilmente deliberati attacchi contro civili.
In questo articolo ho cercato di riportare storie e citazioni di persone sul posto. Per ricordare che la disumanità di Aleppo si dispiega nell’orrore e con la conta di migliaia di vittime, il cui numero esatto resterà un mistero a lungo, sia nella seconda città più importante della Siria che in tutto il Paese. Perché, temo, che la realtà sia anche peggiore rispetto alle terribili testimonianze che sono state rese. Per questo serve uno sforzo sovrumano per recuperare l’umanità perduta. E impegnarsi con tenacia alla cessazione di questo «girone infernale».
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