Geopolitica
L’Italia è una colonia britannica? L’intervista a Giovanni Fasanella
Tra il “Dio stramaledica gli inglesi” di Mario Appelius e il “God Save The Queen” dei Sex Pistols passano circa una trentina d’anni, tre decenni di passioni, di lotte, di ottima musica, di supremazie e di sottomissioni, di amicizie interessate, di riprese economiche, di recessioni, di benessere e di tensioni sociali. Tutto questo flusso ha intrecciato il Regno Unito all’Italia in un rapporto che affonda le sue radici all’alba aurea dell’Ottocento, all’epoca del Risorgimento e della Crimea, andando poi sviluppandosi lungo tutto il Novecento attraverso passaggi molto aspri, questo prima di rinnovarsi seppur parzialmente sotto l’egida di quell’Europa unita che sembrava esserci e che pare invece oggi assai a rischio.
L’approfondimento sulla Union Jack in salsa imperialista è qualcosa che non sempre viene trattato a patto che si escludano i libri di scuola e le leggendarie scorribande di Francis Drake, forse perché si fa fatica a dare una storia alla supremazia moderna e alla nascita della corsa all’oro basata su di essa. “L’Inghilterra è una nazione di bottegai” diceva Napoleone, e se il bottegaio vende la merce è anche per comprarne dell’altra, d’altronde “business as usual”, direbbe Churchill. Insomma, ci accorgiamo che l’Inghilterra è una nazione commerciante, una nazione tanto nazione a sé, amena, al riparo e in vedetta sul futuro, ma al contempo maestra del passato. Giovanni Fasanella, lucano di San Fele, giornalista già a l’Unità e poi a Panorama, da tempo si occupa del lato oscuro della forza, sforzandosi di stracciare i veli dai misteri che ancora in gran quantità nidificano nelle azioni britanniche sul territorio italiano, degne rappresentazioni zerozerosettesche di un universo ancora sconosciuto ai più.
L’ultimo libro che Fasanella ha pubblicato con la collaborazione dell’archivista Mario José Cereghino si chiama “Colonia Italia” e affronta appunto l’ingerenza britannica nell’Italia del dopoguerra e non solo, offrendo notevoli spunti affinché si cerchi di orientare al meglio la bussola in un’epoca in cui il pavimento rischia di girare un po’ troppo sotto i nostri piedi. Abbiamo deciso di incontrare Giovanni per parlare del libro e di questo periodo così intricato e difficile da decifrare quasi fosse un geroglifico.
Dopo “Golpe Inglese” ecco “Colonia Italia”. Dobbiamo aspettarci un sequel del primo lavoro, e soprattutto, com’è nato questo suo interesse per i rapporti tra la Corona inglese e la storia del nostro Paese?
Sì, sulla base di nuovi documenti trovati negli archivi di Londra, “Colonia Italia” sviluppa un punto sfiorato nel “Golpe inglese”: il tentativo da parte britannica di condizionare il corso della politica italiana attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione di massa. Quanto al mio interesse per i rapporti tra Inghilterra e Italia, è nato oltre 15 anni fa, quando cominciai a frequentare gli archivi della Commissione parlamentare Stragi, allora presieduta da Giovanni Pellegrino. Spulciando tra quelle carte, trovai alcuni documenti che non erano mai stati presi seriamente in considerazione. Erano interessanti, perché disegnavano, sia pure in modo ipotetico, un contesto internazionale del terrorismo rosso e nero molto diverso dalle vulgate tradizionali: quello della “guerra mediterranea” tra paesi amici ed alleati per il petrolio nordafricano e mediorientale. Da allora, non ho mai mollato questa pista, l’ho approfondita sempre più, arrivando a Londra, grazie anche al contributo determinante di un bavissimo archivista come Mario Josè Cereghino, coautore di “Colonia Italia”. Negli archivi di Stato di Kew Gardens abbiamo trovato le conferme documentali delle ipotesi formulate in quei documenti della commissione Pellegrino.
Restando sul tema degli interessi inglesi, ci può spiegare nello specifico di che interessi si tratta e come si sono dipanate le strategie britanniche per monitorare le iniziative dei nostri governi nel corso dei decenni?
La Gran Bretagna ha sempre avuto una particolare attenzione per l’Italia sin dall’Ottocento. Il nostro paese, collocato geograficamente proprio al centro del Mediterraneo, cioè nell’area sin da allora di maggiore interesse strategico per Londra, è sempre stata una postazione naturale di fondamentale importanza per il controllo delle rotte commerciali e militari verso i domini coloniali britannici in Africa, Medio Oriente e Asia. Nell’era del petrolio, dal punto di vista inglese il ruolo dell’Italia è divenuto ancora più strategico. I problemi tra Londra e Roma sono però cominciati quando parti delle nostre classi dirigenti, quelle cosiddette “sovraniste”, hanno cominciato ad assumere come stella polare della loro politica l’interesse nazionale italiano e non quello britannico, provocando la reazione del Regno Unito, che si è sentito minacciato nelle sue aree vitali. E’ accaduto con Enrico Mattei e con Aldo Moro, per esempio. Entrambi entrarono in rotta di collisione con gli interessi inglesi. Entrambi furono oggetti di continue, violentissime campagne di stampa, vere e proprie macchine del fango, alimentate dalla propaganda occulta dei servizi di Sua Maestà. Entrambi vennero definiti «nemici mortali degli interessi britannici nel mondo», come si legge nei documenti di Kew Gardens. Entrambi furono assassinati.
Molti, in questi mesi di passione dell’eurozona, si chiedono sempre più insistentemente perché il Regno Unito sia rimasto fuori dall’unione monetaria pur mantenendo grossa voce in capitolo. Nei primi mesi del 2015 l’ex ministro delle finanze greco Varoufakis parlò apertamente di unione monetaria come “progetto di natura anglosassone”. Il lavro suo e di Mario Josè può aiutarci a soddisfare qualche dubbio?
La Gran Bretagna è abituata storicamente a giocare su più tavoli partite anche molto diverse. Mantiene un piede in Europa per contenere soprattutto l’egemonia tedesca, ma al tempo stesso puntella strenuamente la propria egemonia nell’area della sterlina e nei paesi del Commonwealth. Senza contare che Londra è una delle piazze finanziarie più importanti del mondo. Il Regno Unito, subito dopo la Seconda guerra mondiale era il più grande impero coloniale della storia ma, nel giro di pochi decenni e a causa anche dell’azione italiana, i suoi possedimenti territoriali e la sua influenza sulla scena mondiale sono andati riducendosi sempre più. Dopo la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo sovietico, si sono aperti nuovi spazi e Londra ha cercato di recuperare le posizioni perdute. Oggi aspira nuovamente al ruolo di potenza globale.
Sfatiamo dunque il mito degli Usa come dominatori assoluti? Possiamo allora esagerare e dire che gli States sono il braccio armato degli inglesi?
No, non è vero. Non dimentichiamo che gli Stati Uniti sono nati da una guerra di liberazione nazionale combattuta contro il governo di Sua Maestà. Usa e Gran Bretagna, e “Colonia Italia” lo dimostra, pur nel contesto di un’alleanza politico-militare molto solida, sono stati spesso concorrenti proprio nel Mediterraneo, in Africa e in Medio Oriente. Anche le loro visioni del problema italiano spesso divergevano. Si è visto in alcuni frangenti drammatici della nostra storia recente, stando sia ai documenti de “Il golpe inglese” che a quelli di “Colonia Italia”. Durante la seconda guerra mondiale, per esempio: gli Usa combattevano per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la Gran Bretagna per la conquista del nostro paese. Subito dopo la guerra, quando si pose il problema dello status italiano: per gli Usa eravamo una nazione cobelligerante, che si era liberata combattendo al fianco degli eserciti alleati, per gli inglesi invece una nazione sconfitta. E poi anche durante gli anni dello stragismo e del terrorismo. Londra appoggiò il tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese del 1970, gli Usa lo bloccarono. E di nuovo nel caso Moro: l’Inghilterra progettò veri e propri piani eversivi per fermare la politica morotea, gli americani, nei limiti del possibile, ostacolarono i piani britannici. Vero è invece che, nella sua smisurata ambizione, Londra ha pensato spesso di usare furbescamente la potenza militare americana come il proprio braccio armato, com’è accaduto nel 1953 in Iran, quando il leader nazionalista anti-britannico Mossadeq venne deposto con un golpe organizzato dalla Cia. E vero è anche che alcune componenti dell’establishment Usa sono fortemente anglofile.
Forse quel che desta più curiosità è l’apparente disinteresse dei principali canali mediatici nei confronti di questo argomento. Eppure è un argomento che negli ultimi anni sta lentamente affacciandosi dalle crepe di un muro ben eretto e che appariva invisibile, ancor più che invalicabile. Credi che questo sia l’inizio per una nuova era della Storia, e della storiografia?
E di che cosa ti stupisci? La macchina della propaganda occulta dell’intelligence e della diplomazia britannici ha controllato giornali, Tv e industria editoriale per oltre un secolo, è chiaro che se vai a toccare questo nervo sensibilissimo, non potendo contestare la base documentale del nostro lavoro, reagiscono facendo finta di nulla, silenziando il libro, anche se ci sono state alcune eccezioni (Libero, il quotidiano di Maurizio Belpietro, La Stampa di Mario Calabresi e Sette, il supplemento del Corriere della Sera). Ma non voglio fare la vittima. Avevo già messo nel conto che, nel migliore dei casi, il silenzio sarebbe stato il prezzo da pagare: se disturbi, non puoi certo aspettarti carezze e fiori. Per questo, abbiamo puntato molto sul web: è vero che la rete è popolata anche da imbecilli e paranoici, ma molto meno di quanto vorrebbero far credere certi santoni del pensiero unico che, proprio a causa della rete, stanno perdendo il loro ruolo. Anche grazie a internet, libri come “Il golpe inglese” e “Colonia Italia” sono molto letti, te l’assicuro. E scavano come gocce d’acqua sulla roccia.
Sono rimasto sinceramente colpito da una sua dichiarazione rilasciata alla presentazione del libro, in cui le si chiedeva un’analisi del fenomeno complottista e soprattutto di quello anticomplottista. Può spiegarci che differenza c’è tra una pubblicazione come “Colonia Italia” e una qualsiasi teoria della cospirazione, tra le molte che affollano il web?
Fino a questo momento nessuno ha accusato “Colonia Italia” di essere un libro complottista. Il libro è stato silenziato, ma non accusato di dietrologia. D’altra parte, ripeto, è difficile contestare la ricchissima documentazione su cui si basa, ricavata da ricerche d’archivio durate anni. Ed è proprio questa la differenza tra il lavoro di Cereghino e mio e le panzane paranoidi che circolano sul web. Ma mica solo sul web! Da Piazza Fontana in poi sono stati pubblicati milioni di libri e articoli, sono state realizzate migliaia di trasmissioni televisive, e se mi domandassero: che cosa salveresti?, risponderei: ben poco. Gran parte di questa produzione, infatti, è viziata da letture politico-ideologiche, da teoremi indimostrabili, da campagne di intossicazione e depistaggi. Per cui, è davvero difficile distinguere il vero dal verosimile o dal falso.
Secondo lei complottismo e anticomplottismo fanno parte dello stesso strumento “conservatore”?
Sono due scuole di pensiero, definiamole così, basate su pregiudizi e schemi ideologici, quindi del tutto slegate dai fatti e dai loro contesti politici e geopolitici, dalle dinamiche tra forze e interessi in campo. Ed è vero: senza l’uno non esisterebbe l’altro. Sono due facce della stessa medaglia che si legittimano e si sostengono a vicenda arrecando un danno enorme alla libera ricerca. Ripeto, libera ricerca: libera da schemi, teoremi e verità precostituite e interessate, ma fondata esclusivamente su documenti e testimonianze.
Come mai queste informazioni escono solo ora? E soprattutto, quante ancora sono rimaste nascoste? Non è un periodo felice per Buckingham Palace, si pensi solo al video diffuso dal Sun con la piccola Elisabeth e il suo braccio teso…
No, no, per carità: nessun legame tra “Colonia Italia” e le notizie circolate su certe propensioni filonaziste di alcuni rami della famiglia reale. Le verità contenute in libri come “Il golpe inglese” e “Colonia Italia” escono ora perché due giornalisti e ricercatori solitari hanno deciso di andare a rovistare negli archivi di Stato britannici, dove sono custoditi miliardi di documenti su cui è possibile ricostruire gran parte della storia del mondo. A questo proposito va spezzata una lancia a favore della democrazia anglosassone, molto più trasparente della nostra. In Inghilterra il segreto non è eterno, i documenti sensibili –non proprio tutti ma la gran parte sì- vengono periodicamente declassificati e depositati negli archivi di Stato, dove chiunque può consultarli liberamente e attraverso procedure molto semplici. Prova a cercare dei documenti sensibili negli archivi delle commissioni parlamentari d’inchiesta italiane, usciresti pazzo! Semmai la domanda è un’altra: come mai storici, giornalisti e ricercatori italiani non frequentano gli archivi inglesi, che pure rivestono un’importanza enorme anche per noi, visti il peso e l’influenza di Londra nella nostra storia?
Può essere esagerato affermare che il Commonwealth di fatto non ha mai esaurito l’influenza della sua casa madre?
Non è esagerato, è così.
Nel libro si affrontano gli anni Settanta e le loro contraddizioni. Balzando ad oggi, lei pensa che gli equilibri stiano realmente cambiando, o che i corsi e ricorsi storici alla fine si rincorreranno? In poche parole, che eredità si prefigge di lasciare un lavoro come”Colonia Italia” alle generazioni future?
Gli equilibri sono cominciati a cambiare, purtroppo a svantaggio dell’Italia, dalla morte di Aldo Moro in poi. Sarebbe ora che il caso Moro venisse affrontato non più come un cold case, ma come un delitto politico nel senso più pieno dell’espressione, e quindi anche dal punto di vista delle conseguenze che quella morte ha comportato per l’Italia sul piano interno e su quello della sua presenza sulla scena internazionale. Che cosa si prefigge di lasciare “Colonia Italia” alle generazioni future? Non saprei… E’ un libro che vuole far conoscere una storia troppo a lungo nascosta, non ha la pretesa di educare le masse.
Dopo le stragi a Parigi avvenute nel 2015 è evidente come si stia vivendo in un periodo molto delicato che può fare da preludio ad un riassetto politico epocale. In questo contesto, secondo lei, il ruolo della Gran Bretagna, che ha forti ingerenze in medio oriente, cambierà rispetto al Novecento? E se sì, come?
La Gran Bretagna sta facendo di tutto, ma proprio di tutto, per recuperare le posizioni perdute nel Mediterraneo e in Medio Oriente anche a causa della politica italiana. E lo fa attraverso vere e proprie politiche di destabilizzazione. Lo smembramento di imperi o entità statuali in aree di proprio interesse strategico è uno degli strumenti storicamente usati dal Regno Unito per imporre la sua influenza.
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