Geopolitica
L’inferno che regna nel paradiso dell’Uganda
Ogni giorno, in Uganda, decine di persone scompaiono, uccise per strada o arrestate senza accusa, ed altre rimango a terra, esangui, dopo indiscriminati attacchi della polizia. Nonostante sia un paese con un parlamento apparentemente democratico, da oltre 60 anni questo paese, che ha una posizione chiave nello scacchiere politico, economico e militare dell’Africa subsahariana, è in mano a dittature feroci, ed è dilaniato da conflitti interetnici e religiosi. L’economia cresce, nuove infrastrutture vengono costruite, e Kampala è un aeroporto fondamentale per il commercio internazionale, specie quello che collega l’Asia ai paesi più ricchi della regione, come la Repubblica Democratica del Congo e l’Angola. Forse proprio per questo, ogni nuovo giorno, in Uganda, è bagnato dal sangue degli innocenti.
Eppure, basta un istante per rimanere folgorati dalla sua bellezza. Winston Churchill l’ha definita “la perla dell’Africa”: adagiata su un altopiano a 1200 metri d’altezza, è contornata da maestose montagne oltre i 4000 metri; ingloba la metà dell’immenso Lago Vittoria ed è lambita dal Nilo per migliaia di chilometri di natura rigogliosa, selvaggia ed incontaminata. Ma è una terra piena di sofferenza, dominata per decenni da dittatori sanguinari come Milton Obote e Idi Amin Dada, e tuttora in pugno all’ennesimo mostro, Yoweri Kaguta Museveni, e lacerata dalle lotte interetniche. Quasi 46 milioni di abitanti[1], il 75% dei quali vive nelle zone rurali[2] ed è dedito all’agricoltura. Il 28% vive con meno di 2 dollari al giorno[3]: aumenta il numero dei poveri, ma il PIL è salito dai 6 miliardi di dollari del 2000 a 36 miliardi di dollari nel 2019[4] – e le cose peggioreranno, poiché si stima che gli abitanti raddoppieranno tra il 2020 e il 2060, fino a diventare 104 milioni[5].
La colonizzazione cristiana
Nel XIX secolo l’Uganda è divisa in piccoli regni. Il Buganda, il più grande e potente, è guidato da un monarca denominato Kabaka, mantiene una grande burocrazia e un potente esercito, controlla un vasto territorio dal lago Vittoria al Nilo[7]. Nel 1862, l’esploratore britannico John Hanning Speke[8] è il primo europeo a visitare il Buganda e ad incontrare il regnante Mutesa I. Nel 1875 Mutesa I accetta l’ingresso di missionari cristiani. Il Kabaka spera che lo aiutino militarmente contro le incursioni degli egiziani, ma rimane deluso[9]. Lasciandoli entrare, il monarca si mette in casa un gruppo di facinorosi che, nella loro sete di proselitismo, accendono guerre tribali ovunque[10].
Mutesa muore nel 1884, e gli succede il figlio Bassammula Ekkere Mwanga II, che ha solo 16 anni – e che è deciso a risolvere il problema dei cristiani[11]. Contrariamente a suo padre, che aveva cercato di mediare, Mwanga espelle i missionari e chiede ai convertiti di abbandonare la nuova fede, minacciandoli di morte: un anno dopo la sua ascesa al trono, Mwanga giustizia i primi tre martiri cristiani ed ordina la morte del vescovo anglicano: è solo l’inizio di una vera mattanza[12]. Questa ferocia allarma gli inglesi, che appoggiano l’ascesa al trono del fratellastro Kiweewa Nnyonyintono, che dopo un mese abdica a favore di un altro fratello, Kalema Muguluma[13]. Mwanga negozia con gli inglesi e torna sul trono in cambio di un trattato con cui concede poteri su entrate, commercio e amministrazione della giustizia alla Compagnia Imperiale Britannica dell’Africa Orientale[14].
Nell’agosto del 1894 il Buganda diventa un protettorato britannico[15], sicché Mwanga, sentendosi tradito, scende in guerra: arrestato e internato a Bukoba, viene deposto in contumacia il 9 agosto 1897. Fuggito di prigione, con alcuni ribelli tenta nuovamente di tornare al potere: catturato, viene esiliato prima in Somalia poi nelle isole Seychelles dove, accolto nella Chiesa anglicana[16], trascorre il resto della sua vita[17]. La sua deportazione lascia agli inglesi il controllo su ciò che diverrà poi l’Uganda, ma la guerra di resistenza lascia ferite non ancora sanate.
Dal Protettorato alla dittatura
Nel 1899 Sir Harry Johnston, amministratore coloniale, viene incaricato di visitare il paese e di formulare raccomandazioni sulla futura amministrazione. La sua missione sfocia nell’Accordo di Buganda del 1900 (modificato poi nel 1955 e successivamente nel 1961[19]) che getta le basi delle relazioni tra Buganda e Corona Britannica[20]: al Kabaka viene riconosciuta la piena autorità sul Buganda finché rimane fedele all’autorità protettrice; il potere è distribuito anche ai capi minori, ai quali viene anche riconosciuto un certo quantitativo di proprietà terriera. Nasce di fatto una monarchia costituzionale[21]. L’amministrazione britannica estende il proprio dominio a nord e ad est del Nilo. In queste aree non vengono presi accordi e gli ufficiali britannici, spesso assistiti da agenti del Buganda, comandano in prima persona. Nel 1914 i confini della nuova Uganda sono ormai fissati sotto il controllo britannico[22].
La coltivazione del cotone assume un ruolo di primo piano nelle esportazioni e, successivamente, anche la produzione di caffè e zucchero subisce una grande spinta. A differenza dei paesi limitrofi, l’Uganda non è interessante per i coloni europei, e lo stesso protettorato incoraggia lo sviluppo agricolo locale: la produzione rimane in mano a piccoli proprietari e a molti indiani, pakistani e goani[23] attratti dalle opportunità commerciali. La Prima Guerra Mondiale rallenta l’economia, ma l’espansione prosegue anche sul piano delle infrastrutture, con la costruzione delle prime ferrovie[24]. La depressione degli anni 30 non ferma la crescita. È così anche durante la seconda guerra mondiale, che anzi crea nuove possibilità di sviluppo[25].
Dopo la fine della guerra, il Buganda è in fermento, il popolo vuole l’indipendenza. Londra, nel 1962, concede l’autogoverno: nelle elezioni dell’aprile 1962 Milton Obote, leader del Partito del Congresso del Popolo d’Uganda (UPC), viene eletto Primo Ministro ed il 9 ottobre proclama l’indipendenza[26]. Obote sostituisce il governatore britannico in un clima di profonde spaccature politiche. Il 4 ottobre del 1963 il Kabake di Buganda, Mutesa II, diviene Presidente e, l’anno dopo, rompe l’alleanza con Obote a causa dell’esito sfavorevole del referendum sulle contee[27].
Milton Obote prepara la sua vendetta, e nel marzo del 1966 costringe Mutesa II all’esilio nel Regno Unito, dove morirà tre anni dopo[28]. Una volta presidente, Obote cerca di mettere al sicuro il proprio potere, varando nel 1967 una nuova Costituzione che abolisce la struttura federale sostituendola con una presidenza esecutiva, e divide il Buganda in quattro distretti[29]. Il nuovo status indebolisce drasticamente il potere dei governanti tradizionali, incentrandolo nelle mani di Obote (ora contemporaneamente Presidente e Primo Ministro), e questo, unitamente ad un malumore generale per la diffusa corruzione, alimenta la rabbia popolare[30].
Il Generale Idi Amin, che aveva guidato i ribelli favorevoli ad Obote, viene costretto a dimettersi e viene condannato con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici, e decide di armarsi contro Obote[32]. Il 3 febbraio del 1971 le truppe di Amin catturano il Presidente ed insediano la dittatura militare[33]. Nel 1978 l’Uganda invade la Tanzania nel tentativo di annettere la regione di Kagera. La Tanzania lancia una contro-invasione nel 1979, unificando diverse forze anti-Amin. L’esercito ugandese viene sconfitto, il dittatore fugge dal paese, lasciando alle spalle una nazione distrutta da otto anni di terrore[34]: la Commissione Internazionale dei Giuristi di Ginevra stima che Amin abbia fatto uccidere fino a 300’000 persone[35]; la stima di Amnesty International parla di mezzo milione di morti[36]: Amin passa alla storia come un pazzo sanguinario[37]: si vanta di mangiare carne umana e di conservare teste umane nel suo frigorifero; getta nel Nilo 4000 disabili assieme a molti dei suoi ministri per farli smembrare dai coccodrilli[38]. Ognuno si diverte come sa…
Nel 1980 hanno luogo le prime elezioni democratiche dopo 18 anni, ed Obote vince[39]. Sostenendo che le elezioni siano truccate, l’Esercito di Resistenza Nazionale, in cui confluiscono diverse forze ribelli (tra cui l’Esercito di Resistenza Popolare di Yoweri Museveni) scatena la guerriglia in tutto il paese ed attacca gli ex sostenitori di Amin[40]. La guerra è sanguinosissima: oltre 200’000 ugandesi scappano in Ruanda, Congo e Sudan[41]. Amnesty International stima che il regime di Obote abbia ucciso oltre 300’000 civili[42]. Il 27 luglio 1985 un ennesimo colpo di stato militare depone Obote, e il Tenente Generale Tito Okello diviene capo di stato[43]. Il paese è nel caos. Okello estromette Museveni, e lui continua la guerra, culminata nel 1986 con la conquista di Kampala: il paese è ora nelle mani Museveni, e dopo 36 anni le cose non sono cambiate[44].
Yoweri Kaguta Museveni, il dittatore eterno
Nato nel 1944 ad Ankole, nel distretto sudoccidentale di Ntungamo da una famiglia di allevatori di bestiame[46], Museveni frequenta l’Università a Dar es Salaam, dove consegue una laurea in economia e scienze politiche[47]. All’università si proclama marxista e panafricano. Riceve poi un addestramento alla guerriglia in Mozambico. Nel 1970 entra a far parte dei servizi segreti dell’Uganda, ma fugge in Tanzania quando Idi Amin nel 1971 conquista il potere[48]. Lì, nel 1973, fonda il Fronte per la Salvezza Nazionale (FRONASA)[49]. Cinque anni dopo appoggia la Tanzania contro le truppe d’invasione ugandesi, e l’11 aprile 1979 riesce, assieme al presidente tanzaniano Julius Nyerere, a rovesciare Idi Amin[50]. Dopo sette anni di guerra civile, giura il 29 novembre 1986, proclamando un Governo di Unità Nazionale[51].
Museveni promette sicurezza e rispetto per i diritti umani[52]. Ha tra le mani un paese distrutto, con una economia a pezzi ed alle spalle un ventennio di atrocità, non ancora completamente pacificato. Taglia i costi del servizio civile e dell’esercito, privatizza le prime società statali, istituisce una Commissione Costituzionale per ottenere cambiamenti più profondi[53]. Malgrado le difficili condizioni, Musaveni riesce a migliorare le cose: apertura alla libertà di stampa, lotta alla corruzione, lotta contro l’AIDS, mediazione con gli oppositori, miglioramento delle infrastrutture, sono alcune delle scelte che rimetteranno il paese in piedi. Museveni rimane contrario alla democrazia parlamentare che, secondo lui, promuove le divisioni interetniche e la corruzione: nel 1995 vieta quindi i partiti[54].
Amnesty International, in un rapporto sui diritti umani pubblicato nel marzo del 1989[55] e che prende in esame i primi tre anni di Museveni, pur riconoscendo un cambio di rotta rispetto alle atrocità commesse dal Obote ed Amin, non è clemente nei confronti del nuovo Presidente, accusandolo di detenere i presunti oppositori politici del nord Uganda senza accusa, a volte per mesi e mesi, e di torturare e uccidere i prigionieri[56]. Nel documento, Amnesty esorta il governo a realizzare riforme che comportino il rigoroso rispetto dei diritti umani[57].
Il 27 giugno 1996 Museveni le elezioni con il 74,2% dei voti[58]. Non mancano i sospetti di brogli è altissimo: il candidato dell’opposizione è costantemente vittima di aggressioni, la conta dei voti spesso non quadra, ma la competizione viene comunque convalidata[59]. Dopo decenni di feroci dittature, l’Uganda sembra finalmente aver voltato pagina, avendo conosciuto con Museveni un decennio di ripresa generale, con una economia che toccherà tassi di crescita del 10% annui[60]. Finché il Presidente non decide di scendere in guerra.
La guerra nel Congo
Nel 1997 Laurent-Désiré Kabila, leader ribelle congolese, sostenuto da Uganda e Ruanda, rovescia il presidente dello Zaire Mobutu Sese Seko[62]. A Kinshasa, il nuovo presidente, che cambia il nome della nazione in Repubblica Democratica del Congo, si regge sulla forza degli eserciti stranieri. Nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1998 soldati tutsi congolesi e alcuni soldati ruandesi ancora presenti sul territorio tentano di rovesciarlo. Il giorno successivo, Uganda e Ruanda invadono le aree occidentali del Rio Congo portando le loro truppe da Goma, sulla frontiera orientale, fino a Kitona, sulla costa atlantica, nell’intento di supportare il colpo di Stato[63]. Kabila è abile e, ottenendo il sostegno di Namibia, Zimbabwe, Angola, Ciad, Libia e Sudan, frena l’avanzata dei ribelli[64].
Il 18 gennaio 1999, Ruanda, Uganda, Angola, Namibia e Zimbabwe concordano una tregua a Windhoek, in Namibia, senza invitare la RDC[65], sicché gli scontri vanno avanti fino al 16 gennaio 2001, quando Laurent-Désiré Kabila viene ucciso, nel palazzo presidenziale, per opera di un complotto ordito dai kadogo, i “bambini soldato”, delusi dal trattamento che il presidente riservava loro[66]. La presidenza va a suo figlio Joseph, che riesce nell’intento di fermare i conflitti: Uganda e Ruanda ritirano le loro truppe, e per Museveni è l’inizio di seri guai diplomatici: il 23 giugno 1999, la RDC deposita alla cancelleria della Corte di Giustizia Internazionale le istanze contro Burundi, Uganda e Ruanda “per l’aggressione armata […] in flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite e della Carta dell’Organizzazione per l’Unità Africana”; Kinshasa chiede i danni: 11 miliardi dollari[67].
Nel 2001 le Nazioni Unite indagano sul commercio illegale di diamanti, cobalto, coltan, oro e altre risorse congolesi, e stabiliscono che Ruanda, Uganda e Zimbabwe hanno delle responsabilità innegabili e raccomandano al Consiglio di sicurezza di imporre sanzioni[68]. Il 19 dicembre del 2005 la Corte di Giustizia Internazionale stabilisce che l’Uganda ha violato il principio di “non intervento” nella RDC e ha violato le leggi sui diritti umani attraverso le brutalità commesse dal suo esercito. Conclude che l’Uganda “è responsabile a livello internazionale delle violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario […] le sue forze hanno commesso atti di uccisione, tortura e altre forme di trattamento disumano della popolazione civile, hanno distrutto villaggi ed edifici civili, hanno incitato al conflitto etnico ed è stata coinvolto nell’addestramento di bambini soldato”. L’Uganda “è responsabile a livello internazionale di atti di saccheggio e sfruttamento commesso dalle sue truppe, compresi gli ufficiali di più alto rango”[69].
La Corte ordina alle parti di trovare un accordo che, però, non arriverà mai, e la RDC si vede costretta a tornare in Tribunale nel 2015 per sollecitare un provvedimento. Solo il 9 febbraio del 2022 arriva un nuovo verdetto: Kampala deve risarcire alla RDC la somma di 330 milioni di dollari per le violazioni accertate[70]. La condanna arriva in un momento in cui i rapporti tra Uganda e RDC stanno migliorando, per cui non viene eseguita[71]. Ma per Musaveni non sarà soltanto la guerra in Congo ad averlo disastrosamente impegnato per anni: durante il suo mandato dovrò fare i conti anche con il gruppo ribelle Lord’s Resistance Army (LRA), guidato da Joseph Kony.
LRA e governo – un’infinita gara di atrocità
Il Lord’s Resistance Army (LRA) nasce nel 1988 nel nord dell’Uganda dai resti dell’esercito del Movimento dello Spirito Santo fondato da Alice Auma Lakwena – una sacerdotessa che sostiene di essere una messaggera di Dio, posseduta da uno spirito chiamato Lakwena[72]. Il gruppo ribelle affonda le sue radici nel conflitto tra la tribù Acholi dell’Uganda settentrionale e le altre tribù dell’Uganda meridionale, iniziato durante il regime di Idi Amin Dada, anche se la miccia è nel passato coloniale[73]. Gli Acholi sono disprezzati dagli inglesi, la loro scarsa collaborazione li estrania dallo sviluppo economico, per lo più vengono usati come braccianti o arruolati nell’esercito coloniale. L’odio tra gli Acholi e le altre tribù diviene incolmabile e sfocia in una guerra feroce[74].
Nel 1986, dopo che Idi Amin (un Acholi) viene rovesciato e Museveni prende il suo posto, gli Acholi sono costretti a fuggire al nord. In risposta agli oltraggi subiti dagli Acholi, Joseph Kony, uno sciamano, fonda LRA con l’obiettivo di rovesciare il governo di Museveni. Inizialmente non raccoglie sostegno per via degli eccessi brutali e dell’assenza di una agenda politica. Il rapimento diventa il principale mezzo di reclutamento: vengono catturati almeno 67’000 giovani, inclusi 30’000 bambini, per utilizzarli come soldati, partner sessuali e facchini[75]. LRA causa 1,6 milioni di sfollati, il 90% della popolazione del settentrione, raccolta in squallidi campi in cui imperano il colera, la fame, la criminalità e la violenza[76]. Il governo combatte militarmente e cerca di mediare, ma non ottiene nulla.
Nel 1994 Joseph Kony attraversa il confine per stabilire basi nel Sudan meridionale e LRA intensifica rapimenti, massacri e mutilazioni[77]. Col fatto che l’esercito di Kony sia unito dalla paura per le esecuzioni sommarie, manca un appoggio politico agli scopi di Kony. Ciò non di meno, i campi di raccolta degli sfollati sono talmente disumani da amplificare ulteriormente l’odio degli Acholi per Museveni[78]. Nel marzo 2001, Museveni viene rieletto con oltre il 69% delle preferenze[79], ma la sua vittoria appare gonfiata da numerosi frodi elettorali, aggressioni, violenze ed intimidazioni – anche se gli osservatori internazionali convalidano le elezioni[80].
Nel 2002 l’esercito di Kampala lancia una massiccia offensiva militare contro le basi di LRA nel Sudan meridionale, in l’accordo con il Fronte Islamico Nazionale sudanese[81]. Ancora morti e distruzione: nel novembre 2003, il Coordinatore dei soccorsi di emergenza Jan Egeland dichiara: “Non riesco a trovare nessun’altra parte del mondo che stia vivendo un’emergenza della scala dell’Uganda […]”[82]. Nel dicembre 2003 Museveni denuncia la LRA alla Corte Penale dell’Aja per crimini di guerra[83]. Dal 2004 in poi, il cerchio repressivo dell’esercito governativo avanza e LRA inizia finalmente a perdere la propria forza distruttiva. L’8 luglio 2005 la Corte Penale Internazionale spicca un mandato di cattura nei confronti di Joseph Kony per omicidio, riduzione in schiavitù, riduzione in schiavitù sessuale, stupro ed altri atti disumani; è anche accusato di 21 capi di imputazione per crimini di guerra: omicidio, trattamento crudele di civili, attacco contro la popolazione civile, saccheggio, stupro e arruolamento forzato di bambini[84].
Nel febbraio 2006 Museveni vince le elezioni, per la prima volta multipartitiche, grazie ad un referendum dell’anno precedente[85], ottenendo il 59% dei voti[86]. Malgrado anche queste elezioni siano affette da gravi irregolarità, Museveni continua a perdere consenso. Joseph Kony, dopo 12 anni, intraprende i negoziati di pace, che falliscono[87]. Nel 2007 le parti firmano il Global Solution Agreement che le vincola a trovare una soluzione duratura al conflitto nel Nord Uganda[88]. Kony pone però una condizione: la Corte Penale Internazionale deve ritirare le accuse di crimini di guerra contro di lui, cosa che ovviamente la Corte non farà mai[89]; sicché non si presenta alle cerimonie di firma programmate prima ad aprile e poi a novembre 2008. Ancora un fallimento[90].
Malgrado la LRA sia disperso in piccoli gruppi disorganizzati, continuano gli spietati attacchi contro i civili[92]. Il 14 dicembre 2008 viene lanciata un’azione congiunta tra Uganda, RDC e Sud Sudan, sostenuta dagli Stati Uniti[93]. L’operazione si rivela un disastro: non raggiunge alcun obiettivo sperato, ma gli effetti negativi sono devastanti[94]. Il capo dei ribelli non viene catturato, il suo esercito viene sparso per un’area ancora più vasta, e le ritorsioni sono pesantissime: aumentano le uccisioni e i rapimenti, la situazione nei campi peggiora – fame, malattie e disperazione crescono[95]. Dal marzo 2009, la guerra viene proseguita dal solo esercito congolese[96].
Alla fine del 2011, gli Stati Uniti dispiegano circa 100 uomini nella Repubblica Centrafricana, nel Congo, nel Sud Sudan e in Uganda per arrestare Kony, ma non hanno successo[97]; il 24 marzo 2012 L’Unione Africana invia una task force, composta da 5000 elementi, alla caccia del leader della LRA[98] ma non serve a nulla. Il 6 gennaio 2014 Washington annuncia di aver catturato uno dei comandanti della LRA[99]; altri sono stati uccisi in battaglia[100], ma di Kony nessuna traccia. LRA conta ormai su non più di mille miliziani, e non è certo che Kony ne sia ancora il capo[101]; sopravvive grazie al bracconaggio e al commercio di avorio[102]. In questi lunghi anni la LRA ha lasciato sul campo, secondo le Nazioni Unite, più di 100’000 persone, 100’000 bambini sono stati rapiti e più di un milione di persone sono state sfollate[103].
Alla rielezione nel 2006 di Museveni, segue un quarto mandato (febbraio 2011[104]), un quinto (maggio 2016[105]) ed un sesto (maggio 2021[106]). Durante questi anni il presidente rafforza il proprio potere inasprendo le leggi antidemocratiche, come istituire l’ergastolo per gli omosessuali o sette anni di detenzione per chi officia un loro matrimonio[107]. L’Uganda è un paese in cui le lesbiche vengono sottoposte agli stupri collettivi[108]… Musaveni rifiuta di indagare su una serie lunghissima di uccisioni e torture commesse dai propri funzionari; carcerazioni politiche, uccisioni di liberi manifestanti, intimidazioni[109] soprattutto durante le tornate elettorali sembrano la norma[110].
Secondo Human Right Watch il 2021 è stato l’anno più nero: durante la campagna elettorale il governo ha rapito, arrestato e picchiato sostenitori e giornalisti dell’opposizione, ucciso manifestanti e interrotto le manifestazioni popolari, ha sospeso Internet per cinque giorni, per un mese ha bloccato l’accesso a Twitter e YouTube e per un tempo indeterminato Facebook, ha limitato il diritto alla libertà di movimento e di riunione, in particolare per i leader politici sgraditi al governo[111]. Museveni si difende con la disinformazione, sostenendo che in Uganda da 60 anni si lotta per la conquista dei diritti umani anche se c’è ancora “qualcosa da fare”[112].
L’Unione Europea non crede affatto alle giustificazioni del presidente, e si accinge a condannare pubblicamente le continue torture e le violazioni dei diritti umani, riportando quanto riferito dalla Commissione per i Diritti Umani durante l’Universal Periodic Review: ovvero la persistenza di gravi violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, con “un aumento significativo delle denunce di tortura, arresti arbitrari, sparizioni forzate, molestie e attacchi contro difensori dei diritti umani, membri dell’opposizione e attivisti per i diritti ambientali”. La relazione si chiude con la raccomandazione di un avvio di indagini sugli abusi[113]. Anche il Rapporto di Amnesty International conferma le accuse[114].
Quello che però Museveni cerca di fare, è semplicemente mantenere il potere anche dopo la propria dipartita, tirando fuori l’ultimo asso dalla manica: l’8 marzo di quest’anno, in un tweet diramato da suo figlio, il tenente generale Muhoozi Kainerugaba, si legge della sua decisione di lasciare l’esercito per candidarsi alla presidenza al posto del padre[116]. Da allora in poi le proteste sono aumentate, e soprattutto sono aumentate le notizie di sparizioni, di torture, di stupri, di uccisioni. Senza voler fare del moralismo scontato, è straordinaria la capacità del genere umano di distruggere tutto ciò che può, e distruggere sé stesso e tutti i propri simili. Vivere in un paradiso non solo non basta, ma sembra essere un incitamento ad ulteriori violenze.
La comunità internazionale, anche in questo caso, rimane a guardare, almeno fino a quando non esista un interesse specifico di intervenire. La nuova rotta commerciale che, attraversando Etiopia, Eritrea e Kenya, raggiunge a Kampala il centro di distribuzione logistica per tutta l’Africa meridionale e subsahariana occidentale, potrebbe forse creare una forza per cambiare tutto questo. Il rischio è che, al posto della violenza tribale, arrivi anche in Uganda la violenza del dominio cinese. L’unica speranza è che, sulla via del Rio Congo, l’unione dei paesi africani sappia trovare una soluzione propria, umana ed efficiente.
[1] https://data.worldbank.org/country/uganda
[2] https://blogs.worldbank.org/africacan/demographic-boom-explainer-ugandas-population-trends
[3] https://devinit.org/resources/poverty-uganda-national-and-regional-data-and-trends/
[4] https://borgenproject.org/impact-of-covid-19-on-poverty-in-uganda/ ; https://theconversation.com/uganda-needs-a-mind-shift-to-address-poor-growth-and-persistent-inequality-169469 ; https://devinit.org/resources/poverty-uganda-national-and-regional-data-and-trends/
[5] https://blogs.worldbank.org/africacan/demographic-boom-explainer-ugandas-population-trends
[6] https://ushypocrisy.com/2014/05/08/mwanga-ii-basammula-ekkere-the-king-of-bugandas-distorted-legacy/
[7] https://www.buganda.or.ug/about
[8] https://www.infoplease.com/encyclopedia/people/history/explore-conquer/speke-john-hanning
[9] https://nilepost.co.ug/2019/10/09/kabaka-mwanga-fooled-twice-to-hand-over-independence-conquered-thrice/
[10] https://dacb.org/histories/uganda-history-christianity/
[11] http://www.buganda.com/martyrs.htm
[12] http://www.buganda.com/martyrs.htm
[13] https://peoplepill.com/people/kalema-of-buganda
[14] https://nilepost.co.ug/2019/10/09/kabaka-mwanga-fooled-twice-to-hand-over-independence-conquered-thrice/
[15] https://nilepost.co.ug/2019/10/09/kabaka-mwanga-fooled-twice-to-hand-over-independence-conquered-thrice/
[16] https://beenhere.org/2017/10/18/danieri-basammula-ekkere-mwanga-ii-mukasa/
[17] https://nilepost.co.ug/2019/10/20/mwanga-and-kabalega-arrested-deported-to-somalia/
[18] https://www.monitor.co.ug/uganda/news/national/behind-the-struggle-for-uganda-s-independence-1852264
[19] https://urbech.net/articles-of-the-1900-buganda-agreement/
[20] https://urbech.net/articles-of-the-1900-buganda-agreement/
[21] https://urbech.net/articles-of-the-1900-buganda-agreement/
[22] https://urbech.net/articles-of-the-1900-buganda-agreement/
[23] https://www.joaoroqueliteraryjournal.com/nonfiction-1/2019/10/6/tina-athaide-forgotten-histories-of-uganda-goans
[24] https://en.unesco.org/courier/news-views-online/first-world-war-and-its-consequences-africa
[25] https://www.monitor.co.ug/uganda/magazines/people-power/how-world-war-ii-changed-uganda-political-social-scenes-1924630
[26] https://www.britannica.com/place/Uganda/The-Republic-of-Uganda
[27] https://www.monitor.co.ug/uganda/news/national/the-referendum-on-the-lost-counties-1522748
[28] https://www.newworldencyclopedia.org/entry/Milton_Obote
[29] https://www.hrw.org/reports/1999/uganda/Uganweb-06.htm
[30] https://www.blackpast.org/global-african-history/milton-obote-1925-2005/
[31] https://spazio70.com/societa-e-cultura/facce-da-anni-settanta/le-manie-britanniche-di-un-ex-sergente-dei-fucilieri-ritratto-di-idi-amin/
[32] https://origins.osu.edu/milestones/idi-amins-uganda-coup-1971?language_content_entity=en
[33] https://www.theguardian.com/world/2021/feb/03/general-idi-amin-takes-over-supreme-power-in-uganda-1971
[34] https://www.worldvision.org/disaster-relief-news-stories/uganda-genocide-nightmare-finally-end
[35] https://www.monitor.co.ug/uganda/special-reports/uganda-50/how-many-people-did-amin-really-kill–1526590
[36] https://www.monitor.co.ug/uganda/special-reports/uganda-50/how-many-people-did-amin-really-kill–1526590
[37] https://economictimes.indiatimes.com/people/10-most-ruthless-leaders-of-all-time/slideshow/52120630.cms
[38] https://www.adamsmith.org/blog/when-idi-amin-expelled-50000-asians-from-uganda
[39] https://www.nytimes.com/1980/12/14/archives/obote-party-wins-uganda-vote-giving-him-2d-term-as-president.html
[40] https://sites.tufts.edu/atrocityendings/2015/08/07/uganda-idi-amin-milton-obote-and-the-national-resistance-movement/
[41] https://sites.tufts.edu/atrocityendings/2015/08/07/uganda-idi-amin-milton-obote-and-the-national-resistance-movement/
[42] https://pretoria.mofa.go.ug/data-smenu-2-HISTORY-AND-POLITICAL-SITUATION.html
[43] https://www.washingtonpost.com/archive/politics/1985/07/30/new-leader-sworn-in-in-uganda/70483afc-adc3-4285-98ec-aadad3d7c40d/
[44] https://pretoria.mofa.go.ug/data-smenu-2-HISTORY-AND-POLITICAL-SITUATION.html
[45] https://www.ft.com/content/2db5ff63-a007-40ea-8426-0fbfd34fc095
[46] https://www.bbc.com/news/world-africa-12421747
[47] https://www.blackpast.org/global-african-history/people-global-african-history/yoweri-kaguta-museveni-1944/
[48] https://www.thenewhumanitarian.org/report/58146/uganda-profile-yoweri-kaguta-museveni
[49] https://www.thenewhumanitarian.org/report/58146/uganda-profile-yoweri-kaguta-museveni
[50] https://www.history.com/this-day-in-history/idi-amin-overthrown
[51] https://www.nytimes.com/1986/01/30/world/rebel-sworn-in-as-uganda-president.html
[52] https://journals.openedition.org/eastafrica/578
[53] https://journals.openedition.org/eastafrica/578
[54] https://www.lse.ac.uk/international-development/Assets/Documents/PDFs/csrc-working-papers-phase-one/wp73-museveni-and-no-party-democracy-in-uganda.pdf Crisis States Research Centre: “‘Populism’ Visits Africa: The Case Of Yoweri Museveni And No-Party Democracy In Uganda” – Giovanni Carboni – Università Degli Studi Di Milano – 2005
[55] https://www.amnesty.org/en/documents/afr59/001/1989/en/
[56] https://www.amnesty.org/en/documents/afr59/001/1989/en/
[57] https://www.amnesty.org/en/documents/afr59/001/1989/en/
[58] https://www.monitor.co.ug/uganda/special-reports/elections/how-free-and-fair-was-the-1996-election–1638638
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[92] https://enoughproject.org/reports/finishing-fight-against-lra-strategy-paper
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[97] https://enoughproject.org/blog/central-african-republic-refuge-lords-resistance-army
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[99] https://theconversation.com/dominic-ongwen-surrenders-but-justice-for-lords-resistance-army-victims-will-be-hard-to-find-35966
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[101] https://www.dw.com/en/uganda-lord-resistance-army-final-days/a-60535944.
[102] https://www.cfr.org/blog/lords-resistance-army-and-elephant-poaching
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[106] https://www.voanews.com/a/africa_ugandas-museveni-sworn-sixth-term/6205749.html
[107] https://www.france24.com/en/20131221-uganda-new-anti-homosexuality-bill-life-prison
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[109] https://www.ilo.org/dyn/travail/docs/1836/Human%20Rights%20Report%20Uganda.pdf
[110] https://www.state.gov/wp-content/uploads/2021/03/UGANDA-2020-HUMAN-RIGHTS-REPORT.pdf
[111] https://www.hrw.org/world-report/2022/country-chapters/uganda
[112] https://www.mofa.go.ug/data/dnews/793/President%20defends%20Uganda’s%20Human%20rights%20record,
[113] https://sudantribune.com/article254981/
[114] https://www.amnesty.org/en/location/africa/east-africa-the-horn-and-great-lakes/uganda/report-uganda/
[115] https://www.mediadefence.org/news/hrnj-uganda-challenging-violence-against-journalists/
[116] https://www.lemonde.fr/en/international/article/2022/04/19/uganda-s-general-twitter-lays-groundwork-to-succeed-his-father-as-president_5980955_4.html
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