Geopolitica
Libia, missione europea in prima fase. Si potrà parlare di «blocco navale»?
Dopo che il Consiglio Europeo degli Affari Esteri del 22 giugno 2015 ha lanciato l’operazione navale EUNAVFOR MED, decisa lo scorso 18 maggio, la parola passa presumibilmente agli apparati militari e difensivi dell’Unione Europea: a partire dall’EU Military Commitee (Commissione militare dell’Unione Europea, EUMC) presieduta dal Generale Patrick De Rousiers, riunitasi il 23 giugno, per arrivare al Politico-Military Group (Gruppo Politico-Militare, PMG) e all’EU Military Committee Working Group (Gruppo di lavoro della Commissione militare dell’Unione Europea, EUMCWG), le cui sessioni sono previste rispettivamente per il 24 e il 25 del mese e una seconda volta il 29.
Nonostante il documento ufficiale della decisione dica che la missione dovrà essere operativa immediatamente, con più facilità potrebbe quindi esserlo per i primi di luglio e a partire sarà, per ora, solo la prima fase: quella che il documento ufficiale del 18 maggio definiva come «l’individuazione e il monitoriaggio delle reti di migrazione attraverso la raccolta d’informazioni e il pattugliamento in alto mare conformemente al diritto in alto mare».
Guida e composizione: l’Italia, al comando operativo, schiera la sua Nave Ammiraglia.
La guida sarà italiana. Al nome, già noto da tempo, del Contrammiraglio Enrico Credendino, si è aggiunto, lo scorso 17 giugno, quello del Contrammiraglio Andrea Gueglio che, a quanto si deduce dalla documentazione ufficiale, sembra essere stato proposto dallo stesso Credendino. Gueglio, si legge, avrà il ruolo di «comandante della forza UE», ovvero sarà colui che coordinerà le azioni direttamente dal Mediterraneo centro – meridionale. Dal confronto tra una sua biografia pubblicata dall’ European External Action Service (Servizio europeo di azione esterna, EEAS) e del materiale informativo messo invece a disposizione dall Marina Militare italiana si viene a sapere, al netto delle esperienze precedenti, che dal 12 settembre 2014 Gueglio aveva rilevato il Comando delle Forze d’Altura (COMFORAL) o Secondo Gruppo Navale, precedentemente affidato all’Ammiraglio di Divisione Paolo Treu: il corpo aveva partecipato, già al comando di Treu, a missioni quali Mare Nostrum e ad attività di contrasto della pirateria marittima sotto l’egida dell’Unone Europea quali l’operazione Atalanta a largo delle coste somale. Per qualche mese, dal dicembre 2014 fino al febbraio 2015, invece, Gueglio ha comandato il 29° Gruppo Navale di stanza nel Canale di Sicilia con compiti di sorveglianza marittima, cosicché se ne può dedurre che né l’ambito d’azione né le caratteristiche dell’azione stessa alla quale è stato chiamato siano inediti per il Contrammiraglio.
Per quanto riguarda la composizione della missione, fonti stampa – un lancio dell’Agenzia Giornalistica Italia (AGI) – parlano di «cinque navi da guerra, due sottomarini, tre aerei, due droni e tre elicotteri» per un totale di «un migliaio di uomini».
Andando alle stesse fonti europee, un factsheet pubblicato sul sito dell’EEAS precisa che la composizione di EUNAVFOR MED «varierà in funzione della frequente rotazione e composizione delle diverse navi da guerra e dei diversi mezzi assegnati alla missione». La piattaforma di comando sarà la portaerei Cavour, che il sito ufficiale della Marina Militare descrive come una delle navi di punta dell’intera flotta italiana nonché sua Nave Ammiraglia sede dell’Insegna del Comandante in Capo della Squadra Navale: la nave può, si legge sempre nel sito, «assolvere totalmente i ruoli di portaerei, piattaforma logistica ed anfibia, unità sede di comando e nave ospedale». L’EEAS aggiunge che, in aggiunta alla Cavour, ci saranno in questa prima fase «otto unità navali di superficie e subacquee e dodici mezzi aerei». Oltre all’Italia parteciperanno altri 13 paesi membri dell’Unione Europea.
La questione dei tempi: un’estate per organizzarsi completamente.
Sempre l’AGI cita un anonimo «responsabile della Difesa UE» che prevede la possibilità del passaggio alla seconda fase della missione solo dopo che, il 20 luglio prossimo al nuovo Consiglio degli Affari Esteri, il Contrammiraglio Credendino avrà riferito sull’andamento della prima.
La missione lanciata in via teorica il 18 maggio potrebbe dunque giungere alla sua seconda fase alla fine di luglio. Parlando a Raf Casert della Associated Press poco prima del Consiglio, un’anonima fonte europea aveva detto che, nelle migliori speranze, l’intera operazione potrebbe essere operativa «prima di settembre»: quindi potrebbe passare tutto il mese di agosto prima di vedere attivata la terza e ultima fase e poiché già il documento del 18 maggio prevedeva che la missione si protraesse, al netto di prolungamenti, «al più tardi [per] dodici mesi dopo aver raggiunto la piena capacità operativa», la stessa potrebbe teoricamente concludersi – al massimo – intorno alla fine dell’agosto 2016.
Il motivo della dilatazione dei tempi è noto da mesi: si tratta di intrecciare la missione con la situazione interna libica e la diplomazia internazionale, richiedendo le ultime due fasi della missione stessa – che prevedono misure come l’ispezione, il sequestro, il dirottamento e l’intervento sulle imbarcazioni – l’avallo delle Nazioni Unite e possibilmente anche il consenso del governo libico riconosciuto. La situazione diplomatica internazionale vede al momento, proprio in seno alle Nazioni Unite, un gruppo di paesi propensi alla missione e un altro gruppo che invece, pur dichiarando di non avere in merito pregiudizi di sorta, deve essere convinto della bontà della missione stessa, così da non opporvisi col diritto di veto di cui gode a New York: in pratica deve essere convinto che la missione si limiterà al contrasto ai trafficanti e non si intrometterà in altro modo nello scenario interno della Libia. Tra questi paesi risalto è stato dato dalla stampa alla posizione della Russia, che sta cercando di ridare valore, col governo riconosciuto di Tobruk, a vecchi legami di epoca gheddafiana congelati dopo il 2011.
Dentro e fuori la Libia: voci di ostilità sia da Tobruk che da Tripoli.
A livello internazionale, le ultime dichiarazioni giunte in merito sembrano rassicuranti. Non sussisterebbero particolari problemi con i diversi paesi coinvolti a livello diplomatico, ma non si sarebbe ancora giunti a quel consenso libico che invece l’Europa aspirerebbe a ottenere: ascoltato da ONU Italia a margine di un intervento – su tutt’altro argomento – al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, il Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha confermato che il 19 giugno avrebbe avuto una riunione col Segretario Generale delle Nazioni Unite su un testo sul quale – riassume il sito – «un’intesa tra i membri permanenti del Consiglio, compresi Russia e Cina, appare ormai a portata di mano, ma sul quale non c’è ancora il via libera del governo libico di Tobruk»; Gentiloni proseguiva lodando le iniziative egiziane volte a far sì che, invece, questa intesa arrivasse.
Le dichiarazioni libiche, infatti, preoccupano: l’ultima è giunta, subito dopo il Consiglio degli Affari Esteri, proprio da Tobruk: il Comandante dell’Aviazione Saqr al Jaroushi ha infatti avvertito che qualsiasi vascello che dovesse ritrovarsi in acque libiche senza preventiva autorizzazione o accordo verrà attaccato dal cielo. Nulla di nuovo nella retorica di Tobruk e relativamente poco di preoccupante, almeno per il momento, per Bruxelles, dal momento che – come si deduce per contrario dal testo del 18 maggio – in assenza dell’avallo delle Nazioni Unite la prima fase di EUNAVFOR MED limiterà le sue attività alle acque internazionali. Ma rimane il fatto che dichiarazioni di questo tipo non fanno supporre un atteggiamento particolarmente conciliante nei confronti della missione europea. È anche vero che sulle questioni propriamente belliche il fronte militare, cui ovviamente appartiene Jaroushi, e quello parlamentare hanno ultimamente dato, a Tobruk, esempi di una condotta non del tutto unisona: il caso, riportato dal locale Libya Herald, del comandante militare estromesso dagli incarichi dai suoi superiori e reinsediato dal parlamento può dare un’idea, anche se vaga, dei dissidi esistenti tra i due corpi.
Anche il governo non riconosciuto di Tripoli si è recentemente pronunciato con parole critiche nei confronti della missione europea: come per Tobruk, anche per i suoi rivali politici e militari il problema non è la considerazione di principio teorico che si debba far fronte alla questione dei trafficanti, ma il possibile intervento pratico europeo nel proprio territorio e nelle proprie acque. «Un pattugliamento a distanza, più che inefficace, è assolutamente pericoloso», ha detto l’11 giugno scorso a Umberto De Giovannangeli dell’Hufftington Post il Ministro tripolino degli Esteri Mohammed al Ghirani: troppi, secondo il Ministro, i rischi di vittime innocenti. Piuttosto, che Bruxelles riconosca Tripoli in cambio della sua collaborazione di fatto già in atto sulla questione migratoria; e qui è probabile che al Ghirani si riferisca al fermo, avvenuto poco tempo prima, di 441 migranti pronti a salpare alla volta dell’Europa.
Una questione interessante: precisazioni su un’ipotesi di blocco navale.
Mohammed al Ghirani si esprime poi sulla possibilità di un blocco navale e qui i toni si fanno simili a quelli della controparte, seppure più velati: «Deve essere chiaro: senza un accordo con le istituzioni rappresentative del popolo libico, un blocco navale equivarrebbe a una dichiarazione di guerra, con tutte le conseguenze che essa comporta». Ma su questo punto ha fatto chiarezza il Capo di Stato Maggiore italiano e membro dell’EUMC Generale Claudio Graziano, che intervistato da Aldo Cazzullo del Corriere della Sera il 21 giugno, ha definito «controproducente» un blocco navale istituito al di fuori di precise direttive delle Nazioni Unite: «è un’azione di guerra. Si fa contro un nemico».
Per altro, così dicendo, Graziano sembra contraddire le parole che lo scorso marzo aveva pronunciato sull’argomento il rappresentante delle Nazioni Unite in Libia Bernardino Leon, che proprio al Corriere della Sera, a precisa domanda di Giuseppe Sarcina su «un blocco navale o misure di protezione in mare», si era dichiarato «favorevole». In realtà va detto che sul punto specifico il testo dell’intervista potrebbe essere più ambiguo di quanto appaia a prima vista, dal momento che la domanda di Sarcina contiene due varianti – blocco navale o misure di protezione – che però Leon, nel rispondere, non distingue e l’unico virgolettato esplicito dell’uomo politico sulla questione parla di «presidiare in forze il mare davanti alla Libia»; e non è detto che un presidio coincida per forza con un blocco navale.
Il Manuale di diritto umanitario applicabile ai conflitti armati in mare, frutto di una ricerca coordinata dal professor Natalino Ronzitti, pubblicato nel dicembre 1994 e tuttora utilizzato e messo a disposizione per la consultazione dal Ministero della Difesa, illustra, all’articolo 38, anche il blocco navale: sulla base della Dichiarazione relativa al diritto della guerra marittima pubblicata a Londra il 26 febbraio 1909, lo definisce «un’operazione navale diretta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai litorali o dai porti nemici o occupati dal nemico».
Diversi invece il monitoraggio e l’interdizione marittima, illustrati rispettivamente dagli articoli 91 e 92 con specificazioni nei seguenti fino al 95: «Il monitoraggio – spiega il manuale – consiste in un’attività di sorveglianza da parte di navi da guerra dei traffici marittimi verso lo Stato sottoposto a sanzioni» attraverso tecniche di riconoscimento a vista e interrogazioni via radio, ma non di interventi diretti sull’imbarcazione; invece le operazioni di interdizione marittima, che possono essere intraprese solo su permesso delle Nazioni Unite e al fine di attuare le sanzioni decise dalle Nazioni Unite, si differenziano dalle operazioni di monitoraggio perché «legittimano l’esercizio da parte di navi da guerra del diritto di visita sui traffici marittimi da e verso lo Stato sottoposto a embargo». L’articolo 93 spiega che «sono soggette a interdizione navale esclusivamente le navi commerciali, indipendentemente dalla loro nazionalità», con possibili eccezioni decise dalle Nazioni Unite per motivi umanitari. L’articolo 94 chiarisce che l’interdizione marittima può avvenire solo in acque internazionali, salvo esplicita ingiunzione contraria da parte sempre delle Nazioni Unite.
Quanto stabilito nel Manuale di Natalino Ronzitti trova conferma in quanto scrive a proposito l’ex Ufficiale della Marina Militare ed esperto di diritto internazionale marittimo Fabio Caffio, circa una recente applicazione pratica dei casi illustrati: il teatro è quello della Libia del 2011, quando proprio Tripoli, allora gheddafiana, in seguito alla Risoluzione delle Nazioni Unite 1973 fu oggetto non quindi di blocco navale propriamente detto, ma prima di monitoraggio e poi di interdizione marittima al traffico di armi. Il monitoraggio, privo come si è detto di poteri coercitivi, cioè di azione pratica nei confronti di un’imbarcazione, era stato attuato dalle navi della NATO a partire dal 10 marzo, mentre dal 17 del mese – operativamente dal 20 – si passò alla possibilità di coercizione attiva. Non vennero stabiliti precisi limiti geografici – altro elemento che invece secondo il Ronzitti differenzia il blocco navale dalle altre forme – «sicchè in teoria – scrive Caffio riferendosi al presente agli eventi dell’epoca – l’embargo potrebbe essere applicato in tutto il Mediterraneo, a seconda delle capacità delle forze navali operanti».
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