Geopolitica

Libia: la lotta per il petrolio

30 Ottobre 2022

L’Europa ha bisogno di 18 milioni di barili di petrolio al giorno. Una cifra immensa, ma già significativamente minore dei quasi 22 milioni di barili che consumavano quotidianamente nel 2008, quando la grande crisi finanziaria ha gettato l’intera economia mondiale nel panico[1]. La nostra produzione continentale, che era di 3,5 milioni di barili al giorno nel 2009, dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione e l’embargo del petrolio russo, è scesa sotto al livello di mezzo milione al giorno[2], ma le previsioni dicono che, già quest’inverno, il nostro fabbisogno di petrolio calerà in modo imponente – in parte a causa del fatto che viene man mano sostituito dalle energie rinnovabili e dal gas LNG[3]. La quota di petrolio fornito dall’oleodotto russo Druzhba, che era di 2,2 milioni di barili al giorno nel 2019, è calata di oltre il 90%[4].

Alla disperata ricerca di forniture alternative, oltre a spingere sui giacimenti scoperti negli ultimi anni nel Mediterraneo, ed a stringere accordi (come quello firmato a fine ottobre tra Israele e Libano) che fino a un anno fa apparivano impossibili[5], i paesi del Sud Europa si sono rivolti prima di tutto ai paesi dell’Africa settentrionale (prima fra tutti l’Algeria) che da oltre mezzo secolo hanno sostenuto, con le loro forniture, la crescita economica ed industriale del nostro continente. In questo quadro c’è un paese, la Libia, che da solo, fino a vent’anni fa, forniva 4 milioni di barili al giorno e che, a causa della guerra civile, è arrivato a stop intermittenti ed oggi non riesce a superare una produzione giornaliera di 1,3 milioni di barili[6]. Una cifra che, se si raggiungesse la pace in questo tormentato paese, potrebbe tornare in brevissimo tempo alle quantità degli anni migliori. Sembra una semplice equazione nella quale guadagnano tutti perché la Libia vive dei proventi del petrolio, ma non è così.
Perché negli ultimi anni, non solo in Libia, ma in tutto il Medio Oriente, è cambiato tutto: la struttura del potere locale, la potenza militare, gli alleati. “Il Medio Oriente è il centro spirituale delle tre più importanti religioni monoteiste. Data la sua importanza geopolitica, qualsiasi conflitto in Medio Oriente non solo destabilizza la regione, ma il mondo intero. Per questo, il Medio Oriente è un importante centro degli affari mondiali; un’area politicamente, economicamente e culturalmente sensibile”[7], il luogo privilegiato di un confronto-scontro diplomatico, militare ed economico tra le Grandi Potenze. La crescita della domanda energetica da parte di Paesi, come ad esempio la Cina che 50 anni fa aveva un ruolo solo regionale, ha ridefinito i vecchi equilibri, con l’insorgenza di contrasti e conflitti di sempre più elevata rilevanza mondiale. È questo il caso di quella serie di eventi indicati come la Primavera Araba, di cui la crisi libica rappresenta uno dei capitoli salienti.

La Primavera Araba

Gli effetti della Primavera Araba sull’Africa settentrionale[8]
Chiamiamo “Primavera Araba” quella serie di proteste antigovernative, rivolte e ribellioni armate che si sono diffuse in gran parte del mondo arabo a partire dal 2010, aventi come epicentro la Tunisia, in risposta alla corruzione e alla stagnazione economica[9]. Giovani frustrati dall’aumento della disoccupazione, dalla povertà e dalla mancanza di futuro, ma anche stufi dei regimi autocratici mascherati da teocrazie, hanno chiesto un cambiamento radicale[10].

Le proteste si sono poi diffuse alla Libia, all’Egitto, allo Yemen, alla Siria ed al Bahrein, portando o alla deposizione di molti governanti (Zine El Abidine Ben Ali in Tunisia, Muammar Gheddafi in Libia, Hosni Mubarak in Egitto ed Ali Abdullah Saleh nello Yemen), o a terribili repressioni: grandi manifestazioni di piazza si sono avute in Marocco, Iraq, Algeria, Libano, Giordania, Kuwait, Oman e Sudan, ed in misura minore a Gibuti, in Mauritania, in Palestina ed in Arabia Saudita al grido ash-shaʻb yurīd isqāṭ an-niẓām! (in arabo: الشعب يريد إسقاط النظام, letteralmente “Il popolo vuole far cadere il regime”)[11].

L’onda si è attenuata verso la metà del 2012 a causa della brutale risposta delle autorità[12]alle proteste, spesso violente, dei manifestanti[13], da cui hanno tratto linfa altri conflitti sovraregionali: la guerra civile siriana[14]; l’ascesa dell’ISIS, l’insurrezione in Iraq e la successiva guerra civile[15]; la crisi egiziana, il colpo di Stato e i conseguenti disordini e insurrezioni[16]; la guerra civile libica; la crisi yemenita e la successiva guerra civile[17]. Oltre alla repressione fisica, stavolta i regimi sono stati costretti a limitare l’accesso ad Internet[18]ed a bloccare completamente l’uso di Facebook[19]: anche nei paesi arabi i giovani si danno oramai appuntamento con i social networks.
I paesi travolti dalla Primavera Araba sono quelli la cui produzione petrolifera è meno rilevante, come ad esempio la monarchia marocchina, che è stata sul punto di essere spazzata via[20]: “L’esperienza del Marocco suggerisce che una maggiore libertà politica, soprattutto la libertà di associazione, può facilitare l’emergere di molteplici versioni dell’Islam, riducendo la rilevanza di un unico grande movimento musulmano come ombrello per il sentimento di opposizione. I mezzi migliori per contenere il malcontento e promuovere la moderazione tra le forze antidemocratiche sono uno spazio politico pluralista e libere elezioni. I dilemmi che il Re deve ora risolvere di fronte all’alienazione dei cittadini rivelano i limiti di una strategia gestita da un autocrate filo-occidentale”[21]. Ma l’incapacità di adattamento è uguale quasi ovunque, dato che l’unica strategia dei governi è stata quella di mantenere una secolarizzazione del potere, in contrapposizione a movimenti di ribellione che si sono identificati nell’Islam[22].

Nei paesi in cui la reazione del potere è stata più violenta contro i movimenti generati dal fondamentalismo islamico (primo fra tutti l’Egitto) il vuoto di potere creato dalla Primavera Araba ha portato a dittature feroci e bellicose che stanno destabilizzando non solo il Medio Oriente ed il Mediterraneo, ma l’intero pianeta, come avvenuto in Yemen[23], in Bahrein, in Siria, Iraq ed in Libia[24]. Queste nuove dittature sono tutte fortemente influenzate (militarmente ed economicamente) da potenze straniere (come l’Egitto, ormai colonia saudita) che, specialmente nello Yemen ed in Libia, si contendono il controllo del paese, sostenendo sanguinari milizie locali[25]. La Libia, in tale contesto, è un caso speciale: dopo essere stata uno dei maggiori produttori di idrocarburi del mondo nonché, fino alla Primavera Araba, uno di quelli in cui il benessere era maggiormente diffuso, oggi è il punto di partenza principale dei barconi di disperati clandestini che cercano di entrare in Europa ed il simbolo del tentativo turco di ricostruire un impero.

In ogni caso, già nell’ultimo periodo del regime di Gheddafi la Cina aveva iniziato ad operare un tentativo di infiltrazione nel Paese con l’offerta al governo del Rais di qualcosa come ben 200 milioni di dollari in armi e munizioni da usare contro i ribelli, in violazione delle sanzioni delle Nazioni Unite[26]. Le armi avrebbero dovuto essere consegnate attraverso Paesi terzi come l’Algeria o il Sudafrica, che non sostenevano le nazioni ONU contro Gheddafi[27]. Pechino è famosa per il pragmatismo del suo governo, per cui l’appoggio cinese è andato, durante la Primavera Araba, ai regimi al potere, contro la rivolta popolare[28]. Dopo la morte del dittatore, la Cina ha cercato un referente credibile per le forniture petrolifere, “conquistando i successori di Gheddafi”[29]. La strategia di Pechino, che è stata per prima cosa una conseguenza della paura del governo cinese che la rivolta si potesse estendere anche all’interno dei propri confini, è stata confermata dopo il lancio del progetto “one Belt one Road”, che mira al dispiegamento militare cinese in ogni parte del mondo[30] ed all’espansione industriale cinese nella ricostruzione e nell’accesso agli idrocarburi libici[31].

La fine di Gheddafi

20 ottobre 2011: il colonnello Muhammar Gheddafi viene ucciso dalle truppe ribelli[32]
La Primavera Araba colpisce la Libia il 15 febbraio 2011, quando migliaia di cittadini scendono in strada per protestare contro oltre mezzo secolo di regime dispotico[33]. Chi protesta è ben organizzato, anche militarmente, il che lascia sospettare fin dal primo momento un’operazione di intelligence occidentale, visto che francesi ed americani cercano da decenni di abbattere il potere del colonnello Muammar Gheddafi[34]:  il 18 febbraio 2011 l’opposizione prende il controllo della maggior parte di Bengasi, la seconda città del Paese, che le truppe d’élite e le milizie prontamente inviate dal Governo invano cercano di riconquistare[35].

Il 20 febbraio 2011 cade la capitale, Tripoli, e per l’occasione Saif al-Islam Gheddafi, uno dei figli del colonnello, nel corso di un discorso televisivo, dopo aver ammesso gli errori commessi dalle forze di polizia e dell’esercito nel tentativo di fronteggiare la rivolta, ha ammonito i manifestanti sul rischio di far precipitare il Paese in una guerra civile[36]fomentata, a suo dire, da non meglio precisati uomini d’affari stranieri[37], che qualora portasse ad una frammentazione del Paese porrebbe fine all’esistenza della Libia stessa: “La Libia ha il petrolio ed è il petrolio che ha unificato la Libia… Chi ha la capacità di gestire il petrolio in Libia? Dove avrà sede la National Oil Company? A Tripoli… Baida o Sabha. Come possiamo dividere il petrolio?”[38]: parole che, alla luce degli attuali accadimenti, sono state a dir poco profetiche.

Il crescente numero di morti attira ben presto la condanna internazionale e porta alle dimissioni di molti diplomatici libici ed alla decisione di considerare Gheddafi il nemico da abbattere – anche per l’Occidente[39]: di fronte alla reazione delle truppe fedeli al Colonnello, che porta alla riconquista di gran parte della costa mediterranea, il 17 marzo 2011 viene adottata, con 10 voti a favore e 5 astensioni (tra cui quelle di Cina e Russia[40]) la Risoluzione 1973[41] del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizza una no-fly zone sulla Libia e gli eserciti stranieri a prendere tutte le “misure necessarie”[42] per proteggere i civili.

Due giorni dopo, in deroga al §9 della risoluzione ONU 1970/2011[43], ed in violazione al divieto sancito dall’articolo 2.4 della Carta ONU[44], Francia, Stati Uniti e Regno Unito iniziano una massiccia campagna di bombardamenti, denominata Unified Protector, diretta contro le forze pro-Gheddafi con il supporto di 27 Stati europei e del Medio Oriente – giustificando l’attacco militare con la Risoluzione ONU 1973/2011, una delle risoluzioni più controverse della storia delle Nazioni Unite, che di fatto scatenano una campagna internazionale conclusa il 31 ottobre 2011 con la conquista delle maggiori città della Libia e la cattura di Gheddafi, ucciso il 20 ottobre da miliziani del Consiglio Nazionale di Transizione[45].

Ciò non porta la pace. In giro per la Libia ci sono militari del regime passati alle forze ribelli, brigate rivoluzionarie che hanno disertato dall’Esercito libico, brigate post-rivoluzionarie e varie altre milizie composte da gente comune, talvolta basate su alleanze tribali, che si evolvono in reti criminali[46]. La violenza, invece di smettere, aumenta[47]. La NCT, incapace di mutare le cose, cercando di ripristinare in qualche modo lo stato di diritto, ha invitato i vari gruppi armati ad unirsi sotto l’egida del ministero della Difesa e, quindi, sul libro paga di un nuovo governo nazionale[48].

Bengasi, 7 marzo 2018: Khalifa Haftar (sinistra) e il capo dell’esercito libico, Abdelrazak al-Nadhuri (destra)[49]
Questo ha dato legittimità a molti gruppi armati, tra cui quello del generale Khalifa Belqasim Haftar, già comandante delle truppe d’élite di Gheddafi, che ha registrato il proprio gruppo armato come “Esercito Nazionale Libico”, lo stesso nome che aveva usato per le forze anti-Gheddafi dopo il conflitto ciadiano-libico degli anni ’80[50]. Costui ha alle spalle una vita romanzesca: giovane e brillante ufficiale, nel 1969 prende parte al colpo di stato che conduce al potere Gheddafi e diventa membro del Consiglio del Comando Rivoluzionario[51]. Abile e prudente, diventa un alto ufficiale di quell’esercito libico[52] di cui è stato Capo di Stato Maggiore[53].

Laico e seguace dell’ex presidente egiziano Nasser[54], formato alla scuola militare sovietica, è al comando delle truppe libiche che nel 1973 (guerra dello Yom Kippur), al fianco di quelle egiziane entrano nel Sinai occupato da Israele[55].  Alla fine degli anni ’80, Haftar comanda le forze libiche durante il conflitto ciadiano-libico. Preso prigioniero nel 1987, durante la prigionia forma un contingente di circa 2000 prigionieri libici, la “Forza Haftar”, equipaggiata dagli Stati Uniti che gli assegnano il compito di rovesciare il regime libico: sicché trascorre quasi 20 anni negli USA, ottenendo anche la cittadinanza[56]. Nel 1993, mentre abita a Vienna (Virginia), a pochi chilometri di distanza dalla sede della CIA[57], viene condannato a morte a Tripoli, in contumacia, per “crimini contro la Jamāhīriyya libica”[58].

Torna in patria nel 2011 per partecipare all’insurrezione contro Gheddafi millantando di essere a capo dell’apparato militare rivoluzionario: notizia smentita dal Consiglio Nazionale di Transizione[59]. Tuttavia, nell’aprile 2011, è diventato il numero 3 della gerarchia dell’esercito, col grado di Tenente Generale, al fianco di Abd al-Fattah Yunis, Comandante in Capo delle Forze Armate Ribelli, e di Omar al-Hariri, il Capo di Stato Maggiore di Yunis[60] .Un esercito che sopravvive grazie all’appoggio americano, perché le decine di tribù libiche, mortalmente divise da odi secolari, non hanno nessuna intenzione di aderire ad uno Stato unitario.

Una situazione che confonde noi Occidentali, come in occasione dell’11 settembre 2012, allorché militanti di Al-Qaeda hanno attaccato il consolato statunitense a Bengasi[61], uccidendo l’ambasciatore statunitense e altre tre persone: la cosa ha suscitato una protesta popolare contro le milizie e ha portato all’assalto di diverse basi delle milizie islamiste da parte dei manifestanti[62]. Queste azioni, unitamente alla repressione delle milizie[63], determina un inarrestabile crescendo di violenza che degenera nella Seconda Guerra Civile Libica[64], cui prendono parte:
• Le milizie fedeli al governo della Camera dei Rappresentanti (o “Governo di Tobruk”), nato nel 2014 a seguito della consultazione elettorale, riconosciuto a livello internazionale come governo Libico fino all’istituzione del GNA. Più forti nella Libia orientale, queste milizie sono appoggiate dall’Esercito Nazionale Libico di Haftar e sostenute da Egitto ed Emirati Arabi Uniti[65];
• Le milizie fedeli al governo islamista del Congresso Nazionale Generale (GNC), chiamato anche governo di salvezza nazionale, con sede nella capitale, Tripoli, più forti nella Libia occidentale e guidate dai Fratelli Musulmani, sostenute dalla coalizione nota come Alba della Libia e da altre milizie[66], nonché sostenute da Qatar, Sudan e Turchia[67];
• Il Consiglio islamico della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, guidato da Ansar al-Sharia (Libia), sostenuto dal GNC[68];
• Le province dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), che controllano gran parte della Cirenaica[69];
• Le milizie tuareg di Ghat, che controllano le aree desertiche nel sud-ovest;
• Le le forze locali del distretto di Misurata, che controllano le città di Bani Walid e Tawergha.

Milizie Tuareg di Ghat nel distretto del Fezzan[70]
Nel dicembre del 2015, grazie al cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite ed alla decisione del 5 aprile 2016 del governo della Libia occidentale di sospendere le operazioni, le due fazioni si sono unite, almeno in linea di massima, dando vita al GNA (Governo di Accordo Nazionale), riconosciuto e sostenuto dall’ONU[71], benché non ci fosse ancora alcun accordo su alcuni punti nodali come l’amministrazione della NOC, la National Oil Corporation – questione risolta con un accordo raggiunto il 2 luglio 2016[72]. Nonostante questo, però, il GNA non ha ancora ottenuto l’approvazione di Haftar e dei suoi sostenitori che sedevano nel governo di Tobruk[73]: questo perché il GNA ha una posizione ambigua nei confronti dell’ISIS, che continua a controllare la Cirenaica[74], e comunque non ha accordi con molte delle milizie tribali ancora attive in punti sparsi della Libia[75].

Un aspetto controverso della politica di Fayez Al-Serraj, l’uomo scelto dall’Occidente per guidare la Libia, è il suo presunto legame con i Fratelli Musulmani – confermato dall’alleanza con Qatar e Turchia – decisamente poco graditi dal generale Haftar[76]. Comunque sia, l’11 settembre 2016 Haftar, assunto il controllo di due terminali petroliferi[77], si è venuto a trovare nella condizione di poter trattare con la NOC da una posizione di forza che gli ha consentito di raggiungere un accordo per aumentare la produzione e le esportazioni di petrolio[78] che ha messo tutti e nove i principali terminali petroliferi libici nelle condizioni di poter tornare ad essere operativi a partire dal gennaio del 2017[79].
Alcuni definiscono i conflitti che si sono succeduti dal 2011 in poi, cioè dall’inizio della Primavera Araba e che sono ancora in corso, come l’Inverno Arabo. Già oltre 10 anni fa sosteneva Henry Kissinger: “La primavera araba è generalmente discussa in termini di prospettive di democrazia. Altrettanto significativo è il crescente appello – da ultimo in Siria – all’intervento esterno per realizzare un cambio di regime, ribaltando le nozioni prevalenti di ordine internazionale. Se l’obiettivo si limita a deporre un governante specifico, nel vuoto che ne deriva potrebbe scatenarsi una nuova guerra civile, con i gruppi armati che si contendono la successione e i Paesi esterni che scelgono parti diverse”[80].

L’Inverno Arabo in Libia

Le forze in campo in Libia (dicembre 2016)[81]
Un decennio dopo dobbiamo riconoscere che l’ex Segretario di Sato di Richard Nixon ha avuto ragione. Nel maggio 2018, solo la rivolta in Tunisia aveva portato, almeno in apparenza, ad una transizione verso un governo democratico, peraltro già in crisi: il referendum del 25 luglio 2022, infatti, che ha visto il Paese dotarsi di una nuova Costituzione che ha cambiato il sistema politico e formalizzato il graduale processo di accentramento dei poteri condotto dal presidente Kaïs Saïed[82], non lascia ben sperare per il futuro, né in senso economico, né in senso sociale[83].

Ancora oggi sono in corso molteplici conflitti nati dalla Primavera Araba. La guerra civile siriana, ad esempio, ha causato decine di migliaia di morti e di fuggitivi, e conseguentemente una massiccia instabilità politica e difficoltà economiche, con la sterlina siriana che è precipitata a minimi storici[84]; in Libano la crisi bancaria sta minacciando l’economia del Paese (che registra un debito pubblico pari al 495% del PIL ed una svalutazione del 90% della valuta)[85]; in Yemen la guerra civile continua ad insanguinare il Paese[86], mentre in Libia si è (per ora) conclusa una sanguinosa guerra civile, con l’Occidente e la Russia che hanno inviato combattenti per vincerla[87].

All’inizio del 2018 le forze in campo in Libia sono le seguenti:
• Il governo riconosciuto dall’ONU, appoggiato dalla comunità internazionale e diplomaticamente dall’Italia (interessata alla diminuzione delle migrazioni tramite accordi con Tripoli) dal Qatar e dalla Turchia – quello di Fayez Al-Serraj e del GNA, con sede a Tripoli;
• Il generale Haftar e il suo esercito, il Libyan National Army (LNA) saldamente al controllo della Cirenaica (con sede prima a Tobruch e poi a Bengasi) e supportato dalla Francia (che ha visto in Haftar un paladino per l’eliminazione del terrorismo), dall’Egitto (alleato per combattere l’ISIS), dagli Emirati Arabi Uniti (per ovvi interessi petroliferi) e dalla Russia[88]. La Russia combatte con i mercenari del Wagner Group[89], tristemente famosi per la loro ferocia[90], ed invia armi ed aerei da caccia[91].

Si tratta di una novità poiché negli attacchi precedenti al regime di Gheddafi le nazioni che hanno bombardato il paese sono state propio quella Francia e quegli Stati Uniti che ora, in questa seconda guerra civile libica, intervengono soltanto per attaccare i predoni che cercano di rubare petrolio dai depositi che riforniscono l’Occidente[92]. Dal 2018 in poi, gran parte del conflitto viene combattuto dai droni, che provengono dagli Emirati Arabi Uniti e, in misura massiccia, dalla Turchia, il cui impegno è stato pagato con delle licenze di sfruttamento di giacimenti petroliferi nel Mediterraneao, al largo dell’isola di Creta[93]. Nell’aprile del 2019 le truppe del generale Haftar hanno ripreso la loro marcia verso ovest, portandosi a meno di cento chilometri da Tripoli, finché l’equivalenza delle forze in campo ha condotto ad uno stallo[94].

Va notato che solo l’entrata in campo della Turchia ha salvato il GNA, un GNA che stava per soccombere[95]. La situazione sul campo di battaglia è paradossale: nonostante l’embargo ONU sulle forniture di armi, la Libia è la destinataria delle armi delle principali potenze industriali, e le violazioni sono evidenti da ambo le parti coinvolte nel conflitto[96]. Il presidente Erdogan, è l’unico ad aver trattato non in cambio di denaro, ma in cambio di un accordo sulla ridefinizione dei confini delle acque territoriali libiche, creando una zona economica speciale marittima tra la Libia e la Turchia[97]. L’accordo è un palese segnale di sfida verso la Grecia e, quindi, l’Unione Europea, poiché viola i principi della sovranità marittima greca, grazie al quale Ankara assume una posizione di vantaggio sullo sfruttamento delle risorse petrolifere libiche e sulle future esplorazioni in quel tratto di Mediterraneo[98].

Chi controlla il petrolio libico?

Il generale di brigata Ahmed al-Mismari, portavoce di LNA[99]
Gli idrocarburi sono l’unica ricchezza della Libia (48 miliardi di barili di riserve, tra le maggiori dell’Africa) sicché i giacimenti, oltre ad aver rappresentato il fattore aggregante delle varie tribù libiche, è diventano oggetto di pressione nella guerra civile, mandando in tilt le forniture per l’Europa e facendo schizzare il prezzo al barile sui mercati finanziari[100]. L’ultimo “attentato” ai pozzi è quello dell’aprile del 2021, quello a seguito del quale sono stati chiusi i pozzi di Sharara (nel deserto a sud di Tripoli) in quanto i dipendenti della vecchia società estrattiva di Stato, la NOC, sono stati minacciati[101].

Ciò accade sistematicamente dalla caduta di Gheddafi, spesso su iniziativa delle milizie fedeli ad Haftar o dei mercenari del Wagner Group[102]. Dall’inizio della seconda guerra civile la diminuzione della produzione ha portato ad esportazioni oscillanti tra i 365.000 ed i 409.000 barili al giorno, il che significa una diminuzione di 865.000 barili al giorno rispetto alla produzione in “circostanze normali”, come comunicato ufficialmente dal NOC a inizio luglio 2022[103].

Lo stop totale è stato evitato solo da un intervento diplomatico delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, della Francia e dell’Egitto[104]. Il presidente di NOC, Mustafa Sanallah, da tempo richiede la nascita di una forza militare della NOC in grado di difendere i giacimenti petroliferi, i gasdotti e i terminali di esportazione[105]. Sanallah ha anche denunciato lo spostamento di mercenari russi della Wagner[106]: “Il petrolio della Libia è per il popolo libico. Respingo completamente i tentativi da parte di Paesi stranieri di impedire la ripresa della produzione di petrolio […] Non abbiamo bisogno di mercenari russi e di altri stranieri in Libia”[107].

La partita che la Russia gioca in Libia, come emerso nel settembre del 2022, è di boicottare i rifornimenti all’Occidente, e di conquistare definitivamente i pozzi della Cirenaica, il che permetterebbe a Putin di aggirare l’embargo contro gli idrocarburi russi per l’invasione dell’Ucraina[108]. Nell’agosto del 2022 il gruppo petrolifero statale russo Zarubezhneft ha inviato in Libia una delegazione, su invito della Arabian Gulf Oil Co (AGOCO), filiale della NOC che gestisce molte importanti infrastrutture, tra cui il terminal di Tobruk[109]. La missione, giunta a Bengasi (la città da cui il generale Haftar domina la Cirenaica con il supporto dei mercenari della Wagner), ha chiuso l’incontro con la firma di un memorandum preliminare che prevede[110]: a) il lancio di campagne di esplorazione su nuovi giacimenti a Sarir e Masala (con una capacità combinata di 350.000 barili al giorno); b) l’ampliamento della collaborazione libico-russa alla costruzione di “infrastrutture congiunte per lo stoccaggio”: un progetto inquietante, perché fa sospettare la possibilità di “triangolazioni” verso i mercati europei del greggio russo – qualcosa che, secondo Bloomberg, sarebbe già accaduto nel terminal di El Hamra[111].

NOC è comunque in mano al generale Haftar: a luglio la presidenza della NOC è passata a Farhat Omar Bengdara, uno dei più stretti consiglieri del generale, e la cui nomina è stata interpretata come il primo passo di un’intesa politica[112]. Un’intesa confermata da un altro fedelissimo di Haftar, il generale di brigata Ahmed al-Mismari, che ha dichiarato “Proteggiamo il 90% del petrolio libico”, ovvero quei nove decimi del petrolio prodotto nell’area protetta dall’Esercito nazionale libico (LNA) di cui Khalifa Haftar è Comandante in capo[113]. “Il gas che è importato dall’Italia, invece, è fuori dall’area che proteggiamo”, ha ricordato Mismari[114]. In questo modo si ha la misura della capacità di ricatto di Haftar. Alla fine di ottobre 2022 NOC ha segnalato che la produzione giornaliera di petrolio è tornata a 1,2 milioni di barili quotidiani, ma la domanda a questo punto è: per quanto tempo ancora?

 

 

 

 

 

 

[1] https://www.statista.com/statistics/332050/total-oil-daily-consumption-in-europe/
[2] https://www.statista.com/statistics/265206/oil-production-in-the-european-union-in-barrels-per-day/
[3] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Oil_and_petroleum_products_-_a_statistical_overview&oldid=315177
[4] https://www.reuters.com/world/europe/how-much-oil-does-european-union-import-russia-2022-04-06/
[5] https://edition.cnn.com/2022/10/27/middleeast/israel-lebanon-sign-gas-deal-intl/index.html
[6] https://www.aa.com.tr/en/energy/energy-projects/libya-eyes-62-oil-output-rise-to-21-million-barrels-per-day/32897
[7] “Conflict and Diplomacy in the Middle East – External Actors and Regional Rivalries”, Edited by Yannis A. Stivachtis https://www.e-ir.info/wp-content/uploads/2018/11/Conflict-and-Diplomacy-in-the-Middle-East-E-IR.pdf
[8] https://www.limesonline.com/le-migliori-15-carte-sulla-primavera-araba/25984
[9] https://www.reuters.com/article/tunisia-protests-bouazizi-idAFLDE70G18J20110119 ; http://www.payvand.com/news/11/feb/1080.html
[10] P. Manfreda ,”The Reasons for the Arab Spring, The Root Causes of the Arab Awakening in 2011”, Pag.135 https://phd-dissertations.unizik.edu.ng/repos/81282590950_151185619167.pdf ; https://www.thoughtco.com/the-reasons-for-the-arab-spring-2353041
[11] https://www.huffpost.com/entry/what-is-the-arab-third-es_b_832628 ;
[12] https://www.reuters.com/article/us-morocco-protests-idUSTRE74L2YK20110522 ; https://web.archive.org/web/20111026093919/http:/www.irishtimes.com/newspaper/opinion/2011/0531/1224298143757.html ; https://www.cbsnews.com/news/bahrain-troops-lay-siege-to-protesters-camp/
[13] https://english.ahram.org.eg/NewsContent/2/0/10315/World/0/Syria-clampdown-on-protests-mirrors-Egypts-as-thug.aspx ; https://www.washingtonpost.com/world/yemeni-government-supporters-attack-protesters-injuring-hundreds/2011/03/16/AB56R9g_story.html ; https://web.archive.org/web/20110301043128/http:/www.huffingtonpost.com/2011/02/24/libya-protests-gaddafi-fo_n_827568.html
[14] Phil Karber, (2012). “Fear and Faith in Paradise”; https://www.americamagazine.org/issue/culture/arab-winter
[15] https://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-Arab-Winter-is-coming-to-Baghdad-359348
[16] https://www.euronews.com/2013/02/08/egypt-and-tunisia-s-new-arab-winter
[17] https://www.middleeasteye.net/news/yemens-arab-winter
[18] https://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/egypt/8287737/Egypt-protests-internet-service-disrupted-before-large-rally.html
[19] https://aisel.aisnet.org/cgi/viewcontent.cgi?article=1482&context=sprouts_all
[20] https://www.journalofdemocracy.org/articles/tracking-the-arab-spring-why-the-modest-harvest/  ; https://www.journalofdemocracy.org/wp-content/uploads/2013/10/Brown-24-4.pdf ; https://www.journalofdemocracy.org/articles/resilient-royals-how-arab-monarchies-hang-on/ ;
[21] https://www.journalofdemocracy.org/articles/moroccos-elections-the-limits-of-limited-reforms/
[22] https://www.journalofdemocracy.org/wp-content/uploads/2013/04/Stepan-24-2.pdf ; https://www.journalofdemocracy.org/wp-content/uploads/2012/04/Nasr-16-2.pdf
[23] https://www.newyorker.com/magazine/2018/04/09/a-saudi-princes-quest-to-remake-the-middle-east
[24]https://repository.library.georgetown.edu/bitstream/handle/10822/1042998/TheMuslimWorld_CIRS_Special_Issue_Intro_January2017.pdf?sequence=1&isAllowed=y
[25] https://www.e-ir.info/wp-content/uploads/2018/11/Conflict-and-Diplomacy-in-the-Middle-East-E-IR.pdf
[26] https://www.nytimes.com/2011/09/05/world/africa/05libya.html
[27] https://www.nytimes.com/2011/09/05/world/africa/05libya.html
[28] https://www.nytimes.com/2011/09/05/world/africa/05libya.html
[29] https://thediplomat.com/2011/09/did-china-sell-arms-to-libya/ ; https://thediplomat.com/2011/08/we-will-respect-libya-choices/
[30] “For example, the construction in April 2016 of the first overseas naval base in Doraleh, an extension of the port of Djibouti, provides China with access to maritime routes distant from Chinese territory that have allowed the PLA Navy to establish a presence in the Red Sea, thus also moving closer to the Mediterranean Sea. The robust logistics provided by the BRI also allows China to support its military power from a distance” https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-bri-la-nuova-della-seta-23784
[31] https://www.limesonline.com/la-cina-in-nordafrica-4-la-libia-e-i-limiti-della-non-ingerenza/118882
[32] https://groundviews.org/2011/10/30/sri-lanka-and-the-death-of-muammar-gaddafi/
[33] Ronald Bruce St. John, “Libya: From Colony to Revolution”, Oxford, Oneworld 2010, pages 278-284
[34] Ronald Bruce St. John, “Libya: From Colony to Revolution”, Oxford, Oneworld 2010, pages 81-180
[35] https://www.reuters.com/article/idINIndia-55032320110221
[36] https://www.reuters.com/article/idINIndia-55032320110221
[37] https://www.reuters.com/article/idINIndia-55032320110221
[38] https://www.reuters.com/article/idINIndia-55032320110221
[39] https://www.reuters.com/article/libya-protests-interim-idUSLDE71P0GU20110226
[40] https://lospiegone.com/2019/05/23/tra-risoluzioni-e-missioni-le-nazioni-unite-in-libia/
[41] https://tind-customer-undl.s3.amazonaws.com/045ded51-0631-4b9e-9d86-9169e3e606b1?response-content-disposition=attachment%3B%20filename%2A%3DUTF-8%27%27S_RES_1973%25282011%2529-EN.pdf&response-content-type=application%2Fpdf&X-Amz-Algorithm=AWS4-HMAC-SHA256&X-Amz-Expires=86400&X-Amz-Credential=AKIAXL7W7Q3XFWDGQKBB%2F20221023%2Feu-west-1%2Fs3%2Faws4_request&X-Amz-SignedHeaders=host&X-Amz-Date=20221023T082225Z&X-Amz-Signature=c2edf9755aaa7ca86db6cb032a31c50d2f0ae7e80a544c75f95d226c1ed76db5
[42] http://www.vita.it/static/upload/attach/7c37f762d305855e8e11cfbff5e57f78.pdf
[43] https://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/Security_Council_Res1970_2011_2.pdf
[44] “Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite” art.2.4 Carta dell’ONU https://treaties.un.org/doc/publication/ctc/uncharter.pdf
[45] https://groundviews.org/2011/10/30/sri-lanka-and-the-death-of-muammar-gaddafi/
[46] https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RR500/RR577/RAND_RR577.pdf ; https://www.files.ethz.ch/isn/154683/SAS-WP12-After-the-Fall-Libya.pdf
[47] https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RR500/RR577/RAND_RR577.pdf ; https://www.nytimes.com/2011/11/02/world/africa/in-libya-the-fighting-may-outlast-the-revolution.html ; https://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/libya/8860684/Libya-revolutionaries-turn-on-each-other-as-fears-grow-for-law-and-order.html
[48] https://carnegieendowment.org/2014/09/24/ending-libya-s-civil-war-reconciling-politics-rebuilding-security-pub-56741
[49] https://www.arabnews.com/node/1318056/amp
[50] https://www.huffpost.com/entry/americas-own-war-criminal-in-libya_b_57a851f4e4b034b258956cc6
[51] https://web.archive.org/web/20140522195828/https://www.middleeastmonitor.com/articles/africa/11606-khalifah-haftar-a-new-al-sisi-in-libya
[52] https://web.archive.org/web/20140828011915/http://www.bbc.com/news/world-africa-27492354
[53]https://web.archiv.e.org/web/20140519065411/http://www.philly.com/philly/news/nation_world/20140518_ap_b37be9896df04792a20297c0f382ce3b.html?c=r
[54] https://web.archive.org/web/20140522195828/https://www.middleeastmonitor.com/articles/africa/11606-khalifah-haftar-a-new-al-sisi-in-libya
[55] https://www.ft.com/content/0b4a3e30-e0f8-11e3-875f-00144feabdc0  ; https://theworld.org/stories/2019-04-10/libyan-warlord-took-twisted-path-tripoli
[56] https://www.nytimes.com/2014/05/28/opinion/the-new-danger-in-benghazi.html?action=click&contentCollection=Opinion&region=Footer&module=MoreInSection&pgtype=article
[57] https://www.democracynow.org/2011/3/29/a_debate_on_us_military_intervention
[58] https://eng.majalla.com/node/90206/khalifa-haftar-the-libyan-general%C2%A0in-a-battle-for-control-of-the-capital%C2%A0
[59] https://www.theguardian.com/world/2011/apr/03/libya-rebel-leadership-split
[60] https://www.economist.com/middle-east-and-africa/2011/05/19/the-colonel-feels-the-squeeze ; https://www.bbc.co.uk/blogs/newsnight/markurban/2011/04/the_task_of_forming_a_more_eff.html
[61]https://ballotpedia.org/Terrorist_attack_on_U.S._mission_in_Benghazi,_2012   Schuchter, Arnold (2015). “Isis Containment & Defeat: Next Generation Counterinsurgency”; https://ruor.uottawa.ca/bitstream/10393/35286/1/MYERS,%20Laurel%2020165.pdf
[62]  https://www.washingtonpost.com/world/asia_pacific/libya-militia-leader-heat-seeking-missiles-other-weapons-stolen-during-firefight/2012/09/24/8ab6f992-0675-11e2-afff-d6c7f20a83bf_story.html ; https://web.archive.org/web/20120924035749/http:/english.alarabiya.net/articles/2012/09/21/239416.html
[63] https://www.aljazeera.com/news/2012/9/23/libyan-forces-raid-militia-outposts
[64] https://web.archive.org/web/20150320232806/http://www.conflict-news.com/libyas-second-civil-war-how-did-it-come-to-this/ ; https://nationalpost.com/opinion/national-post-view-stabilizing-libya-may-be-the-best-way-to-keep-europe-safe
[65] https://nationalpost.com/opinion/national-post-view-stabilizing-libya-may-be-the-best-way-to-keep-europe-safe
[66] https://www.theguardian.com/world/2014/aug/29/-sp-briefing-war-in-libya ; https://carnegieendowment.org/2014/10/06/libya-s-legitimacy-crisis/hr9j
[67] https://nationalpost.com/opinion/national-post-view-stabilizing-libya-may-be-the-best-way-to-keep-europe-safe ; https://www.economist.com/briefing/2015/01/10/that-it-should-come-to-this
[68] https://english.ahram.org.eg/NewsContent/2/8/123755/World/Region/Bashir-says-Sudan-to-work-with-UAE-to-control-figh.aspx
[69] https://www.libyaherald.com/2014/11/omar-al-hassi-in-beautiful-ansar-row-while-100-gnc-members-meet/#axzz3cnd2kDDR
[70] https://nena-news.it/libia-nel-fezzan-dimenticato-si-gioca-la-stabilita-libica/
[71] https://foreignpolicy.com/2015/03/06/libya-civil-war-tobruk-un-negotiations-morocco/
[72] https://www.reuters.com/article/us-libya-security-politics-idUSKCN0X22KG
[73] https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-07-03/libya-oil-chiefs-reunify-state-producer-to-end-row-on-exports?leadSource=uverify%20wall
[74] https://www.changethefuture.it/informazione/guerra-libia/
[75] https://www.changethefuture.it/informazione/guerra-libia/
[76] https://www.changethefuture.it/informazione/guerra-libia/ ; https://insideover.ilgiornale.it/politica/linternazionale-dei-fratelli-musulmani-spinge-su-tripoli.html
[77] https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-07-03/libya-oil-chiefs-reunify-state-producer-to-end-row-on-exports?leadSource=uverify%20wall
[78] https://web.archive.org/web/20170116160402/https:/www.bloomberg.com/news/articles/2016-09-12/libya-s-oil-comeback-derailed-as-former-general-seizes-ports
[79] https://web.archive.org/web/20170202113443/https:/www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-16/libya-to-nearly-double-oil-output-as-opec-s-task-gets-harder
[80] https://www.washingtonpost.com/opinions/syrian-intervention-risks-upsetting-global-order/2012/06/01/gJQA9fGr7U_story.html
[81] http://www.limesonline.com/haftar-a-mosca-la-russia-in-libia/95627
[82] “La Tunisia attraversa una grave crisi politica dal 25 luglio 2021, quando Saied ha avviato una serie di misure eccezionali, principalmente relative alla destituzione del governo e alla nomina di un nuovo esecutivo, allo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura e del Parlamento, legiferando con decreti presidenziali. Il presidente tunisino ha inoltre promulgato una nuova Costituzione e annunciato elezioni legislative anticipate.

Diverse forze politiche e sociali tunisine respingono i provvedimenti di Saied, che considerano “un colpo di stato contro la Costituzione” del 2014 e una consacrazione del potere assoluto e individuale”. https://www.africarivista.it/tunisia-saied-presenta-il-decreto-sulle-prossime-elezioni/206929/
[83] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tunisia-transizione-democratica-rischio-36210
[84] https://www.theguardian.com/world/2020/jun/12/us-caesar-act-sanctions-and-could-devastate-syrias-flatlining-economyUS
[85] https://www.reuters.com/markets/rates-bonds/penny-pinching-power-cuts-lebanons-middle-class-squeezed-by-crisis-2022-01-23/
[86] https://www.arabnews.com/node/1688576/middle-east ; https://www.bbc.com/news/world-middle-east-29319423
[87] https://www.independent.co.uk/voices/libya-war-haftar-tripoli-russia-putin-us-turkey-a9557136.html ; https://www.independent.co.uk/news/world/africa/libya-war-tripoli-haftar-russia-turkey-gna-a9554976.html
[88] https://www.limesonline.com/haftar-e-la-russia/96328
[89] WAGNER GROUP: I FANTASMI DI MORTE SCATENATI DAL CREMLINO | IBI World Italia
[90] https://www.repubblica.it/esteri/2019/11/06/news/russia_libia_mercenari_haftar-240367691/
[91] https://www.repubblica.it/esteri/2020/05/21/news/escalation_in_libia_la_russia_trasferisce_8_aerei_da_caccia-257250590/
[92] https://www.repubblica.it/esteri/2019/11/06/news/russia_libia_mercenari_haftar-240367691/
[93] https://www.repubblica.it/esteri/2019/11/06/news/russia_libia_mercenari_haftar-240367691/
[94] https://www.changethefuture.it/informazione/guerra-libia/
[95] https://www.osservatoriodiritti.it/2020/05/26/guerra-in-libia/ ; https://www.ispionline.it/it/print/pubblicazione/perche-la-turchia-interviene-libia-24800
[96] https://www.osservatoriodiritti.it/2019/10/24/guerra-in-libia-oggi/ ; https://www.ispionline.it/it/print/pubblicazione/perche-la-turchia-interviene-libia-24800
[97] https://www.osservatoriodiritti.it/2020/05/26/guerra-in-libia/ ; https://www.ispionline.it/it/print/pubblicazione/perche-la-turchia-interviene-libia-24800
[98] https://www.osservatoriodiritti.it/2020/05/26/guerra-in-libia/ ; https://www.ispionline.it/it/print/pubblicazione/perche-la-turchia-interviene-libia-24800
[99] https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/energia/2022/09/15/libia-portavoce-di-haftar-proteggiamo-il-90-del-petrolio_f2dea28e-0672-4ddd-9865-3f6f97226ecf.html
[100]https://www.repubblica.it/esteri/2022/07/03/news/libia_pozzi_di_petrolio_ostaggio_della_guerra_civile_tra_aggressioni_e_poca_produttivita-356356990/amp/
[101]https://www.repubblica.it/esteri/2022/07/03/news/libia_pozzi_di_petrolio_ostaggio_della_guerra_civile_tra_aggressioni_e_poca_produttivita-356356990/amp/
[102]https://www.repubblica.it/esteri/2022/07/03/news/libia_pozzi_di_petrolio_ostaggio_della_guerra_civile_tra_aggressioni_e_poca_produttivita-356356990/amp/
[103] https://www.agenzianova.com/news/libia-la-noc-comunica-limpossibilita-a-fornire-prodotti-raffinati-per-soddisfare-la-domanda/ ; https://www.repubblica.it/esteri/2022/07/03/news/libia_pozzi_di_petrolio_ostaggio_della_guerra_civile_tra_aggressioni_e_poca_produttivita-356356990/amp/
[104] https://formiche.net/2020/06/noc-petrolio-libia/
[105] https://formiche.net/2020/06/noc-petrolio-libia/
[106] https://formiche.net/2020/06/russia-sharara-sirte/
[107] https://formiche.net/2020/06/noc-petrolio-libia/
[108] https://www.repubblica.it/esteri/2022/09/14/news/libia_petrolio_energia_russia_noc-365605017/
[109] https://www.repubblica.it/esteri/2022/09/14/news/libia_petrolio_energia_russia_noc-365605017/
[110] https://www-africaintelligence-com.translate.goog/north-africa/2022/09/01/west-worried-as-agoco-zarubezhneft-rapprochement-picks-up-pace,109808477-eve?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc ; https://libyaalahrar.net/noc-chairman-invites-russias-zarubezhneft-to-libya-africa-intelligence-reports/ ; https://www.repubblica.it/esteri/2022/09/14/news/libia_petrolio_energia_russia_noc-365605017/
[111] https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-08-03/russia-finds-a-new-route-to-oil-market-via-a-tiny-egyptian-port ;
[112] https://www.repubblica.it/esteri/2022/09/14/news/libia_petrolio_energia_russia_noc-365605017/
[113] https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/energia/2022/09/15/libia-portavoce-di-haftar-proteggiamo-il-90-del-petrolio_f2dea28e-0672-4ddd-9865-3f6f97226ecf.html
[114] https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/energia/2022/09/15/libia-portavoce-di-haftar-proteggiamo-il-90-del-petrolio_f2dea28e-0672-4ddd-9865-3f6f97226ecf.html

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