Geopolitica
Libia, Europa e Mediterraneo. Considerazioni su un’ipotesi militare
Le dichiarazioni ufficiali dicono che il 18 maggio il Consiglio Europeo degli Affari Esteri potrebbe già dare il via alle prime operazioni che non richiedano l’assenso delle Nazioni Unite, per esempio quelle di intelligence; poi, al primo Consiglio di Sicurezza utile a New York, i paesi europei presenteranno anche in quella sede, probabilmente per tramite del Regno Unito, il proprio piano di opposizione ai trafficanti del Mediterraneo, richiedendone l’avallo. Secondo un’intervista che il 9 maggio scorso il Primo Ministro italiano Paolo Gentiloni ha reso a Gerardo Pelosi del Sole 24 Ore, il piano da presentare alle Nazioni Unite sarebbe di matrice sostanzialmente italiana.
Tra le varie misure che l’Unione Europea è intenzionata a prendere, quella che più sta facendo discutere è quella del supposto contrasto violento ai trafficanti che organizzano le partenze illegali di migranti dalle coste libiche alla volta dell’Europa.
Si cercherà qui di ricostruirne la storia e le reazioni, anche dal punto di vista libico, e di capire perché l’opzione ha un alto valore politico.
Contrasto violento ai trafficanti: due narrazioni a confronto.
Video. L’Alta Rappresentante dell’Unione Europea Federica Mogherini sulla questione del contrasto ai trafficanti, ANSA.
Da una parte l’Alta Rappresentante dell’Unione Europea Federica Mogherini parla esclusivamente di «una possibile operazione navale nel contesto delle politiche di sicurezza e difesa comuni dell’Unione Europea» «che sarà differente ma complementare a Triton e Poseidon»; dall’altra, invece, diversi organi di stampa che dicono di aver visualizzato delle bozze in via d’esame pretendono vi sia dell’altro: innanzi tutto, con almeno un articolo di Ian Taylor, l’inglese Guardian, ma poi anche, almeno, gli italiani La Stampa – a firma di Marco Zatterin – e Il Corriere della Sera con un pezzo di Marco Galluzzo.
Ieri, 13 maggio 2015, le due narrazioni si sono trovate l’una di fronte all’altra nelle battute finali della conferenza stampa di presentazione dell’agenda europea per le migrazioni.
Scrive Ian Taylor: «Il quaderno strategico di 19 pagine per la missione, ottenuto dal Guardian, si concentra su una campagna aerea e navale nel Mediterraneo e nelle acque territoriali libiche, soggetta al beneplacito delle Nazioni Unite. Ma aggiunge che le operazioni terrestri in Libia potrebbero anche essere necessarie per distruggere le navi e i mezzi dei trafficanti, come i depositi di carburante».
Seguono delle citazioni dirette di passi del documento – anche su una possibile presenza sul suolo libico a determinate condizioni – tra le quali questa:
«L’operazione richiederebbe un ampio spettro di capacità aeree, marittime e terrestri. Che potrebbero includere: intelligence, sorveglianza e riconoscimento; squadre di abbordaggio; unità di pattugliamento aeree e marittime; mezzi anfibi; distruzione aerea, terrestre e marittima, incluse unità di forze speciali».
Passi molto simili – inclusa la preventivata possibilità di vittime tra i migranti – sono citate anche dalla Stampa, che però dice di aver visionato un documento di 30 pagine e non 19. Il Corriere della Sera parla anche di un’opzione aerea attualmente in fase di studio, forse per mezzo di elicotteri; ma secondo il quotidiano torinese tale tipo di azione sarebbe sgradita ai russi, che hanno possibilità di veto a New York. Nell’intervista già citata al Sole 24 Ore Paolo Gentiloni sosteneva che «esiste già intesa tra Francia, Gran Bretagna, Spagna e Lituania» e che non ci sarebbero «obiezioni di principio da parte degli Stati Uniti. E neppure da Russia e Cina».
Infine sia La Stampa che l’ANSA fanno il nome dell’Ammiraglio italiano Enrico Credendino – che avrebbe già dei trascorsi nelle missioni antipirateria del Corno d’Africa – come comandante proposto delle operazioni.
La reazione italiana e internazionale dopo il 18 aprile.
Le vicende sono probabilmente note, ma non guasterà riepilogarle.
Nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015 un barcone naufraga a circa 85 miglia dalle coste della Libia e vi muoiono un numero imprecisato di migranti: si parla comunque di 700 o 900 persone, in buona parte rimaste chiuse dentro al battello. Si salvano appena in 28, tra i quali i presunti scafisti, e iniziano le indagini affidate alla Procura di Catania. Il 7 maggio il presunto relitto del battello viene individuato a una profondità di oltre 300 metri. Per le Nazioni Unite si tratta della più drammatica pagina di storia del Mediterraneo.
Il 23 aprile si riunisce un Consiglio Europeo straordinario sulla questione migrazione. Uno dei punti del comunicato finale del Consiglio invita a «intraprendere sistematici sforzi per identificare, catturare e distruggere i battelli prima che vengano usati dai trafficanti».
Il suggerimento per questo punto potrebbe essere italiano, visto che un giorno prima del Consiglio il Primo Ministro di Roma Matteo Renzi scriveva sul New York Times, ricordando le azioni antipirateria attuate nei mari del Corno d’Africa, che «una simile iniziativa deve essere sviluppata ed effettivamente combattuta contro i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. I battelli dei trafficanti dovrebbero essere messi fuori uso. I trafficanti di esseri umani sono gli schiavisti del 21° secolo e dovrebbero essere consegnati alla giustizia».
Ma prima ancora, il 19 aprile, il presidente della Commissione Affari Esteri del Senato Pier Ferdinando Casini suggeriva, intervistato da Claudio Marincola del Mattino, di «farsi autorizzare una blocco navale nelle acque territoriali libiche con una delibera dell’ONU che ci consenta di stroncare questo traffico sul nascere. E dirò di più: dobbiamo distruggere le barche anche in territorio libico».
Il 21 aprile, il Ministro dell’ Interno Angelino Alfano parlava in diretta televisiva di «negoziati in corso con Unione Europea e ONU per avere un mandato internazionale per la lotta ai mercanti di morte, e per affondare i loro barconi prima che partano». Aggiungeva che l’Italia poteva occuparsene anche da sola, previa consenso internazionale.
Il 3 maggio il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni riferisce alla Stampa che l’Italia ha inviato sul tema una bozza da discutere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e riconosce che la questione dei mezzi utilizzati dai trafficanti non è certo «la soluzione, ma è uno dei tasselli per poter arrivare a colpire i trafficanti di migranti». Il quotidiano La Repubblica, citando non meglio definite fonti diplomatiche interne alle Nazioni Unite, precisa il 6 maggio che la bozza è già stata condivisa con i paesi europei interni alle Nazioni Unite e che la stessa «punta ad autorizzare una missione dell’UE per prevenire il traffico di immigrati e riguarderà anche le coste e le acque territoriali libiche».
La reazione libica alla reazione italiana e internazionale dopo il 18 aprile: Tobruk.
L’eventuale idea di intervenire contro i trafficanti, magari direttamente sul suolo libico, non è piaciuta affatto ai due poli del potere politico nazionale, Tripoli e Tobruk.
Intervista video di Gian Micalessin al Generale Khalifa Hafter, Rai News.
Subito dopo la conferenza stampa sull’agenda europea sulla migrazione, l’agenzia Ansamed ha riportato che il governo di Tobruk intenderebbe bombardare chiunque penetri in acque nazionali libiche senza il suo permesso. E il recentissimo episodio della nave turca cui proprio Tobruk ha mosso queste stesse accuse sta a dimostrare che le possibilità che da parte del governo orientale non arrivino solo frasi di circostanza siano alte.
Da parte di Tobruk si sono espresse due personalità di assoluto rilievo: il rappresentante alla Nazioni Unite Ibrahim Dabbashi, intervistato dall’agenzia statunitense Associated Press e dall’italiana ANSA, e il Generale Khalifa Hafter, da marzo Capo delle Forze Armate orientali, intervistato da Gian Micalessin del Giornale.
Entrambi rifiutano nettamente la possibilità che forze europee possano agire in territorio libico contro i trafficanti di migranti e, pur individuando nella questione un problema senz’altro da risolvere, la inseriscono nel più generale conflitto in corso in Libia: la faccenda, intendono dire, verrà risolta senza bisogno di alcun intervento armato straniero, ma sostenendo e rifornendo l’esercito del governo riconosciuto.
Sulla questione specifica dei migranti, Dabbashi ha detto già il 9 maggio che schierare navi a largo della Libia è «una decisione del tutto stupida» che non farebbe altro che favorire le partenze. Propone invece una soluzione militare: «Una volta che il governo avrà ripreso la capitale, Tripoli, e controllato l’intera area occidentale della Libia, penso che sarà del tutto facile fermare questo flusso di migranti illegali verso l’Europa, perché conosciamo tutti coloro che sono coinvolti nel business». Una questione, quella della riconquista di Tripoli, che secondo l’uomo politico dovrebbe diventare realtà tra qualche mese. «Non permetteremo un’operazione militare in Libia. Consentiremo solo un’azione coordinata tra l’Unione Europea e il governo legittimo di Tobruk, che sia un’azione umanitaria», ha infine detto Dabbashi all’ANSA.
Simile la risposta di Hafter: «Ho sentito che in Italia e in Europa qualcuno propone di attaccare queste organizzazioni, ma noi non siamo assolutamente d’accordo. Intervenendo sul nostro territorio o colpendo qualche obbiettivo, l’Italia fornirebbe un pretesto ai terroristi. Il vostro Paese si ritroverebbe coinvolto in un conflitto a cui non è preparato. E questo danneggerebbe le relazioni tra i nostri due Paesi. Se volete veramente combatterli, appoggiate il nostro esercito. Stiamo avanzando verso Zwara, Tripoli e le altre zone della costa da cui partono i barconi. Armateci e vi garantiremo il controllo dell’intero Paese».
La reazione libica alla reazione italiana e internazionale dopo il 18 aprile: Tripoli.
Video. La questione del contrasto ai trafficanti nella proposta di Mahdi al Harati, sindaco di Tripoli, ANSA.
Nemmeno Tripoli ha accettato la possibilità che forze europee colpiscano i barconi dei trafficanti, anche la Capitale riconoscendo comunque la necessità di far fronte al fenomeno.
Dopo quella del Ministro degli Esteri non riconosciuto Mohammed al Ghirani sul Times of Malta, una voce comparsa nei media italiani, raccolta dalla giornalista dell’ANSA Laurence Figà Talamanca, è quella del sindaco di Tripoli – ed ex comandante nella brigata Tripoli ai tempi della guerra contro Muammar Gheddafi – Mahdi al Harati. Harati sostiene che un’operazione così concepita potrebbe essere interpretata come un’azione di guerra contro la Libia e che quindi sarebbe meglio se l’Italia e i paesi occidentali adottassero una diversa strategia, non militare ma economica: aiutassero l’economia della Libia meridionale, cioè della regione del Fezzan, così da non costringere i migranti ad andarsene ma permettere invece loro di rimanervi.
Ma Tripoli potrebbe riservare anche una proposta più concreta, immediata e a sua volta in parte militare alla questione migranti: riporta infatti Ansamed che non meglio precisate «fonti libiche» avrebbero fatto visionare dei documenti in cui si concepiva il presidio armato dei siti di partenza dei migranti insieme al miglioramento dei centri di detenzione, alla deportazione dei migranti nei loro paesi d’origine e alla possibilità di fermarli alle frontiere della Libia meridionale.
Conclusioni: perché la questione dei trafficanti è tanto importante per la Libia.
L’importanza che la risposta europea alla questione trafficanti ha nell’economia del conflitto libico è evidente: se, come autorevoli fonti stampa sembrano asserire, forze aeree, navali o terrestri europee, attaccassero i trafficanti in Libia, l’autorità riconosciuta di Tobruk o quella non riconosciuta di Tripoli potrebbero interpretare l’azione come una dichiarazione di guerra. Le forti critiche ricevute da entrambi i fronti rendono l’ipotesi più che plausibile.
Essendo le Nazioni Unite coinvolte sia nell’operazione europea – cui dovrebbero dare il consenso – che nella mediazione del Dialogo Nazionale libico, è ben possibile che questa interpretazione si risolverebbe anche con l’uscita di almeno una delle due parti da un Dialogo già in difficoltà per motivi interni: in altre parole, col suo fallimento. Sfumerebbe l’occasione, cioè, di creare un interlocutore unico che possa essere il riferimento di chiunque voglia combattere le formazioni terroristiche libiche e, in generale, di porre fine alla guerra civile in corso ormai da un anno. Le perdite in termini umani, economici e di sicurezza che ne deriverebbero sono facilmente intuibili.
Se si prende per buono ciò che le fonti stampa dicono basandosi su presunte bozze visionate, è possibile che un’opzione militare contro i trafficanti sia al vaglio dell’Unione Europea come ultima spiaggia, ma è comprensibile anche che l’Alta Rappresentante Federica Mogherini possa non volerla riconoscere pubblicamente prima che sia stata accettata e approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: dire subito a Tripoli e a Tobruk di voler intervenire sul proprio territorio contro i trafficanti equivarrebbe a spezzare il già fragile equilibrio del Dialogo Nazionale.
Forse desiderose di non isolarsi con un futuro partner importante e vicino come l’Unione Europea, per ora tutte le autorità libiche stanno proponendo di risolvere in modo diverso la questione trafficanti, ma hanno chiaramente detto quale sia la linea rossa da non superare: l’intervento non concordato nel territorio nazionale.
Non rimane che conoscere, da parte europea, i dettagli dell’operazione antitrafficanti e ciò che verrà esattamente proposto alle Nazioni Unite.
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