Geopolitica
Le forze armate italiane di fronte al mondo in guerra
“Siamo assolutamente sottodimensionati: 150 mila effettivi è improponibile, 160 mila che è quello che attualmente ci è stato approvato è ancora poco e con 170 mila siamo al limite della sopravvivenza”. Con queste parole l’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha lanciato l’allarme riguardo la situazione del nostro apparato militare, durante l’audizione del 26 Marzo presso le commissioni difesa riunite di Camera e Senato. Solo pochi mesi fa, di fronte alla crisi nel Mar Rosso, era stato il ministro Guido Crosetto a gettare una luce fosca sulla quantità di scorte di missili a disposizione in dotazione alla Marina Militare. La politica, a due anni dall’inizio della guerra in Ucraina si interroga sulla capacità del nostro paese di mantenere il proprio strumento militare adeguato ai numerosi impegni internazionali e alla necessità di garantire la propria difesa in caso di conflitto, ottenendo risposte non particolarmente soddisfacenti. L’Italia, al pari degli altri stati europei, si trova oggi a dover ripensare la strategia di utilizzo delle proprie forze armate, che negli ultimi trent’anni sono state impiegate fuori dai confini esclusivamente per missioni di peace keeping e peace enforcing, con funzioni legate più al mantenimento dell’ordine che al vero e proprio combattimento. I nostri corpi militari hanno poi dovuto assolvere, nel nuovo secolo, a mansioni di supporto alle forze dell’ordine per la sorveglianza di obiettivi sensibili e alla protezione civile in caso di calamità naturali, in un mondo in cui la guerra tradizionale sembrava scomparsa dal nostro continente e tutti gli sforzi di preparazione e addestramento sono stati finalizzati a implementare la capacità di proiezione in scenari di crisi per garantire controllo del territorio, separazione dei contendenti e difesa e supporto alla popolazione civile. Con l’invasione russa dell’Ucraina ci troviamo invece oggi di fronte nuovamente ad una classica guerra terrestre, tra eserciti contrapposti, con enorme impiego di uomini e mezzi, e conseguenti elevate perdite. La postura minacciosa di Mosca, diretta anche nei confronti del cosiddetto Occidente collettivo, unita ai dubbi sulla costanza del sostegno americano all’Europa in caso di una prossima vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali di novembre, impone agli Europei di non considerare impossibile l’eventualità di un conflitto generalizzato tra Nato e Russia, e di doversi preoccupare maggiormente della difesa del continente. Ma qual è, nel dettaglio, lo stato delle forze armate del nostro paese?
L’Italia spende per la propria difesa l’1,4% del PIL, per un totale di 27,5 miliardi di Euro nel 2024, come da cifre comunicate alla Nato e riportate dall’autorevole Rivista Italiana Difesa (RID). Rimaniamo quindi ben lontani dall’obiettivo del 2%, sancito al vertice dell’Alleanza Atlantica in Galles nel 2014, il cui raggiungimento, previsto in teoria per il 2028, non sembra agevolmente centrabile, secondo quanto affermato dallo stesso ministro Crosetto. Neanche la guerra in Ucraina, nonostante le innumerevoli dichiarazioni di principio di politici di quasi ogni colore, ha dato origine ad una chiara e concreta svolta nel budget destinato a finanziare le forze armate. Come riporta Pietro Batacchi, direttore di RID, tra il 2021 e il 2024 la spesa italiana per attività legate alla difesa è aumentata di solo il 7%, contro il 18% della omologa francese e ben il 51% di quella della Germania, che pure erano già nettamente superiori alla nostra, in valore assoluto. Andando ad analizzare il bilancio del ministero più nel dettaglio, emerge, quale cronico difetto del nostro sistema militare, il forte sbilanciamento pendente verso le spese per il personale, che includono anche l’esborso per pensioni e indennità varie. Esse superano addirittura il 60% del totale nel 2023, contro il 40% della Francia e il 37% della Germania. Tale flusso di spesa ha l’inevitabile ricaduta nella carenza di fondi destinati all’esercizio e agli investimenti. Soprattutto il primo, che supplisce alle funzioni di addestramento delle truppe e manutenzione dei mezzi, risulta notevolmente penalizzato, quantificato sotto i 2 miliardi nel 2024 e in diminuzione rispetto al 2021, sempre in base all’analisi di Batacchi. Segnale non rassicurante, a maggior ragione alla luce del gran dispiego di mezzi e uomini che si osserva nel conflitto ucraino. Risulta invece in aumento rispetto agli ultimi anni, pur se con valori assoluti non elevati, la spesa per gli investimenti, giunta quest’anno alle soglie dei 10 miliardi, cresciuta sensibilmente rispetto ai 7,4 miliardi del 2021, a dimostrazione di un inizio di consapevolezza, da parte dei nostri esecutivi, delle necessità di ammodernamento del parco mezzi a nostra disposizione. Nel suo complesso l’Italia si colloca al dodicesimo posto al mondo per spese militari (il quarto in Europa, Regno Unito incluso), come da report dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), ma molto resta da fare per migliorarne efficienza e adattamento ai tempi e agli scenari odierni, sia in termini di personale che di mezzi.
Dall’inizio del corrente decennio, come già accennato, e in buona misura in seguito all’esempio di quanto sta accadendo sul fronte russo-ucraino, si può osservare una tendenza ad un aumento discreto dell’attenzione per l’acquisizione di mezzi e armamenti. Come descrive Germano Dottori sull’ultimo numero di Limes, il governo italiano in particolare ha avviato lo scorso anno la ricostituzione delle forze corazzate del nostro esercito, attraverso l’aggiornamento di 125 carri armati Ariete C1 e l’acquisto di 132 carri Leopard 2 A8, per i quali la produzione sarà realizzata in Italia, a seguito di accordo firmato a dicembre da Leonardo e KNDS. Allo stesso modo si è autorizzato il programma per la sostituzione di Dardo e M113 con 570 nuovi mezzi blindati, mentre si attendono gli sviluppi delle trattative che dovrebbero portare l’Italia, sempre tramite Leonardo, all’interno del consorzio per la realizzazione del nuovo carro armato da combattimento europeo, a trazione franco-tedesca . E’ stato deciso anche l’approvvigionamento di 21 lanciatori Himars per l’artiglieria, con relativo munizionamento, con gittata di 150 km, destinata ad aumentare. Per la Marina, per la quale si attende a breve l’ingresso in servizio della portaelicotteri Trieste, è stato previsto l’incremento delle fregate multiruolo FREMM, dei pattugliatori d’altura e dei sottomarini U-212. Non è stata infine dimenticata l’aeronautica, che beneficerà di un nuovo programma di acquisto dei caccia-bombardieri F-35 A e B, oltre a velivoli per operazioni speciali e per la guerra elettronica, in attesa dello sviluppo dei nuovi caccia di sesta generazione Tempest, per i quali è stato stipulato lo scorso anno l’accordo di partnership con Regno Unito e Giappone, con data di entrata in servizio fissata per il 2035. Sono state prese in considerazione, per quanto possibile, dato il limitato budget, anche le richieste degli stati maggiori per quanto riguarda l’organico. L’entrata in vigore del modello di forze armate a 150 mila uomini, deciso con la riforma Di Paola del 2012, è stata rinviata al lontano 2033, permettendo così alla nostra struttura di continuare a contare su 160 mila soldati, ed è inoltre in discussione la costituzione di una riserva di 10 mila individui con precedente esperienza militare, pronti ad essere richiamati in caso di bisogno. La necessità, da più parti invocata, di rimpolpare gli organici delle nostre armi ha resuscitato anche il dibattito sulla leva obbligatoria, che in Italia è sospesa dal 2004, sebbene un suo ripristino, già complicato per ragioni finanziarie e di gradimento da parte dell’opinione pubblica, non venga sollecitato né dai vertici militari, né dalla maggioranza degli analisti e neppure dal ministro Crosetto, tutti propendenti per proseguire sulla strada dell’esercito professionale.
Ad essere da più parti richiesto è invece un cambio di mentalità strategica nell’organizzazione e nell’utilizzo dei nostri militari. La guerra in Ucraina, come accennato all’inizio, ha riportato sulla scena la guerra tradizionale, con grande dispendio di risorse umane e materiali. L’Ucraina mantiene oggi un milione di soldati in mobilitazione, di cui circa trecentomila in prima linea, mentre la Russia ne vede al fronte oltre seicentomila, secondo quanto affermato da Vladimir Putin a fine 2023. Entrambi i contendenti hanno dovuto contare perdite, tra morti e feriti, nell’ordine delle centinaia di migliaia, secondo le stime, con numeri più alti per Mosca, e non da meno è l’uso del munizionamento, per il quale si calcola che gli Ucraini abbiano sparato, nel 2023, al ritmo di oltre 150 mila proiettili al mese. Non è un mistero che, ad un tale tipo di conflitto, l’Italia, come del resto gli altri stati europei, siano poco preparati e ancor meno equipaggiati. Secondo il modello organizzativo odierno, il nostro paese può contare, tra i 160 mila militari in servizio, solo su 90 mila realmente operativi, con i restanti a svolgere mansioni ausiliarie, logistiche e amministrative, come spiega il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell’aeronautica, sull’Huffington Post. Le nostre forze armate mostrano poi, tra i propri effettivi, un personale per il 55% di età superiore ai quarant’anni, con prospettive di peggioramento nei prossimi anni. Non proprio l’ideale per immaginare organici pronti e adatti al combattimento. Già nella situazione attuale, l’impegno a far fronte alle trentotto missioni internazionali in vigore nel 2024 rischia di trascinare il nostro sistema militare all’overstretching e alla difficoltà nella gestione delle rotazioni. L’Italia vede i suoi soldati, avieri e marinai particolarmente impegnati in Kosovo, Libano e Niger, missioni delicate e notevolmente importanti per il nostro interesse strategico, a cui se ne sommano decine di minori, che fanno crescere il numero di militari impegnati a oltre 11 mila, per un esborso di oltre due miliardi di euro. Negli ultimi anni, e soprattutto dal 2022, hanno assunto notevole peso e importanza le missioni in Europa Orientale, finalizzate alla sorveglianza delle frontiere con Russia e Bielorussia, e all’esercizio della necessaria deterrenza strategica, insieme agli altri partners Nato. In questo contesto, le forze armate italiane sono presenti in Lettonia, Ungheria, Romania e Bulgaria, ove esercitano anche funzioni direttive di altri contingenti in seno all’Alleanza. Va infine ricordata anche la nuova missione europea Aspides nel Mar Rosso per la protezione del traffico commerciale, dove la Marina italiana contribuisce con incluso il ruolo di coordinamento e in cui il cacciatorpediniere Duilio si è distinto per l’abbattimento di alcuni droni lanciati dagli Houthi, sfoggiando il 76 mm di produzione OTO Melara. Considerato il rapporto tra gli impegni da assolvere, il complicato scenario internazionale oggi esistente e quantità ed equipaggiamento del nostro apparato bellico, risulta perciò inspiegabile il proseguimento della missione Strade sicure, affiancata da Stazioni sicure, che hanno ottenuto addirittura un aumento di personale per l’anno in corso. In esse l’Esercito italiano si trova infatti a dover esercitare mansioni di sorveglianza in supporto alle autorità di polizia, con i nostri militari che passano le giornate immobili davanti a monumenti, stazioni e uffici pubblici, complicando ancor più le rotazioni delle altre missioni e togliendo tempo prezioso all’addestramento, come puntualizza Matteo Mazziotti Di Celso su Geopolitica.info.
Lo scenario geopolitico che il nostro paese si troverà ad affrontare nei prossimi anni, e molto probabilmente nei prossimi decenni, risulta notevolmente mutato rispetto al tempo in cui è stata pensata e organizzata la nostra struttura militare. Sebbene le attenzioni della politica verso le richieste delle forze armate siano cresciute, soprattutto per effetto della guerra alle porte orientali del nostro continente, si fa fatica ad intravedere un vero cambio di mentalità nelle politiche per la difesa, per le quali il sorgere di una vera cultura della sicurezza si dimostra nel nostro paese ancora lontano. L’Italia, ad esempio, non redige una propria Strategia di Sicurezza Nazionale, a differenza degli altri principali paesi europei che, dopo lo scoppio del conflitto ucraino, l’hanno aggiornata o elaborata per la prima volta, come nel caso della Germania. L’assenza di tale documento è anche alla base della carenza di un vero e proprio dibattito approfondito sulle priorità e le strategia della nostra politica estera e di sicurezza, che esca dalle stanze dei pochi think-tank nostrani e degli uffici degli stati maggiori. Quel che più si avvicina ad esso, il Documento programmatico pluriennale per la Difesa (DPP) per il triennio 2023-2025, ad ogni modo, oltre a delineare il bilancio e l’organizzazione delle forze armate, mostra quali siano, a parere dei nostri vertici militari, le minacce e i rischi geopolitici che siamo destinati ad affrontare, a cominciare dalla guerra in Ucraina e dalla postura aggressiva della Russia di Putin, passando per l’instabilità di tutto il bacino del cosiddetto Mediterraneo allargato, per arrivare alle preoccupanti crisi in corso nel Sahel. Di fronte ad un tale scenario, che include la “perdita di ruolo delle organizzazioni internazionali tradizionali, a cominciare dall’ONU, e una deriva multipolare competitiva”, il documento del Ministero della Difesa cerca di delineare quali debbano essere i compiti affidati al nostro strumento militare. Come si legge nell’introduzione del ministro Crosetto, l’utilizzo delle nostre forze armate in via prioritaria finalizzato a operazioni e missioni per il mantenimento della pace e della stabilità internazionale “è un lusso che oggi, soprattutto alla luce dell’attuale contesto internazionale, l’Italia non può più permettersi“. L’incrinatura del quadro generale geopolitico, sempre nelle parole del ministro, ricorda che “lo sforzo quotidiano delle Forze Armate … deve tornare ad essere orientato a preparare lo strumento militare ad assicurare la difesa dello Stato in ogni momento e per tutto il tempo necessario, esprimendo livelli di prontezza ed efficienza adeguati e sostenibili nel tempo“, dovendo esso tornare a rappresentare “il principale baluardo in termini di difesa e deterrenza da tutti i tipi di minacce, presenti e future, che la nostra nazione si potrebbe trovare ad affrontare e che possono mettere a rischio i nostri interessi nazionali“. In attesa di vedere e valutare gli auspicabili progressi della difesa comune europea, c’è da augurarsi che a queste parole seguano i fatti, e che l’attenzione generale, di media e opinione pubblica comprese, non sia rivolta a tali ambiti solo nel momento di esplosioni di crisi e scoppi di guerre ai nostri confini, ma diventi maggiormente radicata anche in Italia.
Devi fare login per commentare
Accedi