Geopolitica

La situazione in Siria a quasi 9 anni dall’inizio della guerra

5 Dicembre 2019

Sono ormai nove anni che la guerra in Siria imperversa rendendo ormai polvere quello che resta di uno dei paesi più importanti del medio-oriente. Nonostante i notevoli passi avanti fatti nella guerra contro il Califfato – soprattutto con la morte di Abu Bakr Al Baghdadi -, la situazione è ancora molto instabile. Bashar al-Assad ha ripreso in mano parte del paese ma le fazioni in lotta sono ancora ben lontane dal mettere a tacere le armi. Il fronte lealista (Russia, Iran e Hezbollah) ha rafforzato il potere del sovrano siriano dividendo di fatto il paese in due parti, separate dal fiume Eufrate. Gli USA, nonostante la presa di posizione di abbandonare il paese, hanno ripreso a compiere operazioni militari contro l’ISIS nell’area di nord est del paese. Ancora una volta sono in gioco i curdi siriani dopo che erano stati come “abbandonati” dall’esercito di Trump e costretti a rimanere in una esigua striscia di terra dalla Turchia, che li considera ancora “terroristi”.

Adesso che gli USA hanno ripreso ad attaccare, la ritirata dei curdi si è fermata e i Turchi, dal canto loro, sono pronti ad intervenire con la forza. Questo è un punto focale perché c’è il rischio che due paesi sulla carta alleati (USA e Turchia) arrivino ad uno scontro, nonostante facciano entrambi parte della NATO. La situazione di incertezza rallenta la macchina costituzionale messa in moto per dare una nuova Carta alla Siria e pacificare i movimenti interni; e di certo i tira e molla di Trump, sempre indeciso sull’andare via o sul rimanere, non giocano a favore di una pacificazione durature tanto da permettere di dar vita ad una nuova Costituzione.

I fronti principali in cui ancora si combatte, nella zona curda, sono quelli di Idlib (nord ovest) e Rojava (nord est). Nella provincia di Idlib ci sono violenti scontri tra l’esercito governativo e gli islamisti che ora fanno parte dell’ex Fronte al-Nusra e i morti, da ambo le parti, sembrano aumentare costantemente, colpendo anche i civili.

I curdi hanno realizzato una banca dati che tiene conto di tutto quello che è successo negli ultimi anni ed hanno riscontrato almeno 151 violazioni commesse dall’esercito turco e dalle milizie islamiche alleate di Ankara contro la popolazione del nord est siriano. Hanno catalogato video, foto, documenti che raccontano di saccheggi, rapimenti, torture, bombardamenti su silos di grano, impianti idrici, ospedali. Tra questi anche uno degli attacchi recenti, di pochi giorni fa, in cui sono morti 8 bambini, una donna e un uomo.

La “zona sicura”, recentemente istituita dalla Turchia nel nord della Siria, inoltre è tutt’altro che sicura, almeno secondo un rapporto di Human Rights Watch che ravvisa continui combattimenti e abusi come esecuzioni militari e civili. Le forze turche hanno invaso una striscia di terra in mano ai curdi al confine siriano fino al mese scorso, quindi hanno concordato un cessate il fuoco nell’operazione contro le forze democratiche siriane a guida curda (SDF) dopo i colloqui con gli Stati Uniti e la Russia. La SDF e la Turchia, tuttavia, si sono accusate a vicenda di regolari violazioni. Human Rights Watch ha dichiarato che gruppi ribelli siriani, appoggiati dalla Turchia, i quali avevano condotto gran parte dei combattimenti sul territorio, potrebbero essere colpevoli di crimini di guerra contro la popolazione locale, la maggior parte della quale è curda.

“Contrariamente a quanto afferma la Turchia, cioè che la loro operazione stabilirà una zona sicura, i gruppi che usano per amministrare il territorio commettono loro stessi abusi contro civili e compiono discriminazioni per motivi etnici”, ha affermato Sarah Leah Whitson, direttrice del settore Medio Oriente di HRW. “L’esecuzione delle persone, il saccheggio delle proprietà e il blocco degli sfollati dal ritorno alle loro case sono prove schiaccianti del perché le “zone sicure” proposte dalla Turchia non saranno mai del tutto sicure”, ha aggiunto.

La situazione è ancora molto tesa. Almeno 17 persone sono state uccise e 20 ferite lo scorso martedì dopo che un’autobomba è esplosa nel villaggio di Tal Halaf vicino al centro strategico Ras al-Ayn, che è sotto il controllo dell’esercito turco. Ankara ha incolpato dell’attacco le Unità di protezione del popolo curdo (YPG), che secondo lui rappresentano il ramo siriano del partito dei lavoratori del Kurdistan fuorilegge (PKK) che ha intrapreso una lotta contro lo stato turco dal 1984.

La Turchia sta cercando di rimpatriare fino a 2 milioni dei suoi 3,6 milioni di rifugiati arabi siriani nella zona sicura. La scorsa settimana, i media statali turchi hanno riferito che 70 siriani, tra cui donne e bambini, hanno attraversato il confine con Ras al-Ayn, il primo dei ritorni previsti.

La politica di rimpatrio ha dovuto affrontare feroci critiche da parte degli alleati internazionali dei turchi, secondo i quali il piano equivale a una sorta di “ingegneria demografica“.

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