Geopolitica

La Siria può essere la “scintilla perfetta” per una guerra più grande

6 Ottobre 2015

L’intreccio è da paura con una serie di attori che vogliono difendere i loro interessi. Il territorio siriano è il crocevia della riscrittura della geopolitica del nuovo millennio. Con un grande pericolo: un conflitto molto più grande rispetto a quanto accade ora. Insomma, quella che sembrava una guerra civile tra varie fazioni, si è trasformata in una complicata partita a scacchi tra le varie potenze. La Russia di Putin ha rotto gli indugi, schierandosi al fianco del presidente Bashar Assad e ora non è più un tabù l’invio di truppe di terra. Ovviamente ‘mascherati’ da volontari, nel solco della strategia adottata in Crimea e nell’Ucraina orientale. Così come l’Iran che sta mandando i suoi uomini a Damasco.

La Russia, dunque, ha smosso il pantano siriano, ma Vladimir Putin sa agire solo a modo suo, e quindi con scarso rispetto per la diplomazia e senza cercare un vero dialogo. Il tutto con il silenzioso avallo della Cina. Ma nel caso specifico la situazione è piuttosto seria: gli aerei di Mosca sono accusati di aver violato lo spazio aereo turco. Un “errore” che potrebbe scatenare l’incidente dalle conseguenze imprevedibili. Cosa potrebbe accadere se i turchi decidessero di agire contro i jet russi? Ma non è la sola questione sul tavolo. L’Isis è il nemico comune. Ma ognuno ha in mente di combatterlo secondo la propria strategia. La Turchia e l’Arabia Saudita appoggiano Jaish al-Fatah (Esercito della Conquista), combattenti islamici provenienti da vari gruppi che non hanno aderito al Califfato e in cui la componente più nota è quella di Jabhat al-Nusra, l’emanazione siriana di Al Qaeda. L’intento turco-saudita è quello di abbattere Assad, senza affidarsi all’Isis. Ma proprio l’Esercito della Conquista è stato bombardato dalla Russia negli ultimi giorni. Un braccio di ferro in cui gli sconfinamenti aerei rischiano di diventare un pericoloso “gioco di guerra” sull’asse russo-occidentale: la Turchia è infatti nella Nato.

In questo caos, gli Stati Uniti fanno i conti con le scelte sbagliate: i ribelli addestrati dalla Cia faticano a conservare le zone conquistate. E ora devono subire anche i raid russi in quanto per Assad sono terroristi da colpire allo stesso modo dell’autoproclamato Califfato. Poi ci sono i curdi, primo argine verso l’avanzata dell’Isis, in parte abbandonati quando la Turchia ha avviato le operazioni per colpirli nel timore di rivendicazioni territoriali. Un affronto intollerabile proprio mentre Ankara è in fibrillazione per le prossime elezioni (si vota di nuovo l’1 novembre, dopo il fallimento delle trattative per la formazione di un governo). In questo scacchiere, come è chiaro, la posizione dell’Europa è sfilacciata tra l’interventismo francese e la prudenza tedesca. Il tutto con lo Stato di Israele spettatore interessato, visto che al confine potrebbe ritrovarsi uno scontro tra potenze (per questo motivo Bibi Netanyahu è subito volato a Mosca per trovare un accordo con Vladimir Putin). O, nella migliore delle ipotesi, Tel Aviv potrebbe avere gli islamisti del gruppo Stato islamico alle porte di casa.

In sintesi, il quadro è talmente scomposto da creare i presupposti per lo scoppio di una scintilla in grado di far deteriorare la situazione. Generando un conflitto di proporzioni preoccupanti.

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