Geopolitica
La rielezione di Trump appesa a un filo che si chiama Cina
Mentre ci impegniamo giustamente a salvare Italia ed Europa, cosa sta succedendo in America?
Succede che l’amministrazione Trump sta facendo oggi cose che doveva fare due mesi fa. Avendo sottovalutato totalmente l’epidemia e sopravvalutato gli effetti prima del blocco ingressi dalla Cina imposti a fine gennaio (tranne per chi aveva passaporto americano o green card) e poi del blocco dei voli dall’Europa deciso senza nemmeno consultarsi con “gli alleati”, l’amministrazione si è trovata del tutto impreparata. Due date spiegano tutto: il 27 febbraio Larry Kudlow, consigliere economico del presidente, ostentava con sicurezza che il paese era “airtight” cioè impermeabile al virus. Ieri, 30 marzo, Trump ha parlato di “forse” 100,000 morti (la suina ne ha fatti 11,000 negli USA).
Non c’era un piano prestabilito di come reagire al rapido propagarsi dell’epidemia, i Centers for Disease Control and Prevention erano stati depotenziati negli anni scorsi e fino a febbraio fare un tampone costava al privato 3000 dollari, scoraggiando quindi il test. L’amministrazione USA ha poi “scoperto” che il paese non produce sufficienti dispositivi di protezione e ventilatori e nemmeno alcuni medicinali, perchè rispondendo alle regole del libero mercato questi prodotti sono fatti dove conviene farli o dove il mercato è più grande: guarda caso, in Cina. Mentre tagliava di metà i dazi imposti un anno fa su materiale sanitario proveniente dalla Cina, preso dalla disperazione Trump ha quindi “ordinato” a General Motors via tweet di riaprire le fabbriche “stupidamente chiuse” e produrre ventilatori; una cosa mai vista in passato. A questo si aggiunge che l’accordo commerciale raggiunto con il Dragone a fine dicembre prevede forti esportazioni di prodotti agricoli che vengono dagli Stati critici per la rielezione di Trump e che a questo punto con i mercati mondiali depressi diventano ancora più importanti. Finora la Cina ha rispettato l’accordo, nonostante tutte le difficoltà economiche dovute alla crisi, ed ecco perchè il presidente improvvisamente ha usato toni più morbidi durante il G20, parlando di “grande rispetto” per come la Cina ha gestito l’epidemia; toni contrari a quelli durissimi del suo segretario di Stato Mike Pompeo, noto neocon che vede comunisti dappertutto e tratta la Cina come fosse l’Unione Sovietica di Breznev. La reazione immediata del goveno USA con l’approvazione del pacchetto finanziario da due trilioni di dollari limiterà i danni all’economia, ma in un paese con scarsi “paracadute” per i lavoratori dipendenti e licenziamento facile sarà difficile evitare almeno un raddoppio della disoccupazione; non di buon auspicio in un anno elettorale. Ecco perchè nell’amministrazione e tra alcuni congressman repubblicani cresce la tentazione di usare il “blame China” come giustificazione per l’inazione passata e l’incapacità di gestire la situazione. Può darsi anche che quello tra Trump e Pompeo sia un gioco di “poliziotto buono/poliziotto cattivo” ma il presidente si trova in una situazione tipica di Catch-22: da una parte ha bisogno del mercato cinese per la sua rielezione e delle forniture di materiale sanitario che non si trova in USA, dall’altra è allettato dalla scorciatoia di fare una campagna elettorale “contro la Cina” e di nuovo “America First”. Ma siamo sicuri che la maggioranza degli americani sarebbe disposta a credere che il ritardo di due mesi nell’azione da parte del loro governo sia dovuto al ritardo del governo cinese tra dicembre e gennaio?
Detto questo, anche la Cina ha un forte bisogno del mercato americano così come di quello europeo, ma anche nel paese si fronteggiano due visioni opposte: da un lato chi pensa che il Paese possa e debba “fare da solo” visto che tutto il mondo gli è ostile, dall’altro invece (per ora la maggioranza nel Partito) chi prende atto che l’economia del paese dipende anche dal mercato americano ed europeo che non sono sostiuibili al momento con quello interno o asiatico e che quindi il libero flusso di merci e investimenti sia nel suo interesse, e quello dell’economia globale. Questo più o meno è stato il messaggio di Xi al G-20 di marzo.
Lato “affari” che forse è quello che conta per due popoli pragmatici come quello americano e cinese, sembra per ora che ci sia un ritorno alla normalità. Apple ha riaperto i 42 negozi in Cina e riavviato la produzione (tramite Foxconn) a Zhengzhou, Starbucks ha riaperto i suoi 4000 negozi, Blackstone due settimane fa ha lanciato un’offerta per compare Soho China (una grande immobiliare) e Morgan Stanley e Goldman Sachs hanno avuto l’autorizzazione a prendere il controllo delle due JVs di intermediazione mobiliare.
Si spera che lo sfidante democratico di Trump sarà in grado di offrire una visione diversa dei rapporti internazionali e convincere gli americani, anche perché questo attrito tra le due superpotenze sta già mietendo le prime vittime: la cooperazione nello sviluppo di un vaccino e di cure per la malattia, che invece è fondamentale per salvare le vite di milioni di persone. E che sta mancando del tutto.
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