Geopolitica

La pace ha bisogno di mediatori

14 Aprile 2022

“Lasciami finire quello che mi è stato permesso di iniziare. Lasciami dare tutto, anche senza la certezza di crescere”

Dag Hammarskjöld, discendente di un’antica famiglia di servitori dello Stato di fede luterana – solo nelle due generazioni precedenti vi furono ben sei ministri del governo svedese –  nasce nel 1905 a Jönköping. Fu presidente della Banca di Svezia, viceministro degli Esteri, ma divenne noto internazionalmente quale segretario generale delle Nazioni Unite, carica ricoperta per due mandati consecutivi a partire dal 1953.

Erano tempi piuttosto complessi per la diplomazia internazionale: la Guerra di Corea era nella sua fase conclusiva e la Guerra Fredda era una realtà, la fine del colonialismo era alle porte, la situazione in Medio Oriente era attraversata da un fermento conflittuale. Quando divenne segretario generale, Hammarskjöld tenne fede ad un programma preciso: dare all’ONU più autonomia, con una sua amministrazione e un gruppo di funzionari stabile, poteri di intervento durante le crisi internazionali.

La sua convinzione ferma era che questa politica era l’unica previdente e in grado di costruire un futuro di pace. In delicate situazioni diplomatiche, Hammarskjöld si occupò in prima persona di negoziati e trattative (trattò il rilascio di prigionieri statunitensi durante la guerra di Corea e intervenne nella rivolta ungherese del 1956, fu in Libano e Giordania). Inviò forze dell’ONU per impedire che degenerasse la crisi di Suez e appoggiò anche il processo di decolonizzazione, sostenendo i diritti delle piccole nazioni che cercavano l’indipendenza e attirandosi così molte critiche da parte dei paesi occidentali.

Nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961, morì nello schianto di un aereo in un viaggio in Africa meridionale per incontrare le parti in causa e negoziare un cessate il fuoco tra due parti in guerra. Hammarskjöld stava negoziando il cessate il fuoco tra il Congo, che nel 1960 divenne indipendente dal Belgio, e la provincia del Katanga, nel sudest del paese, che si era dichiarata indipendente nello stesso anno.

Le circostanze di questa morte si rivelarono subito misteriose e neppure una commissione internazionale subito istituita per decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite riuscì a chiarire le circostanze dell’incidente,

Poche settimane dopo la sua morte, a Dag Hammarskjöld fu assegnato il premio Nobel per la Pace.

In tutta la sua vita era rifuggito da ogni manifestazione esteriore della propria fede in modo da non ostacolare il suo lavoro nei confronti di interlocutori dalle convinzioni più diverse. Questa immagine pubblica dell’uomo Hammarskjöld venne messa in crisi, dopo la sua morte prematura, dalla scoperta e conseguente pubblicazione del suo diario – in Italia pubblicato da Qiqajon con il titolo “Tracce di cammino”– che destò non poco scalpore. Molti, anche tra quanti lo avevano conosciuto da vicino, furono sorpresi dalla fede profonda che emergeva da quelle pagine, alcuni fraintesero le sue riflessioni intime considerandole alla stregua di allucinazioni mistiche di un mitomane religioso.

E’ invece il diario di un uomo immerso nel mondo, ma radicato in una spiritualità intensissima e mai esibita: «Dio, abbi pietà dei nostri sforzi, così che noi dinanzi a te, in amore e fede, giustizia e umiltà, possiamo seguirti, in disciplina, lealtà e coraggio, e incontrarti, nella quiete. Dacci puri sensi per vederti, sensi umili per udirti, sensi d’amore per servirti, sensi di fede per viverti. Tu che io non conosco ma a cui appartengo, Tu che io non intendo ma che hai votato me al mio destino».

Fino alla formulazione di una preghiera lucida e forte pensando al proprio destino mortale: «Prega che la tua solitudine sia spronata a trovare qualcosa per cui vivere… (“Qualcosa” ecco di nuovo la parola)… che sia qualcosa di abbastanza grande per cui morire».

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