Geopolitica

La negoziazione europea e i cambiamenti che accerchiano l’Unione

19 Giugno 2020

(SkypeEuropa Weekly, rubrica settimanale sull’Europa raccontata dai giornali internazionali: 15-19 giugno 2020. In collaborazione con Federico Pompei)
A che punto è la Brexit e quale strategia ha Johnson? Come farà la Germania a far approvare il piano di rilancio ai paesi meno convinti? Cosa succederà nel Mediterraneo con l’aggressivo ritorno della Turchia in Libia? Quanto deve preoccuparci il “bisticcio” militare tra Cina e India che negli ultimi giorni ha provocato 20 morti tra i militari indiani e un numero non definito tra quelli cinesi? Ne hanno parlato, negli ultimi cinque giorni, Les Echos, Politico.eu, Euobserver.eu, Le Figaro, LeMonde e Financial Times, oltre a David Carretta nel suo programma quotidiano  su RadioRadicale(sempre ricco di spunti). Iniziamo da Politico.eu , Euobserver e Les Echos,  che descrivono così la situazione economica europea e la negoziazione sul Recovery Fund:

“Nel primo trimestre di quest’anno, il PIL dell’Ue ha assistito al suo maggior calo in 30 anni, mentre il numero di persone occupate ha invertito il segno per la prima volta dal 2013. Quasi 60 milioni di lavoratori sono stati licenziati o messi in disoccupazione temporanea e milioni di imprese, in particolare le PMI, sono a rischio di fallimento. Quanti di questi posti di lavoro e aziende verranno persi in modo permanente dipende dalla risposta politica alla crisi. […] Nessun finanziamento dell’Ue dovrebbe essere destinato alle imprese che rifiutano di negoziare salari e condizioni di lavoro con i sindacati o che affamano le finanze dei servizi pubblici mediante elusione ed evasione fiscale. Allo stesso modo, le aziende che ottengono denaro pubblico dovrebbero offrire posti di lavoro dignitosi e lavorare per obiettivi energetici, in modo socialmente equo. Nessun paese ha causato questa pandemia e nessuno dovrebbe essere lasciato da solo a pagarne le sue conseguenze. Proprio come il virus, anche la recessione non ha rispettato i confini. E in un mercato unico europeo, una crisi in una parte dell’Europa indebolirà l’economia di tutto il continente.”
(Euobserver.eu, 16 giugno 2020)

Sullo stesso argomento Politico.eu, il giornale con sede a Bruxelles:

“La crisi indotta dal COVID-19 e la proposta della Commissione sulla ripresa hanno ribaltato la mappa di alleanze, creando un negoziato più frammentato in cui i paesi si muovono in fazioni diverse a seconda della particolare domanda in corso. La gran parte del dibattito è incentrato attorno a due problemi chiave: il bilancio dei pagamenti tra sovvenzioni e prestiti, e quale criterio dovrebbe essere usato per determinare quanti soldi riceverà ogni paese. Austria, Danimarca, Finlandia, Olanda, Svezia vogliono che la maggior parte della liquidità presa in prestito dall’UE sia distribuita tramite prestiti ai governi membri. Questi stessi paesi sarebbero quindi responsabili per il rimborso dei soldi. Ma Parigi e Berlino hanno chiesto un Recovery fund di 500 miliardi di euro che fornirebbe sovvenzioni [cioè a fondo perduto] ai paesi membri. Secondo il piano della Commissione, queste sovvenzioni sarebbero distribuite utilizzando una formula che tenga conto della disoccupazione tra il 2015 e il 2019, le dimensione della popolazione e PIL pro capite.
(Politico.eu, 16 giugno 2020)

Interessante approfondimento, invece, di Les Echos, giornale francese, che analizza la situazione europeo atttuale:

“A nord, i paesi cosiddetti “frugali”, molto attenti alla spesa europea; a est, i “paesi amici della coesione”, abituati a una larga redistribuzione dei fondi europei; a sud, gli stati più colpiti più di tutti dal coronavirus che chiedono solidarietà, e per i quali l’avvenire dipende dall’aiuto europeo. La Germania che prenderà la presidenza del Consiglio europeo a partire dal primo luglio avrà bisogno dei suoi migliori diplomatici per far convergere i 27 paesi e superare i propri interessi economici. Per Berlino si annuncia difficile ma non impossibile. La sua partecipazione al prossimo budget europeo (2021-27) potrebbe aumentare del 40% e per la prima volta ha accettato il principio di un indebitamento comune massiccio per un fondo di rilancio europeo di 750 miliardi di euro. […] Per l’Italia e la Spagna, questa crisi è l’occasione di creare, con i fondi europei, un sistema di efficientamento, e di puntare a una rivoluzione digitale e verde. Ma i Paesi Bassi e la Danimarca non hanno fiducia nei paesi del sud. Pensano che gli aiuti saranno utilizzati male e che tutti questi soldi saranno spesi invano. La Germania prova a rasserenare. Non cercherà di imporre le condizioni drastiche tipo “troika”, ma di garantire a tutti che i soldi presi in prestito in comune vengano utilmente investiti. E per questo, un certo uso dei fondi può rasserenare i paesi del Nord. Per i paesi dell’Est, invece, si va profilando un maggiore accrescimento dei fondi strutturali che essi ricevono. È già deciso che gli aiuti per la transizione energetica dell’economia di questa regione sarà supportata da altri 30 miliardi di euro di sovvenzioni.”
(Les Echos, 17 giugno 2020)

Le Figaro, quotidiano francese, volge lo sguardo al sud de Mediterraneo e analizza la preoccupante aggressività turca delle ultime settimane in Libia.

“L’inquietante avanzata della Turchia in Libia. Erdogan riesce a muovere sistematicamente le sue pedine per far avanzare il suo progetto di «reconquista» neoottomana. Si tratta di vendicare il trattato di Sèvres dell’agosto 1920, che costrinse la Turchia a rinunciare alle sue province arabe e magrebine. Erdogan sta mettendo le mani in quella Libia dove Ataturk ottenne la sua prima grande vittoria, contro gli italiani nel 1911. Ha saputo attendere il momento per agire. Il 28 ottobre 2019 ha siglato un accordo con il governo libico di Sarraj, all’epoca alle corde. Per la Turchia innanzitutto si è trattato di recuperare migliori contratti petroliferi. Ha ottenuto 4 basi strategiche, i porti di Misurata e Sirte. Il 2 gennaio 2020, Erdogan ha ottenuto dal Parlamento di Ankara la possibilità di portare truppe turche in Libia che a loro volta si sono portate come suppletivo migliaia di uomini (jiadisti) della provincia di Idlib. Queste hanno permesso di cacciare dalla Tripolitania le forze del Maresciallo Haftar, che erano spalleggiate dai mercenari russi della divisione Wagner. I droni turchi sono riusciti addirittura a distruggere camion russi della difesa di Haftar e questo ha obbligato la Russia a rimpatriare, a maggio, gli aerei e i mezzi inviati in Libia. Ma l’aggressività turca è andata oltre l’11 giugno 2020. Quando una nave della marina francese si è avvicinata a un cargo turco per ispezionarla. La nave francese è stata presa di mira da una fregata turca, di scorta, con una postura estremamente aggressiva. Venendo da un paese membro della Nato, questo è inaccettabile. Riversando sul suolo libico degli jiadisti, di cui non aveva più bisogno in Siria, la Turchia avvicina all’Europa una nuova minaccia, quella del terrorismo. […] L’intervento franco-britannico del 2011 in Libia rappresenta il più grave errore di politica estera della quinta Repubblica francese. Non solo abbiamo creato un caos di cui si lamentano tutti i paesi del Mahgreb e del Sahel, ma abbiamo anche offerto terreno d’oro al nostro più grande sfidante nel Mediterraneo, il fratello musulmano Erdogan.”
(Renaud Girard, Le Figaro 17 giugno 2020, tratto da David Carretta, RadioRadicale)

Ma la settimana si chiude con una nuova tensione, ben più grande di quella che riguarda il nord Africa. Riguarda le tensioni tra India e Cina e ne parlano LeMonde e Financial Times.

“Pechino ha voluto dare una lezione all’India. Per la Cina si tratta di rendere sicuro il suo fianco occidentale, ma la Cina vuole proteggere il suo corridoio strategico con l’amico di sempre, cioè il Pakistan. Una situazione di forza, e nel momento in cui è sulla difensiva. È sul banco degli imputati per le sue responsabilità in merito al covid-19, è in mezzo a una guerra commerciale con gli Stati Uniti e vede messa in discussione la sua rendita di posizione in merito alla globalizzazione. Il faccia a faccia sino-indiano mostra le tensioni crescenti tra Cina e occidente. In parte l’India è spalleggiata dall’occidente, nonostante la sua destra islamofoba e liberticida. Il contenzioso con l’India spinge Nuova Delhi verso l’Australia, il Giappone e gli Stati Uniti. Mentre la Cina non fa che confermare una paranoia nutrita dell’accerchiamento. Il mondo post covid non fa che confermare tensioni geopolitiche esacerbate.
(Le Monde, 19 giugno 2020, tratto da David Carretta, RadioRadicale)

“Un pericoloso scontro, un pericoloso faccia a faccia sull’Himalaya. Sono le due potenze emergenti del pianeta. I due paesi contano il 40% della popolazione mondiale; qualsiasi conflitto tra questi due paesi avrebbe conseguenze mondiali. Lunedì, una battaglia combattuta tra gli eserciti dei due paesi ha provocato la morte di almeno 20 indiani e di un numero imprecisato di cinesi. Subito dopo Nuova Delhi e Pechino hanno precisato di voler evitare un’escalation militare sul confine conteso dell’Himalaya. Ma una soluzione pacifica all’attuale crisi non può essere scontata. Perché? Perché sia il Presidente cinese Xi Jimping sia il Presidente indiano Modi sono nazionalisti e non vogliono perdere la faccia.”
(Financial Times, 19 giugno 2020, tratto da David Carretta, RadioRadicale)

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