Geopolitica
La mancanza di democrazia in Cecenia, una colonia di Putin
La brutalità e l’eccesso della questione cecena nella recente storia del Caucaso e della Russia sono forse troppo spesso dimenticati o quantomeno ridimensionati ad un quadro piuttosto regionale. Così li hanno trattati i successori di Stalin, così ha fatto Eltsin e così ha continuato Putin a partire dal 1999.
In due guerre alla ricerca di una indipendenza la Cecenia è diventata uno dei luoghi più esplosivi del pianeta, con una capitale, Groznyj, che già dalla sua etimologia (“terribile, “tempestoso”) aveva come nascosta la sua natura distruttiva e violenta. Nei primi anni 2000 gran parte della città era stata ridotta ad una tabula rasa dai bombardamenti russi, l’unica preoccupazione, qualche tempo dopo, fu quella di restaurare e ricostruire dalle macerie una città moderna. Le uniche infrastrutture rimaste funzionanti erano i posti di blocco, che vennero poco a poco smantellati una volta che Putin riuscì ad avere il controllo della situazione con la salita al potere di Ramzan Kadyrov, proposto come presidente nel 2007.
Se fino a quel tempo la Cecenia era in mano a bande armate locali d’ispirazione fondamentalista islamica, dal 2009, con il termine del conflitto – e la maggior parte dei signori della guerra uccisi – l’amicizia di Kadirov con Putin fu il presupposto per una stabilizzazione del paese.
Una normalizzazione sui generis, mantenuta e perseguita con minacce, disinformazione e soffocamento di ogni tentativo di protesta culminati spesso in grandi articoli di giornale che hanno denunciato senza mezzi termini la politica oppressiva del governo filo russo.
Impegnato in questioni ben più gravi (vedi alla voce Ucraina e NATO), Putin non sta dando molto credito a quanto avviene adesso in Cecenia, ma ONG e media russi stanno iniziando a riportare azioni abbastanza inquietanti da parte di Kadyrov. Da qualche settimana parenti di diversi oppositori e critici del presidente ceceno sono stati rapiti e non si trovano più. È accaduto, ad esempio, ad alcuni membri della famiglia di Abubakar Yangulbayev (foto qui sotto), avvocato del Comitato contro la tortura, un gruppo russo per i diritti umani che ha denunciato gli abusi commessi da parte delle forze di sicurezza controllate da Kadyrov. Zarema Yangulbayeva, madre dell’attivista, è stata rapita a Nizhny Novgorod ed è attualmente detenuta in Cecenia con l’accusa di aver aggredito le forze dell’ordine.
Intanto c’è chi scende in piazza per invocare l’esecuzione dei “nemici dell’islam”, come se le tensioni etniche e religiose che hanno contraddistinto gli ultimi 30 anni di vita del paese non fossero state abbastanza perniciose per la sopravvivenza stessa del piccolo insediamento caucasico. La crisi dovuta anche alla Pandemia ha piegato inevitabilmente il tessuto economico locale, tanto che proteste al centro di Groznyj sono scoppiate nonostante le forze repressive del governo. Il 10 dicembre scorso sono state decine di donne a protestare nella zona del mercato “Berkat”, nel centro della capitale, a protestare contro il rincaro del prezzo d’affitto delle bancarelle. Così come per le altre nazioni caucasiche, la notizia non era tanto la protesta, ma il fatto che fosse in qualche modo concesso di porre una lamentela. Il movimento di opposizione “1ADAT” organizzandosi su Telegram decise di far fronte alle pessime condizioni economiche di molte famiglie organizzando collette alimentari, costringendo in breve tempo il governo a prendere provvedimenti e comprare direttamente cibo per i propri cittadini. Questo è sintomatico del fatto che in Cecenia è tornato ad esserci un certo – nemmeno troppo malcelato – disagio socio economico che ha fatto mobilitare nuovamente autorità e opposizione.
Il 2 febbraio la gente è scesa in piazza per protestare contro la famiglia Yangulbayev. Kadyrov stesso, la scorsa settimana, aveva suggerito che tutti i parenti dell’attivista tornassero in Cecenia arrendendosi evitando di essere rintracciati e “annientati” in modo violento. Adam Delimkhanov, uno stretto alleato di Kadyrov e membro del parlamento russo, ha promesso altresì di perseguire l’intera famiglia dell’avvocato e attivista anti-tortura Abubakar Yangulbayev “finché non vi taglieremo la testa, finché non vi uccideremo tutti”.
Da un punto di vista mediatico, Kadyrov stesso ha dichiarato guerra a Yelena Milashina, giornalista di Novaya Gazeta che da anni racconta di presunte epurazioni contro omosessuali in Cecenia. “Abbiamo sempre distrutto i terroristi e i loro complici – ha detto il presidente ceceno -, non c’è differenza tra loro, ed è quello che continueremo a fare. Per me Kalyapin e Milashina sono terroristi che guadagnano soldi grazie a falsità sulla repubblica di Cecenia”. La redazione di Novaya Gazeta ha inviato Milashina all’estero, per tenerla lontano dalle minacce personali avanzate “da importanti rappresentanti ceceni”.
Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha ripetutamente definito le minacce di Kadyrov come “opinione personale” del leader ceceno e ha rifiutato di farsi coinvolgere nella controversia tra lui e i media nazionali e internazionali. Peskov ha anche negato le affermazioni secondo cui Putin ha “perso il controllo” sulla Cecenia, una regione conservatrice a maggioranza musulmana che si ritiene goda del sostegno finanziario di Mosca in cambio della lealtà. Kadyrov ha detto di aver incontrato Putin al Cremlino mercoledì sera e ha dichiarato che il presidente russo “ci sostiene sempre su questioni delicate che richiedono il suo coinvolgimento personale”.
Al momento non è dato sapere se la situazione in Cecenia impensierisce Vladimir Putin, il suo impatto politico sul paese caucasico è ancora notevole, non ci sono capitali esteri e Kadyrov continua a governare solo grazie alla sussistenza che arriva direttamente da Mosca. In una situazione stagnante, repressioni e una maggiore attenzione da parte dei media potrebbero rendere molto scomoda la posizione del “satrapo” di Groznyj. Quello che succederà è ancora avvolto nella nebbia. Nel frattempo diverse colonne di soldati ceceni si stanno muovendo verso l’Ucraina. Putin ha bisogno anche di loro.
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