Geopolitica
Quei pacifisti cattolici che innalzano vessilli di guerra per lo Zar ortodosso
Cosa sappiamo della guerra in Siria? Pressoché nulla. Cosa vogliamo sapere? Meno. È partita come un conflitto mediatico con i tagliatori di teste che producevano filmati dei loro sanguinari atti e noi Occidentali siamo rimasti sorpresi che anche loro conoscessero Twitter e Youtube, con la presunzione di chi pensa di avere a che fare con mondi fuori dalla modernità non rendendosi conto che il problema del mondo islamico è proprio l’avere con essa un rapporto insanabile, di consumare modernità, i suoi mezzi in primo luogo, ma di non produrne. Abbiamo accusato il colpo vedendo la barbarie ai notiziari e discutendo se valeva la pena trasmetterne le gesta dimenticandoci che la guerra in diretta era un prodotto delle nostre notti davanti al teleschermo verde delle telecamere con visori notturni della prima Guerra del Golfo. O, ancora, immemori del Vietnam, prima guerra mediatica, dove i fotoreporter erano armati anche di cineprese con cui far rimbalzare gli orrori nelle case americane. Sia chiaro, cose che ci hanno aiutato a capire cosa fosse una guerra. In realtà di questa non sappiamo nulla perché nulla vediamo e ancor meno vogliamo vedere.
Nella Siria orientale di Raqqa, nell’Iraq sunnita intorno a Mosul ogni giorno i curdi conquistano un villaggio che era loro, che passò nelle mani dell’IS senza che nessuno documentasse gli orrori perpetrati da una guerra contemporaneamente tribale, civile, religiosa e politica. Potete solo immaginare cosa sia accaduto in quei villaggi e oggi quegli stessi, ripassati di mano, vedono arrivare nei loro mercati mattutini camion carichi di tritolo dalle forme tramandate dai film di Mad Max post conflitto nucleare e guidati da kamikaze che si fanno esplodere col solo obbiettivo di fare strage di civili. Ma non una sola foto lo testimonia. Quegli stessi villaggi di notte si chiedono chi li bombarderà, quale aereo di una coalizione di 62 nazioni sarà operativo sulle loro teste o se stanotte sarà compito di caccia iraniani, bombardieri russi, elicotteri del regime di Assad.
Intorno ad Aleppo e a Homs sono i russi a seguire la più tragica delle tattiche aeree, quella del bombardamento con bombe “stupide”, imprecise, con ordigni a frammentazione, con proiettili al fosforo bianco che incendiano la pelle e la carne senza poter essere spenti, con armi termobariche i cui effetti vengono studiati dagli esperti di armamento come una fosse una sfida a tavolino per chi li sa riconoscere. Usano queste armi non perché non ne abbiano di migliori ma con due obbiettivi: il primo, riequilibrare il rapporto numerico (cioè fare il maggior numero di vittime) giacché la loro è una guerra senza boots on the ground, pari a quella occidentale, con la manovalanza in conto terzi del regime di Assad ridotta a un nulla e i pasdaran iraniani con i loro alleati Hezbollah duramente provati dalle botte prese in questi anni. Il secondo, colpire duramente e sanguinosamente la popolazione civile per renderle costoso l’appoggio e la copertura offerta ai ribelli e all’IS, per staccarla dai combattenti che si nascondono nelle città e nei villaggi.
E perché la popolazione siriana accetta quella che per noi è una dittatura medioevale? Perché per anni ha dovuto accettare silenziosamente i massacri perpetrati dal regime alawita dei macellai di Assad, del padre, del figlio morto e del figlio in carica. Gli obbiettivi russi non sono quindi collateral damage ma stragi autentiche, cercate e mirate in battaglie che per la configurazione dei territorio si svolgono quasi esclusivamente nei centri urbani: non sono le manovre avvolgenti degli Abrahms di Schwarzkopf, sono bombardamenti che puntano a fare il maggior numero di vittime. Lo dicono esplicitamente la tipologia di armi impiegate ma non lo hanno nascosto i generali russi nelle loro dichiarazioni.
Quale è la reazione dell’Occidente? Sconfortante. In guerra per definizione si dà il peggio di sé, non deve meravigliarci, e le guerre purtroppo servono: queste righe non sono scritte da un pacifista ma da uno che sa che la libertà va difesa e va conquistata anche col più tragico degli strumenti . Ma ciò che sarebbe imprescindibile per chi si sente più “civile” è comprenderne i meccanismi e avere in testa una soluzione politica. No, noi non ci stiamo riuscendo. Per noi non si può parlare di profughi, si parla solo di immigrati clandestini dove la distinzione tra chi lo è per salvare la vita o lo è per ragioni economiche appare pelosa, fastidiosa, complicata da discernere. Meglio considerare tutti immigrati senza far caso a quelli che stanno scappando per poi sperare di tornare a casa, senza preoccuparci se arrivano in massa perché il regime filorusso di Assad li gasava col chimico o con i barili esplosivi.
Chi la pensa così è colui che pensa che Assad sia un possibile alleato o che sostiene che il dare tre miliardi ad un regime corrotto come quello turco per aiutare i profughi non è un atto di realismo ma un frutto di stupidità, perché “la Turchia sta con l’Is” e in fondo Erdogan è un esponente dei Fratelli Musulmani, sempre islamico è.
C’è qualcosa di peggio che sommare ad una guerra di religione tra sciiti e curdi un’altra guerra di religione? Noi laici, non atei ma laici, apparteniamo ad una generazione che in Medio Oriente ha visto guerre “tradizionali” fra stati: lo fu la Guerra dei Sei Giorni o quella dello Yom Kippur dove Israele difendeva la sua esistenza dagli aggressori. Lo furono “Piombo Fuso” e “Pace in Galilea”, in una qualche misura lo furono anche le Intifada che per quanto sanguinose assomigliavano al terrorismo politico o indipendentista europeo.
Tutto potevamo pensare tranne che trovarci invischiati in conflitti dove si cerca “l’islam moderato”, dove grandi giornali per scuotere l’opinione pubblica non ci spiegano gli orrori di una guerra senza soluzione politica ma si appellavano all’idea che l’Occidente dovesse muoversi a difendere i cristiani perseguitati in Siria. Cosí i “pacifisti” del mondo cattolico usualmente lesti a innalzare le bandiere arcobaleno quando il conflitto è Amerikano ora innalzano vessilli di guerra per lo Czar ortodosso del Kremlino.
Dobbiamo tornare a ragionare. Dobbiamo farlo rivendicando che i conflitti hanno ragioni statuali e devono trovare composizione degli interessi secondo le norme post Westfalia delle relazioni internazionali. Dobbiamo tornare ad avere una idea chiara di ciò che le alleanze chiedono, di come le alleanze nel mondo Occidentale non siano frutto di trattative beduine ma di razionali scelte di campo la cui solidità non è episodica. Dobbiamo farlo rivendicando che il non farsi impaurire non è semplicemente il continuare ad andare a teatro ma il mantenere saldi i principi e gli ideai laici che abbiamo faticosamente portato nella nostra cultura politica. Dobbiamo farlo con un po’ più di intransigenza, magari non accettando per convenienza di dimenticare chi ha abbattuto un aereo civile non sul Sinai ma in Ucraina, rifiutando che si possa trattare di un errore di una banda di ubriachi: se ci fu un errore fu commesso da quelli sobri che agli ubriachi diedero le armi. Insomma, laicamente intransigenti sì e in primo luogo con noi stessi.
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