Geopolitica

La guerra in Ucraina, la crisi della fiducia e l’antinomia del denaro

24 Febbraio 2023

Secondo un sondaggio lanciato dallo European Council on Foreign Relations l’Italia è uno dei Paesi occidentali in cui il sostegno a Kiev è più debole. Non che gli Italiani si schierino con la Russia, ma una nutrita maggioranza è indecisa su cosa pensare e scettica sull’invio di armi come strategia primaria per arrivare ad una fine del conflitto. I luoghi comuni a commento di questa incertezza si sprecano, come mi è capitato di ascoltare stamattina in una trasmissione radiofonica: gli Italiani sono un popolo cinico, che non si sente parte di niente, che non si riconosce nei valori dell’Occidente, che pensa solo al tornaconto immediato, che si lascia abbindolare dalla propaganda, eccetera eccetera.

Il problema è un altro e sta a monte della guerra in Ucraina: tra gli Italiani c’è una crisi generalizzata della fiducia nelle istituzioni e nei loro rappresentanti che si è acuita negli ultimi trent’anni e da cui sarà difficilissimo uscire, per lo meno fino a quando tutto quello che non si allinea alla narrazione mainstream continuerà a venire denigrato come complottismo, fake news, populismo e quant’altro.

Partiamo da lontano: ci era stato promesso che con l’ingresso nell’Euro avremmo guadagnato come se lavorassimo un giorno in più lavorando un giorno in meno. Una ventina d’anni dopo si è scoperto che gli stipendi in Italia sono crollati mentre nel resto d’Europa crescevano, ci si è ridotti a farsi erogare a debito risorse inferiori a quelle che, ogni anno, il nostro Paese versa per il budget comunitario, si è rimasti da soli ad affrontare il problema dei migranti, mentre dall’Europa arrivano tegole come gli aumenti dei tassi di interesse (che guarda caso fanno comodissimo agli accumulatori seriali di cash del Nord Europa) per contrastare un’inflazione che nulla ha a che vedere con l’eccesso di domanda e richieste irrealistiche di efficientamento energetico degli edifici (che guarda caso non sfiorano le tasche di tedeschi, olandesi, ecc. che passano la vita in affitto). Nel frattempo si scopre che il parlamento Europeo è infiltrato da lobbisti di Stati canaglia che si comprano le risoluzioni con valigette piene di banconote e che persino sui vaccini, quindi sulla salute delle persone, si sono firmati contratti altamente problematici con case farmaceutiche senza scrupoli, che a suo tempo non hanno esitato a sborsare ingenti somme per diffamare i propri rivali.

Come si può pretendere poi che, quando da queste stesse istituzioni arrivano prese di posizione sulla guerra, queste vengano prese per oro colato? È vero che non si può fare di ogni erba un fascio (e di ogni erborista un fascista) e che ogni questione va considerata nel merito specifico, ma vogliamo almeno ammettere che a livello psicologico l’esitazione a fidarsi di chi si è manifestato inaffidabile in altri frangenti sia, se non giustificata, almeno comprensibile? Quando l’America dice che la Cina vende armi alla Russia, come si fa fidarsi? Si tratta delle stesse armi di distruzione di massa di cui l’Iraq era pieno? Oppure dei palloncini volanti abbattuti a colpi di centinaia di migliaia di dollari mentre gli Americani sono sull’orlo del default sulle carte di credito e la FED racconta che l’economia è fondamentalmente solida? E quando Goldman-Sachs se ne esce annunciando che sono pronti a mettere mano al loro pingue portafoglio per la ricostruzione dell’Ucraina, come si fa a non pensare male, o per lo meno sentire un pochino meno entusiasmo per il protrarsi del conflitto “fino alla vittoria”?

Cartesio sosteneva che non è bene fidarsi di chi ci ha ingannato almeno una volta, come i nostri sensi che a volte ci fanno sembrare bagnata una strada perfettamente asciutta …ma questa gente non assomiglia forse piuttosto al genio maligno, un essere potentissimo che non ci inganna solo qualche volta, ma ha posto tutto il suo ingegno ad ingannarci sempre e sistematicamente?

Vorrei suggerire a mo’ di conclusione che siamo arrivati a punto di non ritorno di quella che chiamerei l’antinomia del denaro e che riassumerei così: la circolazione del denaro ha bisogno necessariamente di fiducia, ossia, la fiducia è il medium in cui il denaro circola come è necessario che accada in un’economia capitalista. Al contempo, il denaro come primum movens di ogni decisione e come obiettivo unico e ultimo di ogni scelta erode nel tempo proprio quella fiducia di cui esso ha bisogno per moltiplicarsi. Quando nel popolo si insinua il ragionevole sospetto che le scelte di chi dovrebbe guidarci, quale che sia la motivazione di facciata, siano in realtà dettate solo e soltanto dal denaro e in particolare dall’esigenza di drenare il denaro in circolazione dalle fasce sociali e dai Paesi più deboli a quelli più forti, allora viene meno nel tempo la fiducia generalizzata che è però condizione necessaria per la circolazione e la riproduzione del denaro stesso. Occorrerà forse un drenaggio completo di risorse e di ricchezza affinché il denaro si emancipi definitivamente dalla necessità della fiducia come medium psicologico per la sua circolazione e riproduzione? Ad oggi non è dato saperlo.

Se gli Italiani si rifiutano di accettare di slancio la narrazione manichea del brutale aggressore e dell’inerme aggredito e se alzano un sopracciglio quando gli vengono indicati i grandi Valori dell’Occidente come posta in gioco del conflitto, la ragione è forse che hanno imparato sulla propria pelle che dietro il velo di Maya si nasconde sempre e soltanto il denaro come alfa e omega delle vicende del mondo. Ma, e qui sta l’antinomia, il denaro come alfa e omega delle vicende del mondo genera sfiducia e la sfiducia alla lunga, per lo meno finché per la riproduzione e moltiplicazione del denaro serviranno persone umane che lavorano, comprano e vendono, mina alla radice proprio il denaro stesso.

A un anno dallo scoppio dal conflitto non resta che augurarsi che tacciano presto le armi e prima ancora che tacciano le menzogne che hanno ammorbato le menti e i cuori delle persone rendendole ormai sostanzialmente incapaci di fidarsi di alcunché.

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