Geopolitica
La guerra ibrida della Russia contro l’Ucraina
Quello che sta accadendo in Ucraina è sotto gli occhi di tutti. Ora come ormai da 8 lunghi anni. Un periodo di attesa, di organizzazione, di lunga pianificazione che ha visto il Cremlino affrontare una nuova “guerra” con l’idea di non farla sembrare tale, ottemperando a tutte le risoluzioni e tutti i divieti che la diplomazia internazionale aveva negli anni imposto.
Sono passati 9 anni da quando il Capo di Stato Maggiore Valerij Vasil’evič Gerasimov (qui sotto una citazione), durante una conferenza dell’Accademia di Scienza Militare di Mosca, parlò di nuove forme di “combattimento” necessarie al Paese guidato da Putin per affrontare le nuove sfide in campo internazionale, anche alla luce di quello che stava avvenendo in medio oriente e nell’africa settentrionale dopo l’inizio delle primavere arabe.
Putin ha sempre scommesso molto sulle nuove forme di guerra ibrida, tanto da voler incontrare, sempre nel 2013, il generale Maschmut Gareev, classe 1925, veterano della Seconda Guerra Mondiale e dell’Afghanistan, una figura importante per la formazione dei militari russi. Negli anni Gareev aveva appreso l’importanza di contrastare la NATO secondo una modalità di guerra non lineare, scrivendo un testo che di fatto mise nero su bianco l’ormai conosciuta, in ambienti militari, tecnica del Political warfare o “guerra ibrida”.
“Nel ventunesimo secolo abbiamo visto una tendenza verso la sfocatura dei confini tra gli stati di guerra e pace. Le guerre non sono più dichiarate e, una volta iniziate, procedono secondo modelli che sono ancora sconosciuti. L’esperienza dei conflitti militari, compresi quelli legati alle cosiddette rivoluzioni colorate del Nord Africa e Medioriente, conferma che uno stato fiorente può, in mesi e persino giorni, trasformarsi in un’arena di conflitti armati feroci, diventare vittima di un intervento straniero, e affondare in una rete di caos, catastrofe umanitaria e guerra civile. Certo, sarebbe più facile per tutti dire che gli eventi delle Primavere arabe non sono la guerra, e che quindi non ci sono lezioni per noi militari da imparare. Ma forse è vero il contrario, ossia che proprio questi eventi sono tipici della guerra nel ventunesimo secolo. In termini di entità di vittime e distruzione, le catastrofiche conseguenze sociali, economiche e politiche, questi conflitti di nuovo tipo sono paragonabili alle conseguenze di una vera guerra. Le stesse regole di guerra sono cambiate. Il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è aumentato e, in molti casi, ha superato la potenza delle armi nella loro efficacia. Il focus dei metodi applicati in un conflitto si è evoluto nella direzione di un ampio uso di strumenti politici, economici, informativi, umanitari e altre misure non militari, applicate in coordinamento con la protesta potenziale della popolazione”.
L’Ucraina rientra quindi da quasi 30 anni nei campi di studio e approfondimento di strategie per opporsi virtualmente alla NATO. La ragione che gravita attorno a Kiev ha una importanza strategica rilevante, ma prima di tutto, dopo la dissoluzione del URSS, è pur sempre un territorio che non si è mai reso totalmente indipendente da Mosca, così come tanti altri “satelliti” come la Cecenia, la Bielorussia o la Georgia. Importante per le risorse territoriali, importante per le infrastrutture che ancora sono in gran parte condivise con la Russia, e importante da un punto di vista etnico, linguistico o religioso.
Gareev elaborò per primo il concetto di “Information warfare” dando seguito ad una ormai consolidata tradizione di disinformazione sovietica, che, associata ad una buona dose di propaganda, sarebbe stata in grado di creare disordini pubblici indebolendo un sistema paese arrivando al controllo della sua stessa società. La vera innovazione era quella di non dichiarare mai un conflitto con tutte quelle che poi sarebbero state le sue implicazioni, ma provocare e logorare un avversario dall’interno. Contemporaneo di Gareev, Vladimir Slipčenko parlò di “non-contact War” che puntava sull’ibridazione di tecnologia e strategia, e doveva ormai essere tipica della società dell’informazione, di una globalizzazione che ormai si stava di fatto verificando soprattutto nei sistemi di comunicazione.
Nel 2014 la Russia ha potuto impiegare i concetti elaborati da Gerasmiov e dai suoi predecessori con l’annessione della Crimea, che si è sviluppato attraverso tre fasi: preparazione, attacco e gestione/stabilizzazione. Se per la penisola sul mar Nero tutto è filato liscio, la stabilizzazione del Donbass non è ancora cosa fatta, ma l’istituzione delle due repubbliche indipendenti è di fatto un successo per la Russia di Putin. Sullo scacchiere geopolitico l’Ucraina è impossibilitata a muoversi. Potrebbe guardare a ovest, ma perderebbe tutte le infrastrutture (comunicazioni, approvvigionamenti) create dai russi negli anni passati e ancora in condivisione, l’Europa al momento non potrebbe accettare l’adesione di un Paese in guerra e sarebbe impensabile iniziare una guerra preventiva con una differenza di mezzi notevole e un esercito nemico che continua a rimanere sul proprio territorio senza mai avanzare alcuna provocazione.
Nel 2022 siamo di fronte a quanto preventivato da Gerasimov, abbiamo delle truppe schierate in anticipo, mobilitate piano piano, un impatto non dichiarato, senza contatto che nonostante tutto mette in fibrillazione Kiev e mondo occidentale. In più, la Russia è venuta a conoscenza di altre due importanti risorse: l’utilizzo di società militari che collaborano con gruppi armati di opposizione interni ad altri stati e soprattutto la manipolazione dei media.
Le cosiddette Compagnie Militari Private sono state il mezzo attraverso cui molti hanno riconosciuto l’adeguamento di Mosca alle nuove tecniche di guerra. Sono state utilizzate ovviamente in Ucraina, Siria, Libia, ma anche in Sudan, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e in Venezuela a protezione del presidente Nicolàs Maduro. Una di esse, tra le più famose, è il “gruppo Wagner” che collabora spesso con il Ministero della Difesa, l’intelligence e la sicurezza federale. Queste squadre di mercenari, formate appositamente in patria prima di partire per mete differenti “offrono anche al governo russo un modo per espandere la sua influenza commerciale ed economica nei paesi in via di sviluppo e costruire nuovi flussi di reddito, in particolare tramite petrolio, gas e estrazione di minerali, riducendo così l’impatto delle sanzioni” ( Centro per gli studi strategici e internazionali (CSIS)). In Ucraina i mercenari russi erano già presenti, avvistati dalla popolazione e definiti “omini verdi”, da marzo 2014, in Crimea, aumentando di numero quando si generò anche il conflitto in Donbass tra separatisti e forze ucraine. Il loro scopo? Sempre secondo il CSIS era quello di “destabilizzare e poi consolidare il controllo sulla Crimea e sul Donbass, appesantendo e facendo pressioni su Kiev e sui suoi alleati occidentali perché facessero concessioni diplomatiche”.
Negli ex stati sovietici ci sono anche diversi oligarchi e uomini d’affari che – fortunatamente per la Russia – hanno in mano grandi e importanti canali di informazione, senza contare che Mosca dispone di case di produzione ormai consolidiate che fanno divulgazione nazionale ed internazionale, calibrata, al passo coi tempi e sempre più diffusa. Tutto ciò è fondamentale per la guerra ibrida: notizie di dubbia verificabilità ma allarmanti che comprendono temi politici, economici, religiosi, portano confusione e malcontento nell’opinione pubblica. Incentivante è stata poi anche la libertà di certi social network come Vkontakte e Odnoklanssniki che l’Ucraina ha tentato di arginare con scarsi risultati.
Sintomo del conflitto ibrido teorizzato da Gerasimov è poi anche lo screditamento di alte cariche pubbliche come accaduto per l’ex presidente Poroshenko. In tal caso, generare malcontento nella gente è servito a far diventare la lotta dei separatisti – supportati dai mercenari – come una guerra di liberazione necessaria e gloriosa, da intraprendere a tutti i costi. L’Occidente si è reso conto dell’instabilità dell’Ucraina ed ha ora a che fare con una nazione impaurita, ossessionata da un imminente attacco e sotto un bombardamento psicologico e informatico che arriva silenziosamente e invisibilmente eterodiretto da Mosca.
A questo punto possiamo affermare che lo schieramento delle truppe russe ai confini è un chiaro e forte messaggio: la nostra fase di preparazione è attiva.
Cosa dobbiamo aspettarci? Se tutto procede come nel caso della Crimea e del Donbass potrebbe essere inevitabile una fase di attacco violento con l’occupazione dei punti nevralgici (palazzi governativi, parlamento), l’aumento di tensioni e proteste anti governative, diserzioni e taglio delle comunicazioni nazionali, soprattutto di quelle televisive che ancora ricoprono un ruolo fondamentale nel Paese. Se tutto dovesse andare bene sarebbero poi necessari dei referendum o comunque delle tornate elettorali in grado di stabilizzare il Paese.
La speranza della comunità internazionale è di non arrivare mai ad una fase 2. E questo accade mentre ormai la popolazione stessa si sta formando fisicamente per imparare a combattere, con l’aiuto di NATO e altre nazioni europee. Nei palazzi di Kiev si preparano i rifugi in caso di bombardamenti, per le strade e nelle case la gente impara a come comportarsi per la medesima evenienza. Se la guerra ibrida della Russia è già iniziata, la diplomazia occidentale potrebbe giocare un ruolo fondamentale, i colloqui sono ancora aperti e nulla è ancora deciso, ma nelle terre innevate ucraine le trincee sono già scavate e piene di armi.
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