Geopolitica
La geopolitica di Kissinger nell’era di TikTok
Come tutti tra preoccupazione e dispiacere, distanza e tristezza, umana pietas e rassegnazione menefreghista seguo le vicende della guerra in Ukraina.
Ieri ho letto persino un Kissinger, che a 96 anni pareva assai più lucido della nostra arrancante classe dirigente, ma tra pochezze dei più, idee strampalate, contraddizioni abissali il poco che mi sale da dire è che, nella banalità del disastro che è sempre abbastanza simile nella sua miseria, vedo due mondi che si confrontano in questa guerra. Da un lato quello nuovo dei tweet e delle immagini – che Zelensky in maglietta militare ben interpreta – e dall’altro quello degli “antichi”che si ostinano a mettere in una qualche forma prospettica le cose cercando legami e conseguenze tra le azioni.
Questo modo di vedere, di essere, di progettare spazi, relazioni, pesi e misure – che mi rendo conto non posso che sentire mio – è però un mondo di ieri, completamente sconfitto dal nostro tempo e superato proprio nel pensiero, non solo dei fatti.
Azioni, immagini, narrazioni sono oramai flash, lampi disarticolati, rapidi slogan, commenti che hanno vita propria e sono per loro natura autonomi dal quello stesso che commentano, null’altro che piccoli spazi sparsi nel mondo dove 1 vale 1 senza gerarchie, strutture e ordini, con una durata temporale di pochi secondi.
È il tempo dei piccoli video autoprodotti su tiktok – quelli che per farli la gente molla il lavoro su cui avevamo fondato i nostri vecchi stati per guadagnare meglio a sfoggiare male vestiti di basso livello o mostrare come si sente libero a lasciare tutto e partire con furgoni attrezzati alla meno peggio per andare a fare il giro del mondo – non certo dei film, il tempo di musiche che si cambiano in pochi istanti e non certo vetusti LP doppi, di progetti che si misurano nella loro capacità di stare in equilibrio sopra l’onda qualche istante in più, non certo di cattedrali da farsi in varie vite concepite per l’eternità.
Resta sul campo l’ingombro di una Europa e di un Occidente tutto -gli americani non sono messi affatto meglio, sono solo molto più agili e basici nel reagire – che sono costituiti come sogno del “nostro” modo di pensare, vivere, organizzare società ed economia e sconta questa sua arretratezza culturale.
Come coloro che interpretano lo spirito del nostro tempo costruiranno equilibri, pipeline (di gas, petrolio o cultura non cambia) e gli spazi per delle politiche non è dato sapersi perché ogni tempo nuovo è nuovo, la sola certezza che sento di avere io è che lo faranno in un modo molto diverso da come lo avrebbe fatto il Kissinger che mi sono trovato a leggere e da cui sono partito.
Non trovo abbia senso avere rimpianti o nostalgie per tempi e modalità andate, ma, anzi, penso sia bene avere al massimo curiosità per il futuro, sebbene senta montare come personale unica certezza che questo futuro noi non abbiamo strumenti per comprenderlo davvero e, quindi, men che meno per progettarlo e forgiarlo ad immagine di cose che sono inesorabilmente scadute come certi prodotti rimasti sugli scaffali del supermercato.
Per non chiudere con una immagine rinunciataria, va aggiunto, che credo fortemente che dirselo e fare un sano esercizio di verità e chiarificazione possa essere utile a tutti, al netto che possa o no permettere di rimettere in gioco delle parti di saperi che, se rimessi in altri linguaggi, formati avrebbero ancora da dare qualcosa al mondo.
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