Geopolitica

La democrazia è esportabile e preservabile?

17 Marzo 2025

Ragionamento sui piani di riarmo europei e la lotta contro i regimi autoritari

 

Il 19 Marzo verrà presentata alla Commissione Europea la risoluzione non vincolante votata ed approvata il 12 Marzo al Parlamento Europeo contenente il piano “ReArm Europe”.

Il piano consiste essenzialmente in ingenti investimenti nella difesa comune europea, attraverso cui si potrebbe raggiungere l’obiettivo di stabilizzare i conflitti esterni attraverso la tensione con le autocrazie extraeuropee, o così suggerisce la presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen;  progetto decisamente ambizioso di cui si parla da anni ed affrettato vista la recente crisi ucraina. Riferimenti relativi all’investimento nella difesa UE si possono trovare nel Rapporto Draghi e nei programmi politici di alcuni dei principali partiti europeisti italiani tra cui in Italia Azione e +Europa e recentemente Forza Italia. Tuttavia dovremmo chiederci: la democrazia sopravvive e prospera attraverso la forza, la paura ed il potere? 

 

Una domanda che fu oggetto di studio di molti scienziati politici e storici dal dopoguerra fin’ora. Possediamo evidenze storiche di “democracy export” perseguite dai paesi NATO in Iraq, Afghanistan e Kosovo. La somma delle perdite umane ed economiche furono incalcolabili. Osservando la situazione moderna di transizione forzata da regimi autoritari a democrazie possiamo notare che nel lungo periodo questi nuovi governi non hanno una cultura democratica sviluppata autonomamente, dovuta all’ingerenza e alla dipendenza estera che ha portato in queste zone già dilaniate dalla guerra situazioni ancor più tragiche. Il Kosovo e l’Iraq (quest’ultimo raggiunse livelli economici pre-industriali dopo le Guerre del Golfo) affrontano ancora oggi instabilità politiche ed economiche registrate nelle elezioni recenti. L’Afghanistan invece è tutt’oggi governato dai Talebani dopo i falliti investimenti militari Occidentali. Un esempio storico positivo si ritrova nella liberazione durante la Seconda Guerra Mondiale, condotta dalle forze Alleate e la successiva democratizzazione e pace europea post 1945. Bisogna però sottolineare la differenza che culturalmente questi due esempi di democrazia a domicilio hanno: nei primi 3 casi si parla di nazioni sfruttate dal colonialismo ed in seguito comandate da regimi violenti e repressivi. Queste zone conobbero una democrazia influenzata perennemente da interessi imperialisti anche durante la Guerra Fredda. Mentre nel secondo caso si fa riferimento a Dittature insorte dopo una crisi democratica europea. Si tratta di paesi che seppur fossero figli della loro epoca possedevano già una storia di lotte civili e sociali, assieme ad background politico-culturale di rilevanza internazionale e una ricchezza statale rilevante. 

 

Vorrei ricordare che le fondamenta della struttura politica originaria dell’integrazione europea attraverso il Consiglio d’Europa (1949) nacquero con la finalità di evitare gli errori passati e impedire che la guerra ritornasse nel continente europeo. Le similitudini purtroppo oggi si riscontrano più con il riarmo pre-Grande Guerra, appoggiato anche dalle frange più progressiste come alcuni partiti socialisti (eccezioni furono il PSI ed i Bolscevichi) rispetto alla volontà dei padri fondatori europei della CEE. La crisi delle democrazie liberali perciò attualmente sembrano necessitare di un diverso tipo di intervento. L’Unione Europea trascurando la problematiche gravi interne ai paesi membri, concentra l’attenzione delle masse e dei media sulle difficoltà esterne ai confini adottando un atteggiamento militarista e propensa al continuo della diplomazia della Guerra Fredda caratterizzata da odio, rigetto della diplomazia pacifica e continua tensione, la quale dovrebbe essere superata e non reiterata. Spezzando una lancia in favore dell’UE si può comunque riconoscere I meriti che le strategie della tensione hanno nel debellare abusi autocratici e certi attacchi mirati come cyber-attacchi e influenze straniere elezioni  di stati UE (tutti casi confermati recentemente in varie zone europee). Queste strategie però scemano di fronte alla mancanza di una linea diplomatica precisa e dichiaratamente pacifista, assieme all’intenzione di riforme economiche, sociali e civili intraprese dalla maggioranza degli stati, i quali rappresentanti scadono in dichiarazioni allarmanti con affermazioni guerrafondaie, un esempio sono le dichiarazioni di Carola Rakete: “dobbiamo permettere che l’Ucraina colpisca oltreconfine. Essere progressisti vuol dire combattere le dittature, che siano Russia, Venezuela o Siria”. Affermando ciò si esclude dunque la diplomazia ed il coinvolgimento di tutti gli stati confinanti con l’Ucraina e la Russia privilegiando i negoziati tra le grandi potenze. Questi paesi sono i primi a dover essere tutelati in quanto a contatto con la realtà ucraina e russa e hanno un passato di ingerenze sovietiche. Senza il coinvolgimento attivo di queste nazioni raggiungere una pace duratura sarà una sfida pressoché impossibile soprattutto attraverso tensioni o politiche che favoreggiano la spartizione di zone di influenza piuttosto che stabilità e continuità nello scenario geopolitico.

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