Geopolitica

La cecità tedesca spinge la Grecia nelle braccia di Putin e l’Europa alla rovina

5 Febbraio 2015

La vittoria di Syriza in Grecia deve essere l’occasione di una profonda riflessione sul nuovo ciclo politico che si apre in Europa dopo i circa 15 anni –  possiamo dirlo – di fallimento della poliarchia europea. Se la poliarchia è la convivenza di rappresentanza territoriale espressa dalle assemblee elettive di ogni ordine e grado, e di quelli che io chiamo poteri situazionali di fatto (grandi imprese oligopolistiche e monopolistiche e tecnostrutture non elettive), occorre avere il coraggio di dire che tale poliarchia è nata pericolosamente sbilanciata verso i poteri situazionali di fatto ed è stata sino a ora un governo misto di oligarchia e di plutocrazia.

La prova di ciò risiede nell’assoluta mancanza di poteri direttamente compulsivi del Parlamento europeo eletto con gran clangor di buccine ma costretto a veder passare le sue leggi (sic!) attraverso il filtro tecnocratico della Commissione. Se si aggiunge poi il fatto, sociologicamente incontestabile, che gran parte di quella eurotecnocrazia non è mai solo oligarchia perché cooptata non per meritocrazia ma per omofilia e clientelismo, abbiamo il drammatico quadro del ciclo politico che forse ci stiamo lasciando alle spalle a livello europeo. È stata questa configurazione strutturale della poliarchia europea che ha creato all’interno della sua asimmetria costituzionale un’altra asimmetria. Mi riferisco a quell’asimmetria derivata dal regime demografico, dalla posizione geopolitica, dalla irrimediabile cultura di potenza che si è disvelata tra le medie potenze europee.

Quando si sottraggono ai popoli le scelte, il peso della storia secolare è ancora più forte ed è ciò che è successo in Europa. Dopo il crollo dell’impero sovietico, 80 milioni di tedeschi si sono trovati, dopo essersi potuti unificare grazie all’aiuto nordamericano negli anni Cinquanta e alla stupidità diplomatica franco-italiana negli anni Ottanta, imponendo il loro spirito di potenza in primo luogo contro la Francia e in secondo luogo contro l’Europa del Sud. L’aggregazione delle nazioni ex-comuniste e dei Paesi nordici al blocco teutonico era inevitabile. Il tutto alimentato da un’ideologia, quella liberista e di sregolazione della finanza, frutto delle neo-ideologie liberal socialiste di Blair e di Clinton, da un lato, e dal rinnovato vigore dell’ordoliberalismus tedesco, dall’altro, che è stato il cemento di una politica economica che ci ha portato al disastro. Un disastro che si è concretato già ben prima dell’emergere della crisi e che ha creato la bolla finanziaria che poi ci ha travolto nel 2008.

Sin dall’inizio degli anni Novanta nel contesto dell’ubriacatura della new economy e dell’irrazionale esuberanza borsistica le banche anglo-franco-tedesche hanno alimentato colossali investimenti nell’Europa del Sud, che si sono aggiunti a quelli di derivazione europea attraverso i fondi strutturali che sono stati e sono, per intenderci alla svelta, una colossale “cassa del mezzogiorno” degenerata a livello europeo. Gran parte del debito dei Paesi del Sud Europa deriva da questa follia da iper-investimenti che hanno alimentato a loro volta speculazioni finanziarie a debito a non finire e che hanno posto le basi per possibili default dei paesi del sud Europa.

La Grecia è stato il punto più grave e sensibile di quella tragedia. Governata da oligarchie plutocratiche estero vestite – è nella costituzione il privilegio degli armatori di non poter pagare tasse – e da cleptocrazie partitiche nazionali di lungo lignaggio (i Karamanlis e i Papandreou ne sono i punti più visibili), la Grecia, culla della democrazia ma anche delle più spietate dittature, ha amplificato con la macchina del clientelismo diadico e di gruppo (partiti di massa ma a forma di grappoli neocacichistichi di gruppi e personali) facendo proliferare una profonda disuguaglianza mascherata da sprechi pubblici dilaganti atti a mantenere in vita quel regime oligarchico cleptocratico grazie al consolidamento esteso ma sottile della macchina tradizionale dei partiti. Poi vennero gli anni del cosiddetto default greco, dove si raggrumarono tutti i vizi di cui quelle oligarchie avevano infettato anche gli ultimi, anche i poveri, cercando di distruggerne persino l’anima.

Il nuovo ciclo politico europeo che inizia in Grecia disvela tutto ciò. E lo fa in modo contraddittorio. Il Pasok scompare perché gli ultimi si infettano ma sono protetti da Dio, e possono esser aiutati a risollevarsi se trovano dei maestri. E il Pasok non ne aveva. I parassiti dell’oligarchia cleptocratica invece continuano a sperare che la loro natura saprofitica possa continuare a riprodursi ed ecco che Nuova Democrazia di Samaras, ma in effetti dei vecchi Karamanlis, ottiene un bel risultato in mezzo alla catastrofe: il 28% vuole ancora continuare a vivere di clientelismo, di privilegi, di parassitismo. Naturalmente gli scogli affioranti delle vecchie ideologie della destra filofascista e della sinistra comunista staliniana e post-staliniana non possono che rinvigorirsi nella crisi (Alba dorata) oppure riaffermare caparbiamente se stesse (il Partito Comunista greco un tempo chiamato “dell’esterno”, perché aveva rotto con quello dell’interno eurocomunista e filoitaliano).

La vittoria di Tsipras è l’inizio di un nuovo ciclo politico perché, come è stato evocato dal Financial Times il giorno prima delle elezioni, non è la vittoria di un gruppo estremista ma realista. Syriza eredita l’intransigenza anti clientelare, orgogliosa e nutrita da anni di riflessione autocritica, del Partito comunista “dell’interno”, che ha trovato nuova linfa e vigore nei movimenti studenteschi di massa del 1995 contro la destra, contro il pericolo di un nuovo autoritarismo. Movimenti da cui i leader di Syriza sono nati così come è accaduto in Cile, nel grande moto di rivolta universitario che ha portato la Bachelet alla vittoria presidenziale sotto la guida di una leadership femminile della gioventù comunista cilena.

Syriza ha fatto ciò che solo dieLinke in Germania è riuscita a costruire, l’intreccio di una solida base teorica che guida gli animi verso il realismo e il compromesso, che sono l’essenza dell’arte della politica, e il radicamento nei movimenti operai e sindacali e della povera gente. Naturalmente quest’intreccio ha costituito e costituisce un forte catalizzatore nelle classi medie impoverite e devastate dalle politiche neo-schiaviste, crudeli, e economicamente pazzesche, della famigerata Troika.

Credo che sia stato raro nella storia del Novecento trovare un’insensibilità così grande di fronte alla sofferenza sociale come quella espressa dai banchieri e dai tecnocrati europei. Il mio ricordo va a quella sofferenza inflitta da Poincarè e dalla classe dirigente francese, dopo aver sconfitto la Germania dopo la prima guerra mondiale, quando si rischiò di far morire di fame milioni di tedeschi, per le sofferenze imposte alla Germania sconfitta. Solo la compassione dei soldati inglesi che cominciarono a dividere le loro razioni con le famiglie tedesche ridotte alla fame – così ci raccontarono tanto Lord Keynes, quanto Francesco Saverio Nitti – facendo sollevare per lo scandalo la stampa nordamericana, costrinse i francesi a finirla con le loro angherie revansciste.

Ora, se udiamo il ministro Schäuble e il banchiere Weidmann e vediamo i sorrisetti indifferenti della Massaia sveva che guida di fatto l’Europa, capiamo che la tragedia si ripete, con attori diversi che ci insegnano che dalla Storia e dal male se non si ha pietà non si impara mai nulla.

Il nuovo ciclo politico europeo deve iniziare grazie a tre virtù: quella della pietà, ponendo le basi di una nuova solidarietà e condivisione di sovranità, dando vita a un grande conferenza internazionale sul debito, che veda protagonisti non solo gli Stati europei ma anche gli Stati Uniti e la Russia. La seconda virtù è quella della temperanza che Tsipras ha già iniziato a rendere manifesta alleandosi con un partito di centro destra populista e schierato contro l’austerità tecnocratica europea. È una mossa molto intelligente, perché lascia spazio a un’opposizione di sinistra che può incanalare il radicalismo generato dall’ideologia e dalla sofferenza, e nello stesso tempo non lasciare l’opposizione sociale alla destra neonazista. Una mossa tattica di grande maturità, frutto di una profonda riflessione sulla storia greca, che quei vecchi capi eurocomunisti svilupparono in studi scientifici e che hanno ora consegnato a questa nuova classe dirigente di Syriza. La terza virtù è quella della speranza, a cui il leader vincitore si è, con un afflato molto cristiano, continuamente appellato. I miei venticinque lettori sanno che questa virtù, che è quella di Peguy, mi è particolarmente cara. Come la speranza, dobbiamo tornare bambini e camminare verso quel nuovo ciclo europeo che vedrà dapprima i vincitori greci negoziare realisticamente la fuoriuscita dall’austerità, e in secondo luogo generare una profonda trasformazione delle istituzioni europee. Una trasformazione che non potrà essere che quella di una poliarchia europea confederale ossia un’unione di stati, di nazioni europee che continuino ad avere una moneta unica ma riacquistino sovranità di bilancio e di spesa, come accade oggi nella piccola Svizzera e nel grande impero nordamericano. Ancora una volta la Grecia parla al mondo.

Se questo è il quadro generale, geostrategico prima che politico-nazionale ed europeo in senso tecnocratico, la questione si fa di ora in ora più grave per la cecità geostrategica, appunto, che i dirigenti delle tecnostrutture europee rivelano. La notizia di due giorni or sono è di quelle che ripropongono tutta intera la sostanza stessa del patto europeo. Mario Draghi ha affermato chiaramente che la Bce non può accettare titoli greci in garanzia dei prestiti che la stessa BCE concede alle banche greche. Ma la vera sostanza della questione è quella che Draghi si è fatto portare una bacinella d’acqua e ha fatto come Pilato. E così ha sentenziato: Roma, ossia la Bce, non può addivenire al piano proposto dai delegati greci, tuttavia non li condanno; se qualcuno deve condannarli è il Sinedrio, ossia il Consiglio dell’Eurozona, i Ministri dell’Eurozona, e in sintesi, parliamo chiaro, la signora Merkel. «Io – dice il Governatore centrale – non posso far più di quello che ho fatto ma ribadisco, ecco il senso tecnico-politico del verdetto che non ci si dovrebbe lavare mai le mani quando si tratta di vita o di morte».

La decisione, allora, risiede nell’aver comunicato a chiare lettere, con le mani nella bacinella, che gli istituti di credito greci possono continuare a finanziarsi, sia pure indirettamente, presso la Bce. Del resto il quantitative easing formulato da Draghi recentemente, l’avevo scritto su queste colonne, apriva di già la via alla frantumazione delle decisioni monetarie e alla frantumazione della sovranità europea delegando l’80 per cento di quel famoso bazooka alle rispettive banche centrali nazionali. Draghi, insomma, come Pilato, pone in primo piano la politica e solo la politica. Immediatamente gli osservatori intelligenti ricercano un compromesso. Immediatamente, si afferma da più parti, si potrebbe ricorrere al cosiddetto Fondo Salva Stati, ossia l’ESM, che è stato appunto creato dai governi per intervenire nelle situazioni di crisi. E più di questa non riesco a immaginarne di più gravi. Il Governo greco deve quindi attendere sino al 6 febbraio quando si riuniranno i Ministri delle finanze europei per discutere in quella sede le sue proposte e udire da essi quale sarà il destino della Grecia.

A parer mio non vi è soluzione possibile se non accettare le proposte greche. Precedenti storici ve ne sono a iosa e alcuni son frutto della nostra storia. Penso, per esempio, al fatto che il complesso delle posizioni monetarie assunte dal governo greco di Syriza ricordano sotto molti aspetti ciò che si compì in Italia dopo il discorso di Pesaro di Benito Mussolini nel 1926 in cui si annunciarono misure dirette alla rivalutazione della lira per superare la recessione post bellica e aumentare il potere d’acquisto delle classi medie, vera base di massa del reazionario regime fascista. Era la cosiddetta “quota 90” a cui occorreva far giungere il cambio con la sterlina che era invece a 125! Il Regno Unito aveva, con grande spregiudicatezza, deciso il ritorno della parità fissa della sterlina con l’oro e questo poneva tutto il sistema dei cambi in una situazione non dissimile da quella attuale in Europa, dove la moneta unica crea di fatto lo stesso effetto con pesanti conseguenze deflazionistiche. Il fascismo doveva a ogni costo concludere le trattative per ottenere quei prestiti dagli USA che avrebbero stabilizzato il regime e si perseguì quindi una serie di misure economiche dirette a ottenerlo, quel rafforzamento della lira. Il governo greco attuale, soprattutto con la proposta dei perennial bonds, ossia titoli a tasso fisso a scadenza indeterminata, che evitano così ogni default, mira a rafforzare il valore dell’euro diminuendo il costo della vita in un paese alla fame. La dracma non esiste più, ma esistono, possono ancora esistere, per fortuna, misure atte a rafforzare l euro e quindi a diminuire il costo delle importazioni agendo con una serie di misure nazionali soprattutto operando sul fronte dell’attrattività dei titoli di stato nazionali. Si tratta naturalmente di una comparazione. Ma il segreto della comparazione scientificamente valida è comparare fenomeni diversi in condizioni diverse.

L’esempio greco con le misure di Varoufakis offre l’occasione di compiere questo esercizio e di comprendere che può esservi sempre una via d’uscita anche nelle condizioni più disperate, come quella in cui si trova non tanto la Grecia, ma tutta l’Europa. In questo quadro il silenzio della politica è tuttavia assordante. Il Parlamento Europeo non ha fatto sentire la sua voce e pare deciso a non farla sentire. Che funzione ha? La sua impotenza è drammatica. Eppure è proprio questo il momento per pronunciarsi sulla questione dirimente che il problema della possibile insolvibilità greca solleva, ossia la necessità di riformare le istituzioni europee nel loro complesso. In fondo Draghi è un Pilato che ascolta la voce grossa fatta da Obama recentemente e non può non subirne il fascino o, se vogliamo essere più chiari, l’ordine in quella voce insito. Naturalmente i falchi della Bundesbank hanno già scontato l’uscita della Grecia dall’euro come i falchi di casa nostra, come abbiamo letto a chiare lettere sul Corriere della Sera nell’editoriale di ieri. Ma il rifiuto della politica è un atto politico. I tedeschi, timorosi di aprire la via alla loro destra antieuropea di alto lignaggio, non possono non saperlo e non possono sottovalutare la valanga geostrategica prima che politica che una decisione simile provocherebbe. Occorre accettare il piano di Atene, che in sostanza richiede soprattutto tempo. Tempo per dilazionare il debito e per fare le riforme vere, quali quelli sul fisco e contro la corruzione che potrebbero mettere la Grecia sulla via della ripresa. E così non si venderebbero i porti greci ai cinesi e si limiterebbe l’influenza dei russi che altrimenti diverrà determinate. E per il fronte sud della NATO inizierebbe tutta un’altra storia. Il governo italiano faccia sentire la sua voce. Non si lavi le mani. Potrebbe essere un atto gravissimo pieno di foschi presagi.

Ma questa situazione rivela anche la debolezza compulsiva degli USA. Fanno con l’Europa la stessa cosa che stanno facendo con l’Arabia Saudita. Prima la criticano, poi la osannano, poi la sconfessano, nel caso dei sauditi instaurano addirittura negoziati con l’Iran indebolendo altresì Israele) e ora ritornano a occuparsene. Ma a essi non crede più nessuno. Sono una tigre di carta, con un Obama ridotto a un clown a livello internazionale. Mentre invece l’ ISIS decapita brucia vivi e gli USA stanno a guardare. Certo il presidente Obama ha rotto una tregua che durava da tempo con la Germania e l’ha sfidata in campo aperto sui temi dell’austerità. Ha affermato che non si può distruggere la coesione sociale di una nazione – e la nazione era indubitabilmente la Grecia – e che la cura è stata peggiore del male: l’austerità ha distrutto ogni possibilità di crescita e occorre quindi fare un passo indietro e ripensare tutta la politica europea.

Il Fondo Monetario Internazionale ha fatto circolare la voce da fonti attendibili che i suoi dirigenti sono d accordo con questa dichiarazione e che si apprestano a tendere la mano ai greci di Syriza, ai vincitori. Del resto la Grecia è, con la Turchia, l’asse portante del fronte sud della Nato. Il problema oggi, certo, non è più l’ URSS, ma è pur sempre la Russia con cui si è aperto un fronte di scontro sia in Ucraina sia in Crimea e quindi proprio ai confini dello stesso fronte Sud della Nato, fronte che non dispone più di quel sicuro antemurale costituito dalla Turchia, sempre più tentata, invece, da un ruolo autonomo e neo- ottomano che ha profondamente influito anche sulle difficoltà militari della Nato nel corso delle ultime disperate e inefficaci avventure nel Medio Oriente contro gli scismatici islamisti. Ebbene, la Russia ha con la Grecia strettissimi legami economici e appare, nonostante la sua recessione , un partner assai pronto a sostituirsi all’UE se si trattasse di salvare la Grecia da una difficile situazione finanziaria a fronte del dignitoso rifiuto di ottenere nuovi prestiti dalla Troika e di chiedere una dilazione del debito.

Se i tedeschi fanno, a differenza dei francesi, la faccia dura e ripetono la loro solita litania, la Russia è pronta, di contro, ad agire. Questa mossa mette in grande difficoltà i tedeschi ed in primis la signora Merkel che, rispetto alla Russia, gioca nel suo paese e sul piano internazionale una partita difficilissima. Deve mantenere aperto un canale diplomatico verso quello che è da sempre lo spazio vitale tedesco e dall’altro non cadere nella trappola dell’ isolamento nei confronti di un’Europa che sente il richiamo delle sanzioni sotto la spinta sia dell’odio nei confronti della Russia dei paesi a ex dominazione sovietica, sia dei maggioritari fautori dei cosiddetti principi umanitari anche in politica estera, con le conseguenze devastanti che abbiamo visto e subito durante le cosiddette primavere arabe e le improvvisate primavere georgiane, ucraine e …chissà anche italiane, se pur in ben altra forma e misura. Il caso greco diventa quindi un campo di scontro, da un lato, tra i principi della diplomazia realista fondata sulla ricerca dell’ equilibrio dei rapporti di potenza e quindi di rispetto della sovranità statuale e, dall’ altro, i principi di ingerenza che sono praticati con grande spregiudicatezza in campo economico in Europa. E si ingerisce sempre chi è più forte, mai chi è più debole Di qui il ruolo dominante tedesco che la vittoria di Syriza mette in discussione tra politica economica e politica estera. La questione greca è, quindi, questione molto complessa e richiama l’ Europa e il mondo ai valori fondamentali.

Lo scacchiere è ora in movimento: Tsipiras ha detto di no ai cinesi rifiutando la privatizzazione dei porti e ha nel contempo aperto alla Russia e, con una bella mossa del cavallo, ha dichiarato che ciò che conta è spostare il tavolo delle trattative dall’Europa a una dimensione internazionale con una conferenza internazionale sul problema del debito. Se la Russia e gli USA contribuissero con la loro partecipazione a tale conferenza tutte le carte sarebbero in mano ai dirigenti di Syirza. Essi, del resto, annoverano tra loro quel bell’economista non maistream, non ortodosso, che è Yanis Varoufakis, al quale non manca certo né il coraggio né la competenza. È in questo contesto che si incontrano Renzi e Tsipras. Un contesto ampio e complesso, nei confronti del quale le schermaglie diplomatiche sono aperte. Bene ha fatto Renzi a far sapere che ha parlato con la Merkel. L’aiuta in una situazione molto difficile nel suo paese, dove sale una febbre anti euro che non fa piacere a nessuno, ai greci per primi. Bene fanno i greci tenere alta la guardia e la posta con grande dignità nazionale. L’ importante è che si negozi nell’ ombra, come certo Renzi, del resto come Draghi, sicuramente sta facendo da quando Syriza ha vinto. Ma nel contempo bisogna lanciare pubblici segnali rassicuranti .Ha ragione Renzi: non vi è nessun bisogno di un asse mediterraneo. E’ ben più solido quello nord americano e di fatto inglese che si presta bene a indebolire la Germania senza alte grida e con molto basso profilo e grande efficacia.

Occorre però comprendere che questo incrocio di temi e di problemi segna di fatto la fine di un ciclo: quello dell’austerità. La scelta della BCE di aumentare la disponibilità di moneta per combattere la deflazione nel sud europeo, acquistando 60 miliardi di euro di titoli di debito pubblico al mese almeno fino al settembre del 2016, dimostra che il governatore della BCE Mario Draghi è riuscito a vincere il blocco da parte del board dell’istituzione, oltre a quella del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, il paladino degli “anti-Draghi” in Germania (secondo un titolo fornito dallo Zeit).

Un altro importante segnale della fine di questo ciclo e di cui abbiamo già scritto è stata la scelta della Svizzera di sganciare il franco dall’euro. Questa decisione ha diverse ragioni. Ma in generale ciò che conta è che è sempre preoccupante quando la Svizzera inizia a ritirarsi in se stessa, perché queste mosse sono i prodromi di una crisi di tutto ciò che è intorno alla Svizzera. L’arrocco del paese alpino è tipico perfino dei periodi prima delle guerre. E poi ci sono le reazioni tedesche dinanzi alla vittoria di Syriza. A sentire parte dell’intellighenzia tedesca, si tratterebbe di una “sorpresa” perché le cose avevano incominciato a riprendere nel paese ellenico.  Stando ai numeri, è così: nel 2014 ci sono stati segnali di una ripresa economica. Si tratta però del solito modello “ineguale”, con la ripresa senza occupazione, unica possibile in un contesto rigido di austerità. La Grecia, pur guidata da una forza dichiaratamente di sinistra, rappresenta il primo atto in una presa di coscienza popolare contro un approccio politico alla crisi del tutto inadeguato che coinvolge profondamente anche le classi medie.

C’è poi un effetto stupefacente dell’austerità: la crescita ineguale anche in Germania. Solo nel 2011 i salari tedeschi sono tornati al livello del 2000, mentre oltre un quarto dei lavoratori tedeschi percepisce una paga oraria inferiore ai 9,30 euro. È un livello da Est europeo. Soprattutto, è un livello che sta creando ampie sofferenze e proteste. In questo contesto l’ incontro tra Renzi e Tsipiras è un incontro tra due vincitori, tra due leader sugli allor . Renzi ha vinto imponendo un Presidente della Repubblica che sarà amatissimo da tutti gli italiani per il suo equilibrio, distruggendo il centro destra e rafforzando tutto il suo partito. Dovrebbero, i due giovani leader, lanciare un chiaro segnale che faccia divenire scelta politica la fine dell’austerità, con la predisposizione di una serie di misure a favore della crescita che sono già state ben definite dai non sostenitori dell’ austerità medesima, soprattutto a livello nord americano.

Si apra dunque una fase di negoziazione, lunga quanto serve, che i cosiddetti mercati già stanno “scontando” avendola di fatto prevista. La non meccanica trasposizione della crescita del debito pubblico sul fronte dei differenziali di prezzo dei titoli di stato ora diventa obbligata: i tassi vanno sotto zero e diventa difficile terrorizzare i popoli come si è fatto sino a due anni or sono quando tutti tremavano davanti agli spread. Ora la cura contro la deflazione ha inizio ed è quest’ultima la deflazione – a preoccupare e non i debiti. È cambiata una psicologia di massa che non potrà non avere effetti anche sulle cure che si inizieranno a promuovere per far fronte alla crisi. Sta a Renzi e a Tsipiras non disperdere questo clima favorevole. La parola d’ ordine deve essere: «Viva il realismo della fermezza contro l’austerità».

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