Geopolitica
La campagna vaccinale serba piace a Cina e Russia e fa arrabbiare l’Europa
BELGRADO – Con una popolazione di quasi 7 milioni di persone la Serbia ad oggi ha vaccinato 2.420.995 di cui 1.006.012 rivaccinate con la seconda dose.
Seconda in Europa e settima nel mondo, oltre ai procedimenti standard comuni a molti paesi che prevedono raggruppamenti in base a patologie, età e altre casistiche, ad esempio gli studenti universitari da lunedì scorso e fino al 5 aprile potranno farsi vaccinare presso l’ambulatorio medico delle università con una corsia preferenziale per i fuori sede, lo stato balcanico ha snellito di molto l’iter burocratico.
Aiutati forse da un precedente. Infatti, non tutti sanno che Belgrado vanta l’esperienza storica di una massiva campagna di vaccinazione tutto sommato recente. Nel 1972, in pochi giorni, si registrò l’immunizzazione di quasi due milioni di cittadini dal vaiolo, debellando l’ultimo focolaio europeo.
Primo paese europeo ad aver usufruito dell’opportunità di acquistare sia il vaccino cinese Sinopharm sia il russo Sputnik, grazie agli ottimi rapporti diplomatici con entrambi gli stati come più volte ha evidenziato il primo Ministro Ana Brnabić, la Serbia gioca su più sponde rievocando i vecchi fasti della politica Titina. La procedura per richiedere il vaccino è molto semplice: si esprime la volontà di riceverlo tramite un portale governativo, dove si può addirittura optare una scelta tra Pfizer, AstraZeneca, Moderna, Sinopharm e Sputnik, oppure non definire necessariamente una preferenza. Immediatamente una mail ed un sms confermano la prenotazione e successivamente con una tempistica di un massimo di 3 settimane, anche a secondo della disponibilità del vaccino scelto, si riceve sempre attraverso sms e mail un appuntamento con ora, luogo e vaccino designato, che in rari casi potrebbe anche non corrispondere con quello scelto.
Una volta ricevuto l’appuntamento ci si reca nel luogo prestabilito e dopo una breve attesa si ha il colloquio con i dottori per verificare che ci siano le condizioni di salute per procedere con la vaccinazione che viene attuata in un secondo gabbiotto. Ultima fase, la classica attesa di 15 minuti per monitorare un’eventuale reazione. Insomma un’organizzazione logistica molto efficiente, che si è resa possibile anche grazie ad un processo di digitalizzazione avviato da tempo. Tutto si risolve in 30 minuti circa.
Galeotto fu il week end del 27 e 28 Marzo, data in cui sono emerse alcune contraddizioni di un sistema non così perfetto come il presidente Aleksandar Vučić vuole far credere. In primo luogo la possibilità di estendere il diritto alla vaccinazione anche agli stranieri. Oltre a quelli residenti in Serbia con regolare permesso di soggiorno, si sono riversati nei centri di vaccinazione belgradesi anche senza appuntamento, migliaia di cittadini risiedenti nelle nazioni limitrofe creando assembramenti ingiustificati e file promiscue di ore, in netto contrasto con le restrizioni pandemiche.
Ma questa è solo la punta dell’Iceberg di un processo che riguarda il collocamento storico e geopolitico della Serbia, e i suoi rapporti con l’Europa e il resto del mondo. L’aver favorito il “turismo vaccinale” non si poggia solo su un senso civico altruistico e salvifico, che si fonda su una geografia emozionale radicata nella regione, così come il presidente ha dichiarato nella sua ultima intervista al Financial Times. Ma anche dall’intento di rafforzare il patto economico e politico degli stati appartenenti al Mini Schengen: Serbia, Bosnia, Montenegro, Albania, Macedonia del Nord e Kosovo.
L’attivazione della zona proclamata il 9 novembre 2020 ha suscitato tra i molti consensi anche qualche critica e preoccupazione in ambienti sospettosi, che hanno intravisto la possibilità di un rinvio dell’apertura dei negoziati di adesione all’UE da parte degli stati dei Balcani Occidentali. La reazione di Bruxelles non tarda ad arrivare proponendo blocchi discrezionali delle esportazioni di vaccini verso paesi terzi con un tasso di immunizzazione più elevato rispetto all’UE o verso quei paesi che offrono vaccini prodotti nell’UE ai “turisti vaccinali”. Potrebbe essere un duro colpo per Vučić che prevede con l’arrivo della spedizione di Pfizer (per altro già pagata) e un altro milione di dosi di Sinofarm previste per il prossimo mese, la vaccinazione al 37% della popolazione adulta entro la fine di aprile.
Il presidente Vučić ancora una volta ha peccato di superbia?
Va ricordato che il suo partito progressista (Sns) ha vinto con un notevole distacco le elezioni politiche del 21 Giugno, con un totale di 183 seggi su 250 e che nessun partito d’opposizione ha superato lo sbarramento del 3%, in quanto il secondo e il terzo posto sono stati presi dal Partito socialista serbo (Sps) alleato al governo con il Sns, e dal SPAS l’Alleanza patriottica, formazione di centro-destra. Dunque il parlamento non ha un’opposizione e la Serbia a detta dei molti che hanno preferito boicottare il voto e organizzare proteste piuttosto che presentarsi alle elezioni, sta avendo una deriva autoritaria che in 8 anni sta smantellando tutti i valori democratici. D’altronde il primo a complimentarsi della vittoria assoluta è stato Victor Orban presidente della confinante Ungheria, che con la Polonia e il Montemegro e appunto la Serbia sono state definite dalla Freedom House “regimi ibridi” e non più democratici.
Un declassamento che coincide con un periodo storico ben definito, dove da una parte il processo di adesione all’UE è impantanato nei disaccordi e non funge più da stella polare per la riforma democratica, e dall’altra la politica delle grandi potenze e la diplomazia transazionale stanno trasformando i Balcani in una scacchiera geostrategica. In questo contesto possiamo focalizzare l’importanza della campagna vaccinale serba che a questo punto non assume più solo una valenza interna di mera e continua campagna elettorale, ma travalica i confini dei Paesi della regione balcanica per andare a smuovere equilibri globali.
La crescente presenza di potenze autoritarie come Russia, Cina e Turchia nella regione ha stimolato un certo senso di responsabilità anche da parte degli Stati Uniti, che però si sono sempre concentrati su accordi dietro le quinte, sminuendo ogni impegno condiviso per la democrazia. L’approccio dell’Occidente soffre di ciò che Srđa Pavlović definisce come stabilitocrazia, ossia l’appoggio ai governi che promettono stabilità, ma che formalmente hanno minato i fondamenti della democrazia.
Questa relazione è reciprocamente vantaggiosa sia per l’Occidente che per gli autocrati locali, questi ultimi appoggiati dai poteri dell’Ovest mettono a tacere le opposizioni utilizzando lo spauracchio dei venti di guerra onnipresenti nell’area, e I responsabili politici occidentali possono dar luogo a nuove ossessioni guerrafondaie nei confronti del loro nemico storico la Russia a cui si aggiunge oggi la Cina. Infatti le relazioni economiche russo-cinesi sono in continua crescita, un commercio bilaterale dove Mosca è molto più dipendente economicamente dalla Cina che viceversa. Nel 2018, la nazione asiatica ha rappresentato il 15,5% del fatturato commerciale totale di Mosca, mentre la Russia, per contro, solo lo 0,8%. L’asse Belgrado-Pechino è ormai stabile e solido, puntualmente foraggiato da un’intensa collaborazione politica ed economica. La Cina è uno dei maggiori investitori nelle infrastrutture serbe, è di pochi giorni fa la visita del ministro della Difesa il generale Wei Fenghe, che ha incontrato i massimi funzionari statali.
A conferma dell’intervento strategico, imminente sarà l’inaugurazione di un monumentale Centro di Cultura Cinese, uno dei più grandi al mondo con una superfice totale di 32.000 mq. Un edificio multifunzionale che affianca alle aree adibite alla cultura e aperte a tutti i cittadini, un’ala commerciale ed una residenziale con 19 appartamenti e 35 camere destinati a diplomatici e delegazioni. Concepito come una piattaforma per l’approfondimento della cooperazione culturale ed economica tra le due nazioni, sarà situato sul sito dell’ex ambasciata cinese a Nuova Belgrado, distrutta durante l’aggressione della NATO nel 1999. L’ammonimento che tuona da Bruxelles potrebbe creare un vuoto che però non lascia Vučić del tutto impreparato.
Infatti Belgrado già a febbraio ospitava una delegazione di esperti russi per valutare le condizioni per una futura produzione dello Sputnik che prevede un avvio entro la fine di quest’anno. E dulcis in fundo la Serbia a partire da ottobre sarà il primo Paese europeo a produrre il vaccino cinese Sinopharm. Frutto di un accordo con gli Emirati Arabi Uniti e la Cina la fabbrica produrrà tra i due e i tre milioni di vaccini al mese che andranno a coprire tutte le esigenze interne e gran parte della Regione.
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