Geopolitica
La calda estate turca
La moneta della Turchia, la Lira turca, è considerata la valuta nazionale peggiore per rendimento, dall’inizio dall’inizio dell’anno ha perso oltre il 40% e solo venerdì scorso ha lasciato sul terreno quasi il 20%.
Solo due anni fa il rapporto con il dollaro era a 2 oggi è a 6,5.
Le sanzioni disposte da Washington e legate alla detenzione, da parte della Turchia di un pastore evangelico della Carolina del Nord, stanno mettendo in discussione l’alleanza della Turchia alla Nato ma quello che sembra un problema politico, nasconde fondamentalmente una crisi economica, che non è facile da spiegare.
L’economia turca anzi sembra in fermento, cresce troppo, anche se in modo squilibrato e quindi non ha problemi di crescita del Pil, anzi Ankara in questi anni ha potuto giovarsi di uno straordinario afflusso di fondi stranieri, spesso a breve termine, incoraggiati dagli alti rendimenti turchi e dalla politica monetaria ultra-accomodante degli Stati Uniti e dell’Europa.
Concluso però oggi questo ciclo, per la Turchia sarà sempre più difficile ottenere i fondi di cui ha bisogno e che, secondo un rapporto stilato da istituti bancari internazionali, sono circa 218 miliardi di dollari l’anno i fondi necessari per mantenere il debito in valuta estera delle società turche e il deficit di conto corrente del Paese. La debolezza della lira sta mettendo in grande difficoltà quindi il sistema bancario del Paese.
Il governo deve per forza intervenire subito, alzando i tassi di interesse e introducendo controlli sui movimenti di capitali, ma Erdogan, non sembra intenzionato ad attuare tali misure nell’immediato, mentre aumenta sempre più la probabilità che si rivolga ad altre potenze per avere sostegno finanziario, come Russia e Cina, in un contesto che sembra essere una sfida con gli USA e portando il paese verso una deriva ad EST.
La spirale negativa che si sta innestando, è quella che al deprezzarsi della Lira per le banche, il pagamento del debito diventa più difficile e quindi come risposta, la Lira si deprezza ancora di più.
Quali sono quindi le possibili soluzioni o gli scenari che si stanno aprendo?
Un articolo di un giornale finanziario internazionale, spiega che la crisi non sarà facile da risolvere, perchè i rimedi che si aspettano gli investitori internazionali, sono esattamente il contrario di quello che intende fare il presidente turco.
Per cercare di raffreddare la surriscaldata economia turca, occorrerebbe aumentare le tasse e limitare la spesa, riducendo così il rischio di un atterraggio economico difficile e facendo scendere il disavanzo delle partite correnti, che attualmente è superiore al 5% del Pil.
Queste misure tuttavia non sono per niente gradite a Erdogan, il quale non è mai stato convinto dalla necessità di rendere l’economia del paese più equilibrata, anzi il suo governo per mantenere alta la crescita, ha applicato politiche fiscali molto favorevoli, definendo invece una stretta monetaria “la madre e il padre di tutti i mali”.
Ecco perchè in occasione del crollo della lira turca, Erdogan si è guardato bene dal prendere misure per fermare l’inflazione o ridurre il surplus commerciale, preferendo lanciare un appello alla Nazione e invitando tutti i turchi a scambiare valuta estera con lire turche. Ed oggi il “sultano” di Ankara, mentre è tornato a parlare di “complotto politico” si è detto pronto ad avviare scambi commerciali in valuta locale invece che in dollari.
Il problema è che tutto ciò ha portato lo spread Btp-Bund ad una nuova rincorsa al rialzo per l’Italia, il valore venerdì scorso ha chiuso sopra quota 260.
Il sottosegretario leghista alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, si aspetta un’imboscata dei mercati per fine agosto, il Paese potrebbe rientrare di nuovo nel mirino degli investitori. Le società di rating ci attendono al varco con possibili e pericolose revisioni delle loro valutazioni sull’Italia
Il primo campanello d’allarme scatterà il 31 agosto con la revisione di Fitch, che a metà marzo, dopo il voto, aveva confermato il rating ‘BBB’, negativo ma stabile, sulla base di un tasso di crescita del Pil che però recentemente ha mostrato segni di rallentamento. Successivamente la revisione di Moody’s, per gli inizi di settembre sarà la piu’ pericolosa.
Già a maggio l’agenzia ha deciso di mettere sotto osservazione per un possibile declassamento il rating, portando il livello dei titoli di stato a quello ‘junk’, o ‘spazzatura’, che inizia con ‘BB’. Un’eventuale declassamento sarebbe molto grave, perché l’Italia con il suo debito mostruoso, pari al 130% del Pil e con oltre 1.900 miliardi di euro di titolo di Stato da rimborsare, in caso di tagli del rating, sarebbe costretta a pagare interessi molto più alti per i prestiti internazionali e dunque dovrebbe sborsare molti più soldi per finanziarsi. L’ultimo appuntamento, il 26 ottobre, è quello con la revisione di Standard & Poor’s.
Se non ci trovassimo in questo momento, all’interno di una area solida come l’Europa, vale a dire di un’area capace di avere una moneta unica, forte e con una rete di protezione, sarebbe stata una tragedia, perché un sistema monetario, che può fare riferimento unicamente al suo quadro nazionale, può non offrire altrettante garanzie dinnanzi a una crisi finanziaria e ad attacchi speculativi.
Gli scenari che la crisi del 2011 possa ripetersi sembrano solo oscure ombre.
Rispetto al 2011, gli elementi di maggiore criticità che continuano a persistere nel nostro paese sono legati a due punti di debolezza base dell’economia italiana: l’alto debito pubblico e la bassa crescita, anche l’attuale governo affronta la sfida di agire su questi due fronti per tenere lontani attacchi speculativi, qualora ve ne fossero, ma oltre al calo del debito e alla crescita, occorrono più investimenti, non solo pubblici, importanti e con un ruolo chiave nella prossima legge di Stabilità, ma quelli degli italiani, che devono credere in questo paese e investirci. Bisogna rafforzare il sentimento di fiducia, verso l’Italia e le sue istituzioni.
Gli indici dello spread, così come quelli delle Borse, vanno osservati con attenzione perché se lo spread sale e la Borsa scende è una pessima notizia principalmente per i nostri risparmi e investimenti, per i nostri mutui. Dovrebbe terminare il clima di incertezza creatosi in Italia durante e dopo le ultime elezioni politiche e fino alla nascita del governo.
Bisogna migliorare la nostra percezione di affidabilità, il fiscal compact deve essere considerato uno strumento neutrale, non un ostacolo alla crescita, serve a dare garanzie più solide ai conti pubblici di un paese, e la sua abolizione non porterebbe benefici, l’innesco di questo movimento è stata la crisi della lira turca con alcune banche dell’Eurozona penalizzate per l’elevata esposizione sul Paese, ma c’è chi vede anche crescenti timori degli investitori verso la tenuta dei conti pubblici del nostro paese in occasione della legge di bilancio.
Gli attacchi speculativi contro l’Italia annunciati da Giancarlo Giorgetti (Lega), non devono farci paura. Piuttosto i dubbi nascono sull’azione della Bce e sulle mosse di Francoforte.
Un sistema economico/monetario che non riceve un adeguato (e in alcune occasioni robusto) sostegno della banca centrale, non sta in piedi e questo può portare ad una riflessione notevolmente negativa se non addirittura allo smantellamento del sistema “euro”, ma al momento tutto ciò, non si può assolutamente ne prevedere che ipotizzare
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