Geopolitica
L’ “impero del dollaro” visto da Pechino
Note su “L’arco dell’impero” di Qiao Liang.
Vent’anni dopo Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica tra terrorismo e globalizzazione, scritto insieme a un suo collaboratore, Wang Xiangsui, la LEG pubblica L’arco dell’Impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, che può esserne considerato la prosecuzione. Generale dell’aeronautica cinese in pensione, Qiao Liang, come ricorda nella sua Prefazione il generale Fabio Mini, nelle forze armate cinesi ha svolto un ruolo non previsto negli eserciti occidentali: svolgere “lavoro politico”. Guerra senza limiti esce nel 1999, al termine di un decennio inaugurato dalla Prima guerra del Golfo e conclusosi coi bombardamenti sulla Serbia, segnato, sul piano militare, dalla fine della Guerra fredda e dal progressivo affermarsi della “guerra asimmetrica”, di cui le imprese di bin Laden costituiscono un esempio. Gli autori vi analizzano i mutamenti di natura del fenomeno bellico nell’era della globalizzazione capitalistica.
I rischi dell’ottimismo tecnologico
Sono gli anni in cui negli Usa i teorici della Revolution in Military Affairs (RMA) affidano alla tecnologia il compito di assicurare alle forze armate americane un’incontrastata superiorità militare. Già allora, però, in quella scommessa i due ufficiali cinesi vedono una fragilità strategica, che del resto è confermato dai fatti: dal 1945 gli Stati Uniti non riescono più a vincere una guerra, almeno se pensiamo come Clausewitz che l’obiettivo di ogni conflitto militare sia sempre politico, e dunque per “vincere” non basti annientare o neutralizzare le forze avversarie, ma sia indispensabile realizzare gli obiettivi che ci si era prefissi al momento di entrare in guerra o, quanto meno, impedire al nemico di realizzare i propri. Una lezione che gli USA hanno sperimentato su larga scala in Vietnam e di cui l’inglorioso ritiro dall’Afghanistan è la più lampante conferma.
L’episodio, leggendario o meno, del mullah Omar che sfugge agli americani in motocicletta dopo aver affidato il telefono satellitare a un suo collaboratore ordinandogli di correre in direzione opposta condensa in un’immagine il concetto di guerra asimmetrica: il miglior modo per beffare un avversario che ripone ogni sua forza nella superiorità tecnologica è combatterlo su un terreno in cui i più moderni sensori elettronici nulla possono contro la millenaria arte dell’inganno distillata da Sun Tzu nel VI secolo a.C.
Nel 1999 a quel mal riposto ottimismo tecnologico i due ufficiali cinesi rispondono con un’ampia riflessione filosofico-strategica centrata sulla natura multiforme e non lineare della guerra contemporanea, “ibrida” l’avrebbe definita, nel 2007, Frank G. Hofmann nel suo Conflict in 21st Century: The Rise of Hybrid Wars. Se in epoca moderna fino al XVII secolo in Europa la guerra assomigliava a una partita a scacchi, con gli eserciti che manovravano ordinatamente sul campo, prendevano posizione e, spesso, prima di attaccare battaglia, aspettavano cavallerescamente che l’avversario si schierasse, a partire dalle guerre napoleoniche la guerra diventa “totale”, rendendo sempre più labile il confine tra militare e civile, tra operazioni militari tout court e quelle che Qiao Liang e Wang Xiangsui chiamano “operazioni militari non di guerra” (polizia internazionale, peace keeping, peace enforcing) e “operazioni di guerra non militari”. Qui si apre il capitolo più interessante del libro del 1999 e si pongono le basi per L’arco dell’Impero.
L’intreccio tra innovazione tecnologica e globalizzazione amplia a dismisura l’arsenale bellico degli eserciti moderni, ma anche di gruppi “informali” come i network terroristici. Attacchi hacker, come quello che un anno fa tentato di alterare la quantità di idrossido di sodio nella rete idrica di Oldsmar, in Florida; sanzioni economiche e atti di speculazione finanziaria ai danni di uno Stato; ingerenza nei suoi processi democratici: sono atti di cui in questi anni siamo stati spettatori e, a tutti gli effetti, operazioni di guerra, aggressioni che mirano a piegare l’avversario infliggendogli danni fisici e morali, messe in atto da soggetti e con strumenti non militari.
La dollarizzazione dell’economia
Il nuovo libro di Qiao Liang, che raccoglie scritti, interventi e interviste effettuati dal 2009 al 2015, si concentra in particolare su uno di questi strumenti: la “guerra finanziaria”. Per comprendere le tesi di Qiao Liang serve una premessa. Fino alla Seconda guerra mondiale il sistema valutario si fondava sul cosiddetto golden standard – le valute nazionali, semplificando, erano il corrispettivo cartaceo delle riserve auree custodite dalle banche centrali che battevano moneta. Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, gli USA suggellano la posizione di forza acquisita con l’imminente vittoria in guerra, ottenendo che la convertibilità aurea sia riservata al solo dollaro (un’oncia vale 35 dollari). Le altre valute sono convertibili in dollari e, attraverso questi, in oro. Il dollaro diventa il pilastro del sistema monetario internazionale, una prerogativa fa degli USA l’incontrastata potenza finanziaria globale.
Nel frattempo è scoppiata la guerra del Vietnam; gli Stati Uniti bruciano un’enorme mole di risorse finanziarie; la bilancia dei pagamenti tra Washington e il resto del mondo pende pericolosamente in direzione di questi ultimi; le riserve auree americane dai 24 miliardi di dollari del 1948 si riducono a 10, mentre le valute dei paesi creditori si rafforzano proporzionalmente. Il 15 agosto del 1971 il presidente americano Nixon annuncia la fine della convertibilità aurea del dollaro.
Da allora Washington può stampare moneta a proprio piacimento, cioè, di fatto, svalutare il dollaro e, di conseguenza, anche i crediti dei paesi con cui è indebitata. Ma aldilà degli aspetti immediati quella scelta di fatto muta profondamente il ruolo della moneta. Se fino ad allora la moneta era il corrispettivo della ricchezza di un paese, misurata in once d’oro, e quindi della sua capacità di fare fronte ai debiti, da quel momento in poi essa diventa un suo equivalente assai più evanescente e arbitrario. Per rimediare, scrive Qiao Liang, il presidente americano decide di agganciare il dollaro a un’altra materia strategica, il petrolio:
Nixon e gli altri funzionari della Federal Reserve (…) capirono che non potevano affidarsi solo alla potenza economica del dollaro in sé. La maniera migliore per assicurargli una posizione solida era quella di legarlo alla merce più importante del mondo, in modo da fargli trovare subito un altro appiglio nel momento in cui l’ancora dell’oro fosse stata ritirata.
E anche se Qiao Liang non lo dice esplicitamente oltre al petrolio a sostenere il dollaro c’è la forza militare degli USA: i missili nucleari, le portaerei e i corpi speciali in grado di proiettarsi rapidamente in ogni zona del mondo diventano le sue nuove riserve auree e politica e finanza, capovolgendo Clausewitz, diventano la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Tanto più che negli anni successivi, come osserva Qiao Liang, nei paesi occidentali il boom economico provocato dalla finanziarizzazione fa lievitare il costo del lavoro e l’industria americana viene progressivamente spostata in aree dove la manodopera costa meno, tra cui la Cina, con l’eccezione dei settori ad alto valore aggiunto (come l’information technology e i servizi connessi).
Il paradigma della guerra finanziaria
La tesi portante de L’arco dell’Impero è che la dollarizzazione dell’economia globale permette agli USA di esercitare una strategia di colonialismo finanziario di cui la stessa Cina è bersaglio. Lo schema su cui si basa tale strategia è il seguente: prima Washington inonda una regione del mondo di dollari alimentandovi una crescita economica drogata dalla disponibilità di capitali a basso costo; poi passa a politiche monetarie restrittive (aumento dei tassi di interesse) e provoca una fuga di capitali dalla regione, spingendoli a rientrare negli USA. In questo modo provoca una crisi economica che permette alle imprese americane di andare nella regione e fare shopping, acquistando a prezzi stracciati gli asset creati dalla precedente crescita economica. Ed è uno schema che gli USA riproducono in modo ciclico…
Negli ultimi quarant’anni, dopo ogni ciclo decennale di ribasso, l’indice del dollaro americano è stato seguito da un ciclo di 6 anni al rialzo. Durante il quale il governo degli Stati Uniti e la Federal Reserve hanno agitato la loro bacchetta magica finanziaria sui tassi di interesse, facendo fare un giro sulle montagne russe a tutta l’economia globale. Tra le depressioni e i picchi di un dollaro debole e poi forte, quindi con le fortune economiche dei Paesi manipolati, che andavano su e giù. (…) dopo ogni falso boom, quando la bolla scoppiava e le economie del mondo cadevano in crisi, gli Stati Uniti arrivavano e mietevano la ricchezza del pianeta. A questo punto la Federal Reserve coglieva l’opportunità di far saltare i tassi di interesse. Facendo sì che gli investitori di tutto il mondo si ritirassero dalle aree di crisi e riportassero buona parte del capitale in America.
…traendone anche risultati a lungo termine:
L’America ha legato il pianeta al proprio sistema finanziario e la conseguenza di questo modello di commercio è una rapida concentrazione della ricchezza globale negli Stati Uniti, ragion per cui il loro PIL, che negli ultimi 200 anni non ha mai superato il picco di 7.000 miliardi di dollari, nei 20 anni successivi al 1990 è raddoppiato, arrivando fino a 18.000 miliardi.
Per Qiao Liang la crisi finanziaria latino-americana tra gli anni Settanta e Ottanta e quella del sudest asiatico a metà degli anni Novanta sono il frutto di questa strategia. Ma anche la guerra nel Kosovo viene descritta come una “spada puntata contro l’euro” subito dopo il varo della moneta unica europea. Ovviamente l’autore si rende conto di esporsi all’accusa di complottismo e si difende astutamente, citando a sostegno delle proprie tesi fonti quasi esclusivamente occidentali. Come osserva il generale Mini “Il libro è scritto in cinese per i cinesi, ma le fonti e le prove delle sue argomentazioni sono tratte da autori occidentali. Su 46 opere citate in bibliografia ben 30 sono di autori occidentali e per la maggior parte americani.” Inoltre Qiao Liang in appendice si sottopone a un lungo confronto con Chen Zhiwu, docente di finanza all’Università di Hong Kong, dotato di una solida formazione liberale e molto più benevolo verso la politica americana.
Tuttavia, aldilà del complottismo, il libro a tratti dà la sensazione che l’autore tenda a enfatizzare il tema della guerra finanziaria come chiave interpretativa della politica americana a scapito di altri fattori, facendo rimpiangere l’approccio più problematico e complesso di Guerra senza limiti.
Guerriglia high-tech e unità plug-and-play
La seconda appendice, un’intervista all’Oriental Outlook Weekly, contiene gli aspetti più interessanti del volume sul piano strettamente militare. Qui Qiao Liang riprende il tema dell’ottimismo tecnologico di Guerra senza limiti, ma lo sviluppa ulteriormente. “La rivoluzione militare, guidata dalla tecnologia dell’informazione, sta per finire. O meglio, è completamente maturata, perciò il suo potenziale è esaurito e non può più portare un impulso rivoluzionario al prossimo passo dello sviluppo militare globale.” E la spiegazione, recuperando l’armamentario dialettico degli scritti militari di Mao, in cui l’aspetto emergente del processo a poco a poco si trasforma nel proprio contrario, è che “l’informatica ha effettivamente reso l’esercito degli Stati Uniti più potente, ma dall’altro, l’ha reso anche più vulnerabile che mai, vincolato al tallone d’Achille dell’informatica”, poiché “la sviluppata tecnologia dell’informazione sta collegando le sue forze militari in un unico agglomerato, rendendolo più forte e più vulnerabile che mai, perché è un sistema intero, che può essere distrutto con facilità in un punto e poi collassare del tutto.”
Per affrontare questo colosso dai piedi potenzialmente d’argilla Qiao Liang suggerisce di adottare due principi tattici. Il primo è una “guerriglia high tech“, basata su dispersione delle forze e flessibilità, a cui la tecnologia può garantire rapidità e adattabilità al processo decisionale, come nelle operazioni dell’aviazione (e qui ricorda un altro stratega proveniente dall’aviazione, John Boyd):
il comando deve essere molto veloce nel prendere decisioni, dallo screening degli obiettivi al completamento di piani operativi; in secondo luogo i dati dell’intera mappa e dello spazio aereo devono essere memorizzati nei sistemi software del comando e dei piloti. Dopo che il dipartimento di comando ha sviluppato rapidamente il piano operativo, questo viene subito inviato sul computer del pilota, e quest’ultimo può aprire uno schermo e sapere qual è la missione, che rotta prendere, quanta resa e che tipo di bomba deve essere portata, che tipo di obiettivo distruggere, tutti i compiti e i processi sono chiari a colpo d’occhio.
Il secondo, che riprende il “metodo combinatorio” delineato negli ultimi capitoli di Guerra senza limiti, applicandolo alla composizione delle unità sul campo:
La combinazione delle forze future deve essere “modulare”, come i blocchi di costruzione, con la formazione delle forze a seconda della missione. Le forze aeree, marittime e terrestri devono giocare la stessa partita a scacchi, invece di soffiare ciascuno la propria tromba e cantare la propria melodia. Questo modello delle tre forze armate che combattono insieme in una guerriglia high-tech ha persino reso il concetto di guerra con “operazioni congiunte” una cosa del passato.(…) Ogni unità sarà una specie di puzzle sulla stessa mappa di guerra, dove si inserirà un pezzo, e nel successivo si inserirà un altro. Ogni unità sarà aperta e si interfaccerà con altre unità militari, e il tutto sarà standardizzato da un metodo plug-and-play.[“collega e gioca”, in informatica indica la connessione di dispositivi da usare senza installare software aggiuntivo o configurarli.]
Logistica contro egemonia monetaria
Anche se parla della politica americana Qiao Liang si rivolge in particolare ai cinesi mettendoli in guardia non solo dal potenziale impatto delle guerre finanziarie su di loro, ma anche da eventuali tentazioni di Pechino di emulare il suo avversario d’oltreoceano. Per lui il futuro della Cina non si gioca sulla sua capacità di insidiare l’egemonia monetaria americana, tanto più che internet sta “demonetizzando” il denaro, sostituendolo con valute elettroniche. Piuttosto
In futuro la Cina potrebbe affrontare un’era di “tripla valuta”, con il dollaro USA, l’euro e lo yuan. Passata quell’epoca, però, il mondo sostituirà la moneta con una nuova forma di credito. E questo significa che ci troveremo di fronte all’ultima battaglia decisiva fra le grandi potenze prima della venuta di una nuova era.
Nel frattempo, oltre a cogliere eventuali opportunità di “pizzicare” qualche capitale americano di ritorno a casa, il successo della politica cinese si gioca soprattutto sulla Nuova via della seta. Ciò che Qiao Liang dice della Russia e cioè che USA e Russia si scontrano per il controllo degli snodi geopolitici, ma, “la differenza essenziale è che gli Stati Uniti controllano il capitale, mentre la Russia controlla logistica”, infatti, può essere applicato pari pari anche alla Cina. Solo che la Russia è una potenza militare ma non economica (quanto meno non manifatturiera), mentre la Cina è una potenza economica che può aspirare a diventare anche potenza militare.
Sulla Nuova via della seta il generale esprime una sua visione, diversa da quella che va per la maggiore in Occidente e, forse, anche in alcuni circoli di potere cinesi. Oggi lo scopo principale del progetto non è “fare affari direttamente con gli europei”, ma “cambiare l’ambiente umano e la situazione economica lungo il percorso”. E anche se “Non useremo le spade per farci strada. (…) non dobbiamo dimenticare che è sempre meglio avere anche la spada in mano. Cioè tutti i luoghi che la via potrà raggiungere devono essere raggiunti anche dalle nostre forze militari”.
Dalla lettura, insomma, affiora un dibattito che, pur sotto traccia, è in atto nell’élite cinese, meno unanime di quanto si pensi. E, anche se il testo risale ormai a qualche anno fa, ci aiuta a calarci nei suoi panni mentre osserva il mondo e, in particolare, tiene d’occhio il suo rivale oltre oceano. In quest’ottica la lunga prefazione di Fabio Mini, fornisce un contributo prezioso, contestualizzando le riflessioni dell’autore e aggiornando il quadro agli ultimi eventi, in particolare col lungo capitolo dedicato alla Lezione afghana.
Articolo tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 25 gennaio.
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