Geopolitica
Kamala Harris: luci, ombre ed il Dark Side del suo ‘For the people!’ (part.I)
Quella attuale è forse la più complessa e complicata campagna elettorale presidenziale della intera storia degli Stati Uniti d’America: una campagna il cui esito è destinato ad ipotecare non poco il futuro di un Paese il cui impero sta lentamente perdendo pezzi significativi e credibilità. Di non poco conto è infatti quanto reso noto dalla Banca Centrale della Federazione Russa a Settembre 2024 (e confermato da fonti Occidentali[1]) che ha parlato di un atteso incremento del PIL 2024 pari a +4% e di una crescita degli stipendi che lascia prevedere, sempre per il 2024, un +18%, ovverosia molto di più di quello che caratterizza le medesime voci con riferimento ai Paesi Occidentali in genere e, comunque la si voglia mettere, molto di più di quanto pronosticato alquanto avventatamente da una Commissione Europea e da un FMI che a suo tempo previdero un crollo del PIL russo a doppia cifra per il 2022 e intorno al 5% per il 2023.
Nello specifico, giusto per non dimenticare, nel 2022 un entusiasta Enrico Letta previde che le sanzioni avrebbero portato la Russia al collasso nel giro di qualche giorno; Paolo Gentiloni, in qualità di Commissario EU all’Economia, sostenne di lì a poco che le sanzioni avrebbero messo l’economia russa in condizioni “molto più serie” ed a Settembre dello stesso anno la Presidente della Commissione Europe Ursula von der Leyen affermò che “Con nove pacchetti di sanzioni già operativi l’economia russa è in recessione”: per la serie che mai si dovrebbe vendere la pelle del lupo prima di averlo cacciato.
A chi dovesse reputare di bollare questo dato come frutto di mera propaganda suggerisco di pesare questa ipotesi alla luce di un’altra notizia diffusa da Bloomberg il 2 Settembre 2024 con un breve articolo dal quale apprendiamo che “La Turchia ha chiesto formalmente di entrare a far parte del gruppo dei Paesi emergenti BRICS, nel tentativo di rafforzare la propria influenza globale e di stringere nuovi legami al di là dei tradizionali alleati occidentali”[2]: tanto stando a quanto riferito da persone che avrebbero familiarità con la questione.
L’opinione dell’amministrazione del Presidente Recep Tayyip Erdogan sarebbe che il centro di gravità geopolitico si stia spostando dalle economie sviluppate a quelle in via di sviluppo, cosicché la singolare circostanza che vede che una tale scelta sia operata dal Paese che assicura il fronte Sud dell’Alleanza Atlantica vuol dire che un settore di primaria importanza per l’Occidente rischia di trovarsi completamente scoperto.
La domanda che sorge spontanea è: se quanto riportato in apertura fosse solo una fake news la Turchia sarebbe uscita allo scoperto così platealmente? Ne dubito fortemente: Erdogan è un abile calcolatore ed un opportunista da studiare con molta attenzione.
In un tale contesto il vero problema per gli Stati Uniti non è nemmeno la cosa in sé, ma se colui o colei che entrerà alla Casa Bianca ha la cultura, le conoscenze, la lungimiranza, la capacità di giudizio, le competenze e la necessaria scaltrezza per comprendere, prima di intraprendere qualsivoglia percorso, la situazione globale e le complesse dinamiche che la caratterizzano e, purtroppo, devo constatare che nessuno dei due contendenti possiede queste caratteristiche.
Di Trump purtroppo sappiamo da tempo, della Sig,ra Kamala Harris lo scopriremo insieme scorrendo le pagine che seguono che ci portano ad intraprendere un percorso che ci conduce a capire che, comunque vadano le cose questa nuova Presidenza sarà una Presidenza di transizione verso un nuovo assetto che stava prendendo forma nella Silicon Valley di Peter Thiel, del Freedom Caucus e di quel Ron DeSantis che prima del crollo della Silicon Valley Bank e del pronunciamento di Donald Trump sarebbe dovuto essere il candidato per antonomasia del GOP: un tema approcciato da un articolo pubblicato il 27 Febbraio 2023, pertanto in tempi non sospetti, con il titolo “Freedom Caucus: la tacnocrazia che avanza”[3]: un articolo anticipante un ampio dossier di prossima pubblicazione.
“Non si può governare il Paese se non si è in grado di gestire la propria campagna”
Allorché Kamala Harris nel Novembre del 2019 dovette abbandonare la sua prima campagna presidenziale adducendo quale scusa dei non meglio specificati ‘problemi personali’, emblematica fu la lapidaria frase pronunciata a commento[5] dell’accaduto da Gil Duran, un ex collaboratore della signora Harris e di altri democratici della Californiania (all’epoca redattore della pagina editoriale del Sacramento Bee), una frase ripresa dal The New York Times che la riportò il 29 Novembre 2019 è che testualmente recitava: “Non si può governare il Paese se non si è in grado di gestire la propria campagna“.
Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, ma non sembra che gli errori strategici di fondo emersi all’epoca siano stati emendati, così come non sembra che lo siano stati i vizi, le incongruenze, e le criticità programmatiche che condussero l’ambiziosa Kamala Harris a dare forfait.
Per somma, a quanto pare e vedremo, permangono diverse zone d’ombra che non poco rendono, se non inaffidabili, per lo meno poco credibili certe sue dichiarazioni ad effetto sicuramente utili per raccattare consensi, ma difficilmente traducibili in pratica politica qualora a Novembre 2024 la Sig.ra Harris fosse eletta alla Presidenza degli Stati Uniti .
In cima alla lista delle incongruenze, in cima in ordine di tempo, abbiamo sicuramente l’affaire COVID–19 fatto esplodere qualche giorno fa da Mark Zuckerberg.. Il CEO di META lo ha fatto con una lettera ufficiale inviata al Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati Usa con la quale ha ammesso di aver censurato i social media di META, tra cui Facebook e Instagram, ai tempi del Covid, su pressante richiesta dell’Amministrazione Biden-Harris.
Nonostante la notizia sia a dir poco sensazionale, vi è da dire che, a parte qualche rara testata, sulla vicenda pare calato un decisamente singolare silenzio che in Europa si può spiegare con la paura di diversi esecutivi troppo supini nei confronti delle desiderata della White House ed attualmente alquanto preoccupati di dover fare i conti con una eventuale amministrazione Trump.
La gravità dell’ammissione di Zuckerberg risiede nella oltremodo evidente crescente tendenza in un certo Occidente non solo a tollerare e in molti casi ad autorizzare la censura, ma addirittura in fin troppi casi ad adottare pratiche di disdicevole grave autocensura: un fenomeno quest’ultimo particolarmente diffuso negli Stati Uniti tra i giornalisti per un frainteso senso di imparzialità tutto all’insegna di un distacco fintamente buddista.
La sua autorevole denuncia, seppure palesemente giunta in un momento alquanto particolare della vita politica degli Stati Uniti in quanto si configura come un, per certi versi palese, assist a Donald Trump, ci impone di gettare uno sguardo in un settore della vita politica occidentale che fin troppo abilmente cela comportamenti che poco si attagliano a chi non perde occasione del autoproclamarsi ‘Progressista’ e con ciò millantando spesso e volentieri il presunto perseguimento di una politica che di progressista ha solo il nome e le forme più caricaturali.
Tanto si evince chiaramente da un paragrafo della citata lettera in cui testualmente si può leggere: “Nel 2021, alti funzionari dell’amministrazione Biden, compresa la Casa Bianca, hanno ripetutamente esercitato per mesi pressioni sui nostri team affinché censurassero alcuni contenuti COVID-19, tra cui l’umorismo e la satira, e hanno espresso molta frustrazione nei confronti dei nostri team quando non abbiamo accettato. In ultima analisi, abbiamo deciso noi se eliminare o meno i contenuti e siamo responsabili delle nostre decisioni, comprese le modifiche apportate all’applicazione del COVID-19 a seguito di queste pressioni. Ritengo che le pressioni del governo fossero sbagliate e mi rammarico che non siamo stati più espliciti al riguardo. Credo anche che abbiamo fatto delle scelte che, con il senno di poi e con le nuove informazioni, oggi non faremmo”[7].
Ma la lettera di Zuckerberg è risultata ancora più incisiva laddove si legge che: “(…) In un’altra situazione, l’FBI ci ha avvertito di una potenziale operazione di disinformazione russa sulla famiglia Biden e sul Burisma in vista delle elezioni del 2020. In autunno, quando abbiamo visto un articolo del New York Post che riferiva di accuse di corruzione che coinvolgevano la famiglia dell’allora candidato democratico alla presidenza Joe Biden, abbiamo inviato l’articolo ai fact-checkers per una revisione e l’abbiamo temporaneamente declassato in attesa di una risposta”[8].
Peccato che “Da allora è stato chiarito che non si trattava di disinformazione russa e, a posteriori, non avremmo dovuto declassare la storia”[9].
Per certo, alla luce dei fatti qui esposti –ed in parte anche proprio a causa di questi–, del summenzionato supporto censuratorio ed autocensuratorio la Harris non potrà più oltre avvalersi in qualità di facente parte del duo Biden–Harris –e la cosa è lecito aspettarsi sarà oltremodo bypassata allorché il 10 Settembre 2024 dovrà, le piaccia o non le piaccia, incontrare Trump a Philadelphia, la città di Rocky Balboa, per la ABC News – ed in quella occasione dubito che Trump rinuncerà alla ghiotta opportunità di sferrare un duro colpo al demagogico ‘For the people’ tanto caro ad una oltremodo sfuggente Kamala Harris che sembra sempre più agire mossa da uno slogan interiore di gran lunga più veritiero ed egoistico: ‘For myself !’
Quella prima volta nel 2019: le criticità, le incongruenze, le zone d’ombra
Kamala Harris, l’attuale candidata alle Presidenziali per il 2024 è per certi versi un personaggio alquanto enigmatico se non addirittura controverso essendo stata nella passata campagna elettorale l’unica candidata di colore i cui numeri nei sondaggi e l’attenzione dei media nazionali l’avevano fatta collocare al vertice della competizione del 2020, anche se solo per un breve periodo.
All’epoca l’ex Procuratore Generale della California, Kamala Harris, era una 54-enne senatrice democratica al suo primo mandato, nonché prima donna di colore eletta al Senato degli Stati Uniti dalla California, che appariva ai più nelle vesti dell’astro nascente del partito non solo per quel suo essere apertamente critica nei confronti delle politiche sull’immigrazione dell’allora Presidente Donald Trump (non a caso aveva spinto molto per un accordo che proteggesse dall’espulsione gli immigrati giunti nel Paese illegalmente da bambini, un gruppo noto come Dreamers), ma anche –ed in primo luogo– per riassumere in sé molti dei punti di forza necessari per fare breccia nella base sempre più diversificata del partito: una base composta da elettori giovani, donne e appartenenti alle minoranze di cui poteva sicuramente farsi credibile portavoce essendo lei stessa figlia di immigrati provenienti dalla Giamaica e dall’India.
Al grido di “Facciamolo insieme. Rivendichiamo il nostro futuro. Per noi stessi, per i nostri figli e per il nostro Paese”, nonché facendosi forte dello slogan “Per il popolo”, la Harris aveva non a caso annunciato la sua decisione di correre per la Casa Bianca nel giorno del Martin Luther King Jr. Day, ossia nel giorno della festa indetta in onore del leader nero per i diritti civili assassinato ad Atlanta il 4 Aprile del 1968.
Prima della sua candidatura la Harris aveva firmato vari pezzi di legislazione liberale, nell’Ottobre precedente aveva annunciato un piano per dare alle famiglie lavoratrici fino a 6.000 USD l’anno e nel frattempo aveva fatto in modo di far lievitare la sua popolarità tra gli attivisti liberali per mezzo dei suoi duri interrogativi rivolti durante le udienze del Senato, tra gli altri, ai funzionari nominati dall’amministrazione Trump, tra cui il candidato alla Corte Suprema Brett Kavanaugh (durante l’udienza di conferma alla Corte Suprema gli chiese di esprimersi sull’aborto ed in merito all’inchiesta del Procuratore Speciale sulla potenziale ingerenza russa nelle elezioni del 2016) e l’ex Procuratore Generale, Jeff Sessions..
Tutto chiaro e tutto “Per il popolo”? Apparentemente si, peccato che uno dei punti di forza del suo successo e della sua fama non sia del tutto scevro da una pesante zona d’ombra che, se confermata riporterebbe nella giusta prospettiva il giudizio sul perché ed il come mai (dopo il ripescaggio come Vicepresidente di Biden) questa donna sia assurta in questi giorni agli onori delle cronache in veste di paladina della causa Democratica e, come tale, affatto invisa alle potenti lobby che si muovono in modo bipartisan nel sottobosco della politica statunitense e, di conseguenza, anche di quella del Partito di Biden.
Kamala Harris –e questa è una di quelle cose che non va dimenticata– è diventata una star del Partito Democratico grazie a una narrazione, da lei ripresa anche nel suo recente discorso alla Convention Democratica di Chicago, basata sul suo ruolo di Procuratore Generale della California durante la crisi immobiliare del 2008, quando, a suo dire, era stata un’accanita avversaria delle grandi banche e degli istituti di credito ipotecari ed una paladina dei consumatori.
Peccato che un libro uscito per i tipi di Custom House nella seconda metà di Ottobre del 2019, intitolato “Homewreckers: How a Gang of Wall St. Kingpins, Hedge Fund Magnates, Crooked Banks and Vulture Capitalists Suckered Millions of Out of Their Homes and Demolished the American Dream”, scritto dal noto giornalista Aaron Glantz, contesti proprio questa trama, sostenendo che la Harris non solo permise alla banca OneWest di Steve Mnuchin di farla franca pignorando decine di migliaia di proprietari di case nello Stato, ma, a detta di Glantz, nascose le prove: tanto da un articolo apparso il 22 Ottobre 2019 su Politico a firma di Carla Marinucci ed intitolato “New book whacks Kamala Harris’ AG record during housing crisis”[11].
Stando al citato documento un gruppo di magnati di Wall Street, tra cui i membri del gabinetto Trump Mnuchin e Wilbur Ross, oltre a persone interne alla Casa Bianca come Steve Schwarzman e Tom Barrack, avrebbero approfittato di quello che Glantz ha dimostrato essere “un sistema truccato” utile per trasferire miliardi di USD dai proprietari di case individuali alle loro tasche durante la Grande Recessione. Di fronte a cotanto scempio Glantz si è legittimamente domandato non tanto come tutto questo sia potuto accadere, quanto, piuttosto, come sia stato possibile che i responsabili siano andati impuniti[12].
La risposta è che “tutti questi funzionari hanno sbagliato, hanno perso la palla e l’hanno nascosta”[13] in un periodo in cui il Presidente in carica era Obama ed in carica vi erano Procuratori come Kamala Harris: “È successo sotto il suo controllo. E non è mai stata costretta a raccontare l’altra storia e a lottare con la verità di ciò che è accaduto”.
Stando a quanto riferito da Glantz e riportato da Politico, in California, Mnuchin (all’epoca della denuncia dei fatti Segretario al Tesoro) avrebbe acquisito banche regionali come OneWest con l’aiuto del Governo Federale; le banche avrebbero ricevuto miliardi di sovvenzioni mentre pignoravano 35.000 proprietari di case nel solo Golden State e la Harris avrebbe fatto ben poco per fermare l’emorragia e in seguito avrebbe cercato di nascondere le prove della sua inazione. Testualmente, come riferito da politico, Glantz avrebbe detto “I vice di Harris hanno raccomandato al loro capo di fare causa alla banca”[14], tanto citando l’accordo di condivisione delle perdite della banca con la FDIC, che stabiliva che la banca di Mnuchin avrebbe potuto ricevere pagamenti dal Governo solo se avesse seguito le corrette procedure di pignoramento. “Se lo Stato della California scoprisse che OneWest ha violato queste regole”[15], continuò Glantz, “i pagamenti potrebbero cessare, salvando non solo i proprietari di case, ma anche le casse del Governo”[16].
A quanto risulta il solo a dare una pronta risposta alle accuse mosse da Glantz sarebbe stato Ian Sams, il portavoce della campagna presidenziale della Harris, che avrebbe risposto con forza alle accuse contenute nel testé citato libro–denuncia affermando che: “Nessun Procuratore Generale in America ha ottenuto dalle banche più di Kamala Harris per i proprietari di case del suo Stato; ha ottenuto 20 Mld di USD per i Californiani dalle banche più grandi”[17]
Per somma la Sen. Harris, ha aggiunto il portavoce Ian Sams: “Ha anche ottenuto un altro miliardo di USD dalle banche quando ha portato avanti un caso di frode finanziaria incentrato sul denaro frodato dai fondi pensione. Ha poi approvato una pionieristica Carta dei diritti del proprietario di casa e ha creato una Mortgage Fraud Strike Force”[18] aggiungendo che “Non c’era dubbio che OneWest avesse condotto prestiti predatori e il senatore Harris ritiene che debbano essere puniti. (…) Purtroppo, la legge era decisamente dalla loro parte e sono stati protetti dalle citazioni in giudizio dello Stato perché sono una banca federale. Ciò non dovrebbe sorprendere, data l’influenza che il settore finanziario ha esercitato a Washington”[19], ma il senatore “Harris ha presentato una proposta di legge per risolvere il problema”[20]
Agli inizi del 2019 la Sen. Harris aveva dichiarato al San Francisco Chronicle, come riportato in un articolo del menzionato quotidiano datato 1°Aprile 2019 ed intitolato “Kamala Harris’ mortgage meltdown record under scrutiny as campaign heats up”[21], di non aver potuto procedere nel 2012 contro la OneWest in quanto ostacolata dalle norme legali che proteggono i proprietari di casa[22] nonostante che gli avvocati del suo ufficio avessero individuato la banca per il presunto accatastamento delle procedure di pignoramento contro i legittimi proprietari.
Nello stesso articolo a tale proposito è interessante notare la posizione assunta dall’avv.Paulina Gonzalez-Brito, —sostenitrice degli alloggi a basso reddito nonché Direttore Esecutivo della California Reinvestment Coalition (che nel 2019 rappresentava qualcosa come 300 organizzazioni comunitarie, per lo più in quartieri a basso reddito)—, che si è oltremodo dichiarata delusa dal fatto che Kamala Harris non abbia intentato una causa in quanto, ha detto: “La domanda è: quando si arriva al dunque, quando ci si trova di fronte a un tale livello di opposizione da parte di interessi monetizzati, si è disposti ad affrontare questi interessi monetizzati?“[23], un quesito che si sposa molto bene con quanto riferito da Glantz circa il fatto che l’affermazione della Harris era stata già a suo tempo contestata in un promemoria di 25 pagine[24], prodotto dallo stesso staff della Harris, che sulla prima pagina della copertina reca la scritta “Case NOT filed despite strong recommendations”[25].
A conti fatti, stando alle risultanze del lavoro di Glantz, la Mortgage Fraud Strike Force lanciata dalla Harris ha avuto sì il merito di aver intrapreso azioni legali, ma di averlo fatto per lo più contro trasgressori “di poco conto”, mentre per quello che concerneva i pesci più grossi, quantunque il suo staff avesse indagato sulla OneWest e avesse raccomandato un’azione penale, la Harris “avrebbe insabbiato il loro rapporto e rifiutato di avviare un’azione penale”[26].
Ed è oltremodo interessante notare che, come ha scritto Glantz nel suo “Homewreckers”, “l’unica ragione per cui oggi siamo a conoscenza delle indagini della California su OneWest è perché David Dayen del sito di notizie The Intercept ne ha ottenuto una copia trapelata,” e l’ha pubblicata nel gennaio 2017[27] “A quel punto la Harris non era più Procuratore Generale della California, essendo diventata senatrice degli Stati Uniti”.
Nel menzionato articolo del The Intercept, intitolato “Treasury nominee Steve Mnuchin’s Bank accused of ‘Widespread misconduct’ in leaked memo”[28] e pubblicato il 3 Gennaio 2017, in apertura, con riferimento al succitato lavoro, merita leggere quanto letteralmente segue: “Il memorandum ottenuto da The Intercept sostiene che OneWest ha cacciato in fretta e furia i proprietari morosi dalle loro case violando gli statuti relativi al preavviso e al periodo di attesa, ha retrodatato illegalmente documenti chiave e ha effettivamente truccato le aste di pignoramento. Nella nota, i dirigenti della sezione di diritto del consumo del procuratore generale dello Stato hanno dichiarato di aver “scoperto prove suggestive di una diffusa cattiva condotta” nel corso di un’indagine durata un anno. In una richiesta dettagliata di 22 pagine, hanno identificato più di mille violazioni legali nella piccola sottosezione di prestiti OneWest che hanno potuto esaminare, e hanno raccomandato al Procuratore generale Kamala Harris di avviare un’azione civile contro la banca di Pasadena. Hanno persino redatto un modello di denuncia legale, chiedendo un provvedimento ingiuntivo e sanzioni per milioni di dollari”[29]
Laconico il commento a seguire: “Ma l’ufficio della Harris, senza alcuna spiegazione, ha rifiutato di perseguire il caso”[30] ed in tal modo di provare almeno a dare sostegno ai 35.000 proprietari che si sono visti pignorare la casa nel solo Golden State e, per certi versi, anche alle casse dello Stato, visto che, a fronte di questo oltremodo singolare agire, agli autori di un tale scempio sono giunti miliardi di danaro pubblico che avrebbe meritato ben altra destinazione ed utilizzo.
Ora nel 2019 l’impianto programmatico della campagna elettorale della oltremodo determinata ed ambiziosa neo–aspirante alla Casa Bianca Kamala Harris, che prometteva di essere centrato tutto sulla riduzione dell’alto costo della vita con un credito d’imposta per la classe media, come pure orientato al perseguimento di cambiamenti significativi e sostanziali delle politiche d’immigrazione, della giustizia penale come pure alla edificazione di un sistema sanitario Medicare-for-all, è risultato per lo meno stridente con quanto poco a poco é andato emergendo circa il suo operato in qualità di Procuratore Generale.
E stridente il tutto deve essere apparso non solo a noi se, dopo l’avvio della sua Campagna a tal segno brillante da averle guadagnato un apprezzamento di non poco conto da parte dallo stesso (riconoscente?: lecito supporlo, direi ) Donald Trump, che in tal senso si espresse dichiarando quella della Harris “la migliore apertura” vista sino a quel momento, nei mesi successivi la Harris e la sua campagna hanno preso ben presto a mostrare i tratti tipici di una candidatura destinata a non durare a lungo nonostante il duro e netto colpo, –per la verità alquanto populistico, pretestuoso e puritano–, assestato al favorito Joe Biden per i suoi estemporanei e fraintesi commenti sulla collaborazione con i legislatori segregazionisti[31] e per le sue opinioni passate sui “trasporti in autobus”[32].
Quest’ultimo richiamo, che fa riferimento ad un progetto di integrazione consistente nell’utilizzo dei trasporti pubblici per far si che giovani studenti bianchi accedessero a scuole frequentate da neri e viceversa, avversato da Joe Biden, è oltremodo interessante non tanto per il fatto in sé, quanto per capire l’abilità della Harris di portare alquanto populisticamente alla ribalta ciò che le fa comodo del passato altrui, glissando sul suo presente: un qualcosa che merita attenzione per capire cosa l’Europa potrebbe trovarsi costretta ad affrontare come conseguenza di una Presidenza Harris (di Trump si sa già, sicché per… par conditio…) all’insegna del nuovo puritanesimo dilagante
Nello specifico, del singolare evento ha ampiamente detto, ad esempio, Politico con un articolo di Jason Sokol del 4 Agosto 2015 ed intitolato “How a Young Joe Biden Turned Liberals Against Integration – Forty years ago, the Senate supported school busing—until a 32-year-old changed his mind”[33] nel quale si può leggere quanto segue:
“Quarant’anni fa, una battaglia controversa sulla giustizia razziale attanagliava Capitol Hill, contrapponendo l’unico senatore afroamericano della nazione all’uomo che un giorno sarebbe diventato il Vicepresidente di Barack Obama. La questione era quella degli autobus scolastici, un piano per trasportare gli studenti bianchi e neri fuori dai loro quartieri per integrare meglio le scuole, e all’epoca la questione più esplosiva dell’agenda nazionale.
Ed Brooke, repubblicano del Massachusetts, era il primo senatore nero mai eletto a livello popolare; Joe Biden era una matricola democratica del Delaware. Nel 1975, entrambi avevano compilato registri di voto liberali. Ma quell’anno Biden si schierò con i conservatori e sponsorizzò un importante emendamento anti-bus. Il feroce dibattito che ne seguì non solo fratturò il blocco dei liberali al Senato, ma significò anche un fenomeno politico di più ampia portata: Mentre gli elettori bianchi di tutto il Paese, soprattutto nel Nord, si opponevano ai piani di desegregazione a tappeto che stavano per essere messi in pratica, i leader liberali si ritiravano dalle politiche di integrazione.
Biden fu in prima linea in questa ritirata: durante la sua campagna per il Senato nel 1972 aveva espresso il suo sostegno all’integrazione e, più in particolare, al busing, ma una volta eletto scoprì quanto i suoi elettori bianchi si opponessero a questo metodo. Nel 1973 e nel 1974, Biden iniziò a votare a favore di molte proposte di legge del Senato contro il busing, affermando di essere favorevole alla desegregazione scolastica, ma di essere contrario al ‘busing forzato’ “[34]
Comunque sia, tornando a noi ed alla campagna del 2019, lì a pochi mesi la popolarità della Harris registrò una repentina caduta al punto che se ne parlò come di una evaporazione dei consensi e con essa dei finanziamenti: una evaporazione che i più ascrissero alle critiche mosse alla sua piattaforma politica, ma che sarei incline ad attribuire anche –e non poco– alla emersione del carattere ondivago ed oltremodo opportunista del personaggio.
Un carattere palesatosi in diverse circostanze anche platealmente, come quando la stessa Kamala Harris che a Gennaio 2019 aveva dichiarato alla CNN, riferendosi alle assicurazioni sanitarie private, ” eliminiamo tutto ciò [35]” (sebbene il suo staff della campagna abbia affermato in seguito che sosteneva molteplici percorsi verso Medicare–for–All) ed ancora ai primi dibattiti democratici a Giugno si era dichiarata favorevole all’abolizione delle assicurazioni private, in seguito aveva ritenuto di poter affermare di aver a suo tempo frainteso i termini della domanda[36] all’origine delle sue esternazioni, cosicché a fine Luglio 2019 si era espressa sul medesimo tema affermando che l’assicurazione privata in materia sanitaria non sarebbe stata eliminata[37] anche se, aggiunse per salvarsi in corner, le compagnie assicurative avrebbero dovuto rispettare requisiti “rigorosi” su costi e benefici.
Di quali requisiti si sarebbe trattato ce lo ha chiarito il The Washington Post del 28 Giugno 2019 in un articolo intitolato “Kamala Harris changes answer on abolishing private health insurance, saying she misheard debate question”[38] nel quale testualmente si legge: “L’esatto ruolo delle assicurazioni private nell’ambito di Medicare per tutti ha provocato una notevole confusione nel corso della campagna presidenziale democratica”[39] ed ancora “Nel 2017, Harris e molti altri senatori democratici in corsa per la presidenza hanno annunciato il loro sostegno alla legislazione Medicare-per-tutti di Sanders, che sposterebbe circa 217 milioni di americani che ricevono la loro assicurazione attraverso un piano privato – così come tutti gli altri nel Paese – su un unico piano assicurativo governativo. Il piano metterebbe fuori legge tutte le coperture sanitarie private che si sovrappongono a questo generoso piano governativo, lasciando spazio solo a una manciata di servizi supplementari, come la chirurgia estetica”[40].
A maggior chiarimento, al momento della rettifica l’articolista del The Washington Post ha aggiunto che, riprendendo questa volta le parole di Larry Levitt, vicepresidente senior per la riforma sanitaria della Kaiser Family Foundation: “Da un punto di vista tecnico, la proposta di legge su Medicare per tutti consentirebbe agli assicuratori privati di vendere polizze integrative per prestazioni non coperte dal piano governativo”[41] in quanto “In pratica, il piano governativo copre un insieme di prestazioni così completo che non ci sarebbe praticamente alcun ruolo per le assicurazioni private”[42] e con questo salvando in parte la faccia ad una Harris che aveva usato il tema in oggetto come un valido strumento per fare a suo tempo (il tempo del summenzionato “eliminiamo tutto ciò”[43] tanto per intenderci) proseliti a beneficio dell’unico obiettivo, dell’unica causa, a quanto pare, a lei veramente cara : la propria carriera, perché Kamala Harris è, a ragion veduta, solo una donna in carriera estremamente ambiziosa in cerca di ‘appoggi’ politici in entrambi gli schieramenti.
Il che, detto per inciso, spiegherebbe il suo atteggiamento nei confronti di quello che potremmo definire l’affaire OneWest che merita di essere analizzato con molta attenzione per capire cosa avverrà a breve dietro le quinte della singolare partita a scacchi elettorale al momento ancora in divenire.
Comunque sia, per rimanere concentrati su quanto avvenne nel 2019, visto che certi aspetti e criticità di allora fanno bella mostra di sé anche attualmente, dobbiamo dire che conformemente a quanto riportato da diversi media dell’epoca, tra i quali troviamo il The New York Times[44] ed il The Washington Post[45], l’approssimarsi delle primarie dell’Iowa fece emergere in maniera sempre più significativa tanto la mancanza di una strategia politica chiara, che la penalizzante presenza di uno staff elettorale frammentato e scontento: due fattori che, guarda caso, oggi sembrano pesare in modo differente essendo la vaghezza programmatica di allora il punto di forza della strategia odierna, e la carenza organizzativa azzerata dalla discesa in campo dell’intero Partito Democratico.
All’epoca non pochi furono anche i problemi organizzativi emersi anche tra i collaboratori della Harris che a Novembre 2019 evidenziarono tutta una serie di contenziosi che definire ‘problemi logistici’ è poco, per non parlare della pressoché totale assenza di una strategia con cui presentarsi alla Convention Democrstica dello Iowa per la nomination da parte dei delegati. Entro la fine di novembre, l’ insieme dei sondaggi sui candidati di RealClearPolitics[46] mostrava la Sig.ra Harris scivolare verso cifre basse, mentre il candidato più vicino a lei, il sindaco di South Bend, Petéq Buttigieg, sembrava in ascesa.
In questo senso l’articolo del 29 Novembre 2019 (aggiornato l’11 Agosto del 2020 e già da noi qui richiamato in apertura) di Jonathan Martin, Astead W. Herndon e Alexander Burns, pubblicato sul The New York Times con il titolo “How Kamala Harris’s Campaign Unraveled”[47] e sottotitolato come segue “La signora Harris è l’unica democratica per il 2020 a essere uscita dalla prima fascia di candidati. Si è dimostrata un’attivista discontinua che cambia messaggio e tattica con scarsi risultati e ha uno staff diviso in fazioni”[48], risulta estremamente interessante in quanto da esso emergono ulteriori considerazioni quanto mai illuminanti, sempre che ce ne sia ancora necessità, per capire chi realmente é Kamala Harris: la senatrice del più grande Stato del Paese divenuta Vicepresidente degli Stati Uniti d’America ed attualmente, decisamente a sorpresa, incoronata in tutta fretta dalla Convention Democratica di Chicago candidata alla Presidenza dell’Unione, ovverosia il politico con un potere da star che è stato paragonato al Presidente Obama ancora prima che i californiani la eleggessero al Senato nel 2016[49].
Nel 2019 il suo declino fu decisamente più prevedibile che sorprendente. In un caso dopo l’altro, la Harris e i suoi più stretti consiglieri presero ripetutamente decisioni sbagliate su quali Stati concentrarsi, su quali temi enfatizzare e su quali avversari colpire, rifiutandosi al contempo di fare difficili scelte di personale per imporre ordine a una campagna ingombrante, secondo quanto riferito da oltre 50 membri dello staff della campagna, attuali ed ex, e alleati, la maggior parte dei quali ha parlato a condizione di anonimato per rivelare conversazioni e valutazioni private che coinvolgono la candidata[50].
Leggendo le critiche ed i commenti espressi dai collaboratori di Kamala si ha che tra le cause del fallimento vi sarebbero state, a loro dire:
1) la sua indecisione allorché ha attaccato a fondo i rivali politici[51]
2) il non aver scelto fermamente da che parte stare nella faida ideologica del Partito Democratico tra liberali e moderati[52],
3) di aver creato un’organizzazione con una presidente della campagna, la sorella Maya Harris, che non è stata contestata solo in parte per via della inopportuna parentela la Harris, e un manager responsabile della campagna , Juan Rodriguez, che non poteva essere sostituito senza (stando a quanto dichiarato e riportato dal The New York Times) probabilmente scatenare le dimissioni del team di consulenti della Harris[53],
4) di aver creato le condizioni peggiori di lavoro all’interno dello staff, ovverosia quelle che hanno fatto sì che lo stesso si presentasse diviso tra fazioni concorrenti desiderose di sminuirsi a vicenda[54]:
5) tanto per non parlare del gelo calato sul rapporto della candidata con Juan Rodriguez (questo sempre stando a quanto riferito da diversi Democratici vicini alla Harris), il fidato luogotenente di un tempo, la persona che aveva gestito la sua campagna per il Senato nel 2016, quella stessa figura centrale della SCRB, la società di consulenza con sede a San Francisco, che aveva aiutato a guidare l’ascesa di Harris per un decennio, ma che era palesemente inidoneo a sopperire alle carenze basilari inemendabili nei tempi brevi per permettere alla sua pupilla di cimentarsi in una corsa alla Casa Bianca[55].
Per alcuni democratici che già nel 2019 conoscevano Kamala Harris, le sue difficoltà organizzative e tattiche dell’epoca (difficoltà a quanto pare perduranti ancora oggi stando a quanto –come visto– sin qui recentemente evidenziatosi alla Convention di Chicago) avrebbero permesso di fare emergere limiti ben più ampi e preoccupanti.
Limiti oltremodo strettamente correlati al suo modus operandi decisamente pressappochista che non le avrebbe consentito di mantenere il controllo della situazione per non aver mai riflettuto a fondo sui dettagli relativi alle due questioni all’epoca maggiormente dibattute: la politica sanitaria e l’identità del Partito Democratico.
Una mancata riflessione che le aveva causato non poco imbarazzo in più di una occasione per aver ripetutamente affermato tutto ed il contrario di tutto.
L’adozione tardiva di un cambiamento di rotta effettuato utilizzando un rinnovato approccio alla campagna elettorale del 2019 meno programmatico e più populistico, che come tale aveva sortito degli effetti sicuramente positivi permettendole di ricevere degli apprezzamenti tra i suoi supporters e collaboratori (che avevano voluto vedere nel suo far sì che “Kamala fosse Kamala” un fare riferimento ai punti di forza della Harris, ossia a quelli della polemista arrabbiata che si evidenziano allorquando ascolta i commenti dei suoi avversari e reagisce liberamente ed istintivamente), alla fine si era rivelata solo un palliativo autoingannatorio nel momento in cui la stessa Harris si era trovata a dover tradurre le sue chiacchiere demagogiche in un progetto politico reale e concreto: tanto a maggior ragione dovendo trattare temi riguardanti la politica interna ed estera in tempi come quelli attuali che vedono l’intero quadro estremamente interconnesso ed in rapidissima evoluzione.
La riprova l’abbiamo avuta tutti sotto gli occhi nel momento in cui si è trovata –è accaduto recentemente– nella non facile condizione di doversi esprimere in merito alla complessa questione mediorientale attuale, della quale ha dimostrato di non conoscere praticamente nulla.
Una circostanza, questa, che ha reso ampia testimonianza e conferma delle ragioni che a mio parere le hanno guadagnato la pressoché corale nomination di Chicago grazie al supporto dei maggiorenti Democratici: il suo essere, come già altrove sottolineato, il potenzialmente perfetto, qualora eletta, acclamato burattino nelle mani dei veri artefici della politica portata avanti dal Partito Democratico, così come il perfetto parafulmine per gli stessi nel caso del suo più che prevedibile fallimento.
Come nel 2019 a farla assurgere agli onori della cronaca politica erano state le sue abbondanti capacità comunicative più che quelle politiche, quel suo essere forte sul palco, quel suo modo di fare caloroso con gli elettori e quella sua ferocia con l’opposizione a convincere molti Democratici del potenziale della signora Harris, così anche in questo 2024 è alle stesse caratteristiche e capacità che dobbiamo ascrivere la sua posizione attuale, ma, come allora tutte quelle peculiarità non l’hanno portata da nessuna parte, è prevedibile che da nessuna parte la porteranno ancora nel momento in cui si troverà a dover affrontare Donald Trump il 10 Settembre prossimo: un 10 Settembre che rappresenterà il banco di prova quanto alla tenuta della sua, ripeto, alquanto strana candidatura a sorpresa.
C’è un paio di paragrafi del menzionato articolo del 29 Novembre 2019 che meritano oltremodo di essere letti e, a questo punto, non poco meditati, un paio di paragrafi che testualmente recitano, con riferimento a quanto avvenuto in precedenza proprio quell’anno, come segue:
“Eppure si è arrivati a questo (n.d.r. al ritiro): dopo aver iniziato la sua candidatura con un discorso davanti a 20.000 persone a Oakland, alcuni sostenitori di lunga data della Harris ritengono che dovrebbe prendere in considerazione l’idea di ritirarsi a fine Dicembre – termine ultimo per togliere il suo nome dalla scheda elettorale delle primarie in California – se non mostra uno slancio politico”[57] ed ancora “Per un certo periodo, ha cercato di mettere in evidenza un programma pragmatico, su questioni a cui, secondo lei, gli elettori pensavano mentre si svegliavano alle 3 del mattino. Oggi, i suoi assistenti si lasciano andare a un umorismo da forca sul numero di slogan e frasi fatte che ha utilizzato, ricordando come la “primavera della verità” abbia lasciato il posto all'”estate delle 3 del mattino” prima dell’attuale inverno della “giustizia”, incentrato su Trump“[58].
A mio avviso nel 2019 la migliore analisi è stata ed ancora resta quella di Dan Sena, ex direttore esecutivo del Democratic Congressional Campaign Committee, che non a caso dall’incontro con la squadra della Harris era uscito alquanto preoccupato perché si affidava troppo al pensiero politico forgiato nel sistema politico idiosincratico della California[59].
Per l’occasione Sena aveva dichiarato con una lungimiranza ancora oggi attuale che “Vincere in California richiede una tabella di marcia diversa, tra un sistema a due candidati e i costosi mercati televisivi”[60] in quanto “Quando si tratta di vincere, c’è un modo giusto, uno sbagliato e uno californiano”[61].
I nodi sono tutti ancora lì, pronti a venire al pettine, con buona pace di quanti vogliono credere ai miracoli e giocano a fare i tifosi agitando quotidianamente la bandierina delle percentuali senza rendersi conto del fatto che occorre prestare molta attenzione ai sondaggi per le presidenziali Usa: alcuni sono buoni solo come la carta usata per accendere il fuoco nel camino di casa.
Un interessante punto di vista su questo aspetto, anche se troppo superficiale per quello che riguarda la persona Kamala Harris sulle cui motivazioni e contraddizioni –come pressoché tutti gli strateghi politici– non sembra minimamente soffermarsi, a mio avviso sbagliando, è quello di Alec Ross, un personaggio del West Virginia molto noto a chi si occupa di questioni americane.
Diplomato in Storia alla Northwestern University, nei sobborghi di Chicago, Alec Ross, –per sei anni senior advisor di Barack Obama, che conobbe aspirante senatore nella Wind City, per poi passare ad affiancare Hillary Clinton della cui sconfitta infertale da Trump parrebbe sentire ancora il peso–, si dichiara convinto assertore della vittoria della Harris a patto che la stessa riesca a tenere insieme le due anime di quegli Stati Uniti che a detta di Ross meglio sarebbe denominare Stati Disuniti d’America.
A suo dire, infatti –e tanto emerge da una sua recente intervista pubblicata sulla rivista L’Espresso in edicola il 28 Agosto 2024 in un articolo a firma di Leonardo Pini ed intitolato “‘Attenzione ai sondaggi per le presidenziali USA’: alcuni sono buoni solo come carta igienica”[62]– nonostante tutti i tentativi (quali non è dato capire) posti in essere da Obama, il Paese resta ancora profondamente disunito con i Democratici agiti solo dall’unica priorità che riescono a vedere: sconfiggere Trump a tutti i costi.
Peccato che Ross non abbia colto che la divisione intestina della società statunitense che tutti noi, come lui, osserviamo, non l’ha prodotta Trump: un Trump che si è limitato a sfruttarla a proprio vantaggio dando voce (con quanta onestà intellettuale non è dato sapere, e dubito fortemente vi sia in misura significativamente importante) ai dimenticati degli USA, a tutti coloro che negli USA hanno dovuto pagare il prezzo di una folle globalizzazione promossa, perseguita ed attuata in nome del profitto di pochi che in tal modo hanno depresso l’economia ed il bilancio federale in un contesto che ha visto il Paese sempre più gravato dalle conseguenze di quella perdita di reale leadership globale dell’America che ha impedito, da un certo punto in poi, al suo establishment di esportare all’estero l’impoverimento della Middle Class a tutto vantaggio della tenuta di quella domestica.
In questo senso la Kamala Harris circondata dal grande entusiasmo che vediamo, la Kamala Harris che a detta di Ross ha unito i Democratici, di fatto non ha la possibilità di attuare il cambiamento di rotta da lui auspicato in quanto la stessa non ha i mezzi e gli strumenti per affrontare alla radice il problema che, a mio parere, risiede tutto nella politica estera statunitense della cui gestione ella, come Vicepresidente di Joe Biden, è corresponsabile.
Nonostante la miopia mostrata , alla fine Ross –e la cosa è molto poco confortante– ha dovuto convenire sul fatto che con tutta la più buona volontà Kamala Harris non potrà ricucire il Paese in quanto questo “Non è qualcosa che può riuscire a una singola persona. Per ricucire le differenze ci sarà bisogno di un movimento culturale più ampio. (…) Per colmare le distanze servirà almeno una generazione”[63].
Così la previsione di Ross per la Harris alla fine è di fatto impietosa. Di lei, infatti, del suo futuro ha dichiarato obtorto collo: “Avrà delle buone settimane davanti a lei, ma per far sì che duri dovrà avere una visione autentica di Stati Uniti. Deve rispondere alla domanda: “Come dovrebbe essere una presidenza Harris?”[64] che di fatto, lo abbiamo visto, è la domanda a cui la Harris non ha la benché minima idea di come rispondere (sempre che sia in grado di capirne il senso).
Ed il dubbio ci sta tutto come testimoniato dalla scelta di Tom Walz, il Governatore del Minnesota, come suo Vice, in quanto come ha detto Ross:
“Tim Walz rappresenta la classe operaia della Middle America, una cultura in forte contrasto con le élite delle coste che Harris rappresenta. Oltre all’affinità tra i due, c’è anche questo: collegano queste due culture, quella californiana e quella del Midwest. Per vincere, Harris dovrà fare bene negli Stati che riflettono la cultura di Walz. Mi sembra una scelta accorta”[65]Un gusto commento! La scelta è sicuramente accorta, o meglio lo sarebbe se non fosse che tutto lascia intendere che questa scelta sia stata dettata dalla convenienza politica e non da una visione come quella di Ross: cioè esattamente come avvenne per lei a suo tempo allorché fu scelta da Biden come suo Vice.
[1] https://tradingeconomics.com/country-list/gdp-annual-growth-rate
[2] “Turkey Bids to Join BRICS in Push to Build Alliances Beyond West” Bloomberg 2 Settembre 2024 https://www.bloomberg.com/news/articles/2024-09-02/turkey-submits-bid-to-join-brics-as-erdogan-pushes-for-new-alliances-beyond-west
[3] https://www.glistatigenerali.com/geopolitica/freedom-caucus-la-tecnocrazia-che-avanza/
[4] https://www.glistatigenerali.com/geopolitica/freedom-caucus-la-tecnocrazia-che-avanza/
[5] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[6] https://www.open.online/2024/08/27/cosa-dice-lettera-mark-zuckerberg-fact-checkers-meta-fc/
[7] https://www.open.online/2024/08/27/cosa-dice-lettera-mark-zuckerberg-fact-checkers-meta-fc/
[8] https://www.open.online/2024/08/27/cosa-dice-lettera-mark-zuckerberg-fact-checkers-meta-fc/
[9] https://www.open.online/2024/08/27/cosa-dice-lettera-mark-zuckerberg-fact-checkers-meta-fc/
[10] https://www.open.online/2024/08/30/usa-2024-intervista-kamala-harris-politica-armi-israele/
[11] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[12] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[13] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[14] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[15] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[16] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[17] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[18] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[19] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[20] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[21] https://www.sfchronicle.com/politics/article/Kamala-Harris-mortgage-meltdown-record-under-13730708.php
[22] https://www.sfchronicle.com/politics/article/Kamala-Harris-mortgage-meltdown-record-under-13730708.php
[23] https://www.sfchronicle.com/politics/article/Kamala-Harris-mortgage-meltdown-record-under-13730708.php
[24] https://s3.documentcloud.org/documents/3250383/OneWest-Package-Memo.pdf
[25] https://s3.documentcloud.org/documents/3250383/OneWest-Package-Memo.pdf
[26] https://www.politico.com/news/2019/10/22/kamala-harris-attorney-general-california-housing-053716
[27] https://s3.documentcloud.org/documents/3250383/OneWest-Package-Memo.pdf
[28] https://theintercept.com/2017/01/03/treasury-nominee-steve-mnuchins-bank-accused-of-widespread-misconduct-in-leaked-memo/
[29] https://theintercept.com/2017/01/03/treasury-nominee-steve-mnuchins-bank-accused-of-widespread-misconduct-in-leaked-memo/
[30] https://theintercept.com/2017/01/03/treasury-nominee-steve-mnuchins-bank-accused-of-widespread-misconduct-in-leaked-memo/
[31] https://www.cnbc.com/2019/06/19/democrats-slam-biden-over-comments-on-segregationist-senator.html
[32] https://www.cnbc.com/2019/06/19/democrats-slam-biden-over-comments-on-segregationist-senator.html
[33] https://www.politico.com/magazine/story/2015/08/04/joe-biden-integration-school-busing-120968/
[34] https://www.politico.com/magazine/story/2015/08/04/joe-biden-integration-school-busing-120968/
[35] http://transcripts.cnn.com/TRANSCRIPTS/1901/28/se.01.html
[36] https://www.washingtonpost.com/politics/2019/06/28/kamala-harris-reverses-answer-abolishing-private-health-insurance-saying-she-misheard-question/
[37] https://www.cnbc.com/2019/07/29/kamala-harriss-medicare-for-all-plan-keeps-private-insurance.html
[38] https://www.washingtonpost.com/politics/2019/06/28/kamala-harris-reverses-answer-abolishing-private-health-insurance-saying-she-misheard-question/
[39] https://www.washingtonpost.com/politics/2019/06/28/kamala-harris-reverses-answer-abolishing-private-health-insurance-saying-she-misheard-question/
[40] https://www.washingtonpost.com/politics/2019/06/28/kamala-harris-reverses-answer-abolishing-private-health-insurance-saying-she-misheard-question/
[41] https://www.washingtonpost.com/politics/2019/06/28/kamala-harris-reverses-answer-abolishing-private-health-insurance-saying-she-misheard-question/
[42] https://www.washingtonpost.com/politics/2019/06/28/kamala-harris-reverses-answer-abolishing-private-health-insurance-saying-she-misheard-question/
[43] http://transcripts.cnn.com/TRANSCRIPTS/1901/28/se.01.html
[44] https://www.nytimes.com/2019/06/28/upshot/kamala-harris-medicare-for-all-debate.html
[45] https://www.washingtonpost.com/politics/2019/06/28/kamala-harris-reverses-answer-abolishing-private-health-insurance-saying-she-misheard-question/
[46] https://www.realclearpolitics.com/epolls/2020/president/us/2020_democratic_presidential_nomination-6730.html
[47] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[48] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[49] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[50] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[51] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[52] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[53] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[54] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[55] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[56] https://www.ktvu.com/news/transcript-kamala-harris-kicks-off-presidential-campaign-in-oakland
[57] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[58] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[59] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[60] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[61] https://www.nytimes.com/2019/11/29/us/politics/kamala-harris-2020.html
[62] https://lespresso.it/c/mondo/2024/8/28/attenzione-ai-sondaggi-per-le-presidenziali-usa-alcuni-sono-buoni-solo-come-carta-igienica/51906
[63] https://lespresso.it/c/mondo/2024/8/28/attenzione-ai-sondaggi-per-le-presidenziali-usa-alcuni-sono-buoni-solo-come-carta-igienica/51906
[64] https://lespresso.it/c/mondo/2024/8/28/attenzione-ai-sondaggi-per-le-presidenziali-usa-alcuni-sono-buoni-solo-come-carta-igienica/51906
[65] https://lespresso.it/c/mondo/2024/8/28/attenzione-ai-sondaggi-per-le-presidenziali-usa-alcuni-sono-buoni-solo-come-carta-igienica/51906
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