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Geopolitica

Il vuoto di Taipei in Vaticano: opportunità per Pechino, segnale per il mondo

Il mancato viaggio del presidente taiwanese William Lai ai funerali di Papa Francesco, sostituito dall’invio dell’ex vicepresidente Chen Chien-jen, desta attenzione internazionale

23 Aprile 2025

Il mancato viaggio del presidente taiwanese William Lai ai funerali di Papa Francesco, sostituito dall’invio dell’ex vicepresidente Chen Chien-jen, desta attenzione internazionale. La scelta, comunicata dal ministero degli Esteri taiwanese e ripresa dai media locali, potrebbe sembrare un semplice atto diplomatico di rappresentanza, ma racchiude implicazioni ben più profonde: geopolitiche, religiose e strategiche.

Taiwan, ufficialmente la Repubblica di Cina, mantiene relazioni diplomatiche formali con solo una manciata di Paesi nel mondo. Tra questi, la Città del Vaticano rappresenta un baluardo unico: l’unico stato europeo con cui Taipei intrattiene rapporti ufficiali. Ecco perché la mancata presenza diretta di Lai ai funerali del Pontefice rappresenta ben più che una questione di protocollo.

Da un lato, un segno di protesta verso la politica di Papa Framcesco (anticipata dalla lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI) nei confronti della Repubblica Popolare. Dall’altro un messaggio , chiaro contro il Cardinale Parolin, fine tessitore dell’accordo sulla nomina dei Vescovi. 

Il confronto con il passato è inevitabile: nel 2005, l’allora presidente taiwanese Chen Shui-bian partecipò personalmente alla messa funebre per Giovanni Paolo II. Quella visita fu interpretata come un’affermazione della sovranità taiwanese sulla scena globale, in un momento di tensione simile con la Cina. Oggi, invece, l’assenza di Lai può essere letta come un messaggio , verso i Cardinali USA e conservatori, di ostacolare un potenziale voto sulla figura dell’ ex Segretario di Stato.

Fonti vicine all’amministrazione di Taipei parlano di una decisione “ponderata” per non sollevare frizioni eccessive in un contesto internazionale già teso. Ma la realtà è che questo passo indietro apre una porta, forse definitiva, a una maggiore influenza cinese in Vaticano.

La Cina Popolare non ha relazioni diplomatiche ufficiali con la Santa Sede, ma i rapporti si sono significativamente intensificati sotto il pontificato di Papa Francesco. A fare da architetto di questa rinnovata intesa è stato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano e uomo chiave nei dialoghi con Pechino.

L’accordo provvisorio del 2018, poi rinnovato nel 2020 e nel 2022, sulla nomina dei vescovi cinesi, ha segnato un momento storico. Sebbene criticato da molteplici fronti – interni ed esterni alla Chiesa – questo patto ha aperto un canale diretto tra Pechino e Roma, consolidando una relazione che sfida le logiche della Guerra Fredda religiosa che per decenni ha tenuto le due realtà su fronti opposti.

Ora, con la possibile partecipazione di una delegazione cinese ai funerali papali, la Cina potrebbe ottenere per la prima volta una presenza ufficiale in uno degli eventi cattolici più solenni al mondo. Un evento che, pur non essendo un incontro politico, assume inevitabilmente una valenza simbolica e geopolitica.

La Cina ha investito con attenzione e pazienza nella sua strategia verso la Chiesa cattolica. In un Paese dove la religione è rigidamente controllata dal Partito Comunista, riuscire a esercitare influenza anche sulla nomina dei vescovi – attraverso l’accordo con il Vaticano – rappresenta una conquista notevole.

Una presenza ufficiale della delegazione cinese ai funerali del Papa potrebbe non solo rafforzare questa relazione, ma anche minare il legame privilegiato con Taiwan. Pechino ambisce chiaramente a un riconoscimento diplomatico formale da parte della Santa Sede, e ogni passo in quella direzione rappresenta un colpo all’isolamento internazionale di Taipei.

Questo sviluppo si inserisce in un contesto più ampio, segnato dalla competizione strategica tra Cina e Stati Uniti. L’amministrazione Trump  punta su una ostilità verso Pechino.

La Santa Sede, dal canto suo, ha sempre rivendicato una diplomazia propria, autonoma da logiche di blocco. Eppure, la sua apertura verso la Cina è inevitabilmente osservata con attenzione da Washington, che teme un ulteriore indebolimento del fronte statunitense in asia.

In definitiva, la decisione di Lai segna un cambio di passo. Non è solo una questione di chi partecipa o meno a un funerale, ma un indicatore di come si stanno ridisegnando le sfere di influenza. Il Vaticano, da secoli abile giocatore sulla scacchiera internazionale, si trova oggi in una posizione delicata ma cruciale: può fare da ponte o da spartiacque tra due mondi che si contendono il futuro dell’Asia.

La Cina, dal canto suo, continua la sua marcia silenziosa, passo dopo passo, senza clamore ma con determinazione. E Taiwan, purtroppo, sembra oggi meno protagonista e più spettatrice di questo nuovo equilibrio globale.

 

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