Geopolitica
Il trionfo di Johnson, il tonfo di Corbyn: a sinistra si può solo perdere?
Ha vinto Johnson. Ha vinto Brexit. Ha vinto l’upper-class dalle capigliature paglierine che sa parlare alla working-class. Déjà vu, all’incirca. L’upgrade o il downgrade di Trump: ai postumi l’ardua sentenza.
Si teme l’effetto contagio, con i sovranismi di tutta Europa a impomatarsi, a farsi belli.
Si teme l’effetto domino, con gli annacquati di sinistra nostrani a trarre preziose lezioni, le solite. Quelle sull’annacquamento come unico rimedio possibile all’avanzata delle destre.
Lo dice Renzi, fedele seguace del blairismo e collezionista, dall’alto del suo 4%, di inestimabili chiavi di lettura della realtà: con il “metodo Corbyn” si perde. Mentre con il “metodo vocazione maggioritaria” sappiamo benissimo com’è andata…
Lo dice Romano (PD): “Le elezioni britanniche sono un monito anche per la sinistra italiana. Perché la catastrofica sconfitta di Jeremy Corbyn descrive tutta l’insufficienza di un programma fondato sulla cosiddetta ‘radicalizzazione dell’agenda politica’, sulla critica velleitaria al capitalismo, sul ritorno a ricette del passato che possono gratificare chi punta all’eroismo della sconfitta ma che sono del tutto incapaci a governare società complesse”. Peccato che, da sinistra, nessuno si sia accorto di questa svolta a sinistra della sinistra italica.
In fine, lo dice la stampa, la nostra stampa, che ha sempre una gran voglia di de profundis quando si parla di rosso, di allarmismo quando si parla di nero e di ineluttabilità quando si parla di ingegneri edili laureati con lode che fanno i netturbini, di un futuro ceto intellettuale che deve scegliere tra proletarizzazione e diaspora, specialmente al Sud.
Si fa eresia, in queste ore, nel sostenere che stiamo andando verso la controrivoluzione sovranista in virtù di una sinistra mancata. Che anche quando prova a ritrovarsi, vedi Corbyn, non ha più la credibilità o lo spessore per imporsi sul piano elettorale.
L’andazzo analitico post-disfatta-corbyniana preferisce suggerire la bellezza del partito ZTL, del populism chic, dell’orologio ideologico fermo agli novanta, dell’ossessione per il centrismo e dell’approccio acritico alla globalizzazione. Mentalità vincente.
“L’eroismo della sconfitta” è roba da massimalisti cascanti. La critica al capitalismo è “velleitaria”: si sa, il capitalismo appartiene alla metafisica, è imperituro. “Le ricette del passato possono gratificare” ma non sono spendibili nel “governare società complesse”: il Novecento e le sue celeberrime società semplici…
Insomma, parole che lasciano ben sperare. Non si sa chi, ma lasciano ben sperare. Di sicuro, non l’uomo dimenticato. Lui, sì, maggioritario. Stanco di praticare il dovere all’oblio e di farsi piacere a forza la retorica delle start-up.
Costui, dall’immaginario politico ormai arido, sente che il paradigma della figaggine del mercato onnipotente gli sta strozzando qualsiasi prospettiva esistenziale augurabile, dunque, cerca risposte, cerca alternative. E la destra queste risposte gliele dà. Sbagliate, furbe, semplicistiche, ma gliele dà. La sinistra, invece?
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