Geopolitica
Il migliore attacco agli USA: commodities in Yuan… e noi?
Molti gli eventi di rilievo che hanno animato questa settima sia sul piano nazionale che su quello internazionale, eventi caratterizzati pure da dichiarazioni foriere di sviluppi, decisioni e scelte che condizioneranno pesantemente il 2023.
Il presidente cinese Xi Jinping venerdì scorso a Riad ha dichiarato che la Cina e le nazioni del Golfo dovrebbero utilizzare appieno la Shanghai Petroleum and National Gas Exchange come piattaforma per effettuare il regolamento in yuan del commercio di petrolio e gas in quanto la Cina e gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) sono partner naturali per la cooperazione.
Le esatte parole di Xi, a tale proposito, sono illuminanti, soprattutto perché il Paese in cui le ha pronunciate -e che le ha accolte- è l’Arabia Saudita, un ‘alleato’ storico degli Stati Uniti d’America: “La Cina continuerà a importare grandi quantità di greggio dai Paesi del CCG, espanderà le importazioni di gas naturale liquefatto, rafforzerà la cooperazione nello sviluppo a monte di petrolio e gas, nei servizi di ingegneria, nello stoccaggio, nel trasporto e nella raffinazione, e sfrutterà appieno la Borsa del Petrolio e del Gas di Shanghai come piattaforma per il regolamento in yuan del commercio di petrolio e gas”[1].
Con il suo discorso, Xi ha quindi proposto altre aree di cooperazione per i prossimi tre-cinque anni, tra cui la finanza e gli investimenti, l’innovazione e le nuove tecnologie, l’aerospazio, la lingua e le culture e lo ha fatto con parole dal significato inequivocabile: “La Cina è disposta a portare avanti la cooperazione in materia di regolamentazione finanziaria con i Paesi del CCG, a facilitare l’ingresso delle imprese del CCG nel mercato dei capitali cinese, a creare un’associazione di investimento congiunta con il CCG e a sostenere i fondi sovrani di entrambe le parti a cooperare in varie forme”[2].
E noi ? Il vero problema qui da noi, in Italia come in Europa del resto, non risiede tanto nel cosa stiano facendo questo Governo o la Commissione Europea, o nel cosa abbiano detto la Premier Meloni o la Presidente von der Leyen, bensì nel perché lo stiano facendo, per quale scopo, per andare dove e a quale titolo.
Il libricino di Norberto Bobbio, tanto caro ad un certo giornalismo di maniera, quello pubblicato nell’ormai lontanissimo 1994 con il titolo “Destra e Sinistra”, per intenderci, credo dovrebbe andare in pensione, essere riposto in una bella libreria e lì di tanto in tanto spolverato per essere reso disponibile all’uso nel caso a qualcuno interessasse leggere dei miti italiani – e non solo italiani- del secolo scorso, infarcito come è, nonostante il pregevole desiderio di superarli, di luoghi comuni propri di chi per formazione, fede, cultura e tradizione ha passato la vita a leggere gli eventi politici dividendo gli attori in ‘Abeli’ e ‘Caini’ (anche se formalmente presentati nel testo come ‘Abeli/Caini’ gli uni e ‘Caini/Abeli’ gli altri) per quell’antonomasia figlia delle storiche pregiudiziali ideologiche che hanno avvelenato tutto il XX secolo e l’apertura del presente XXI.
Qui da noi, infatti, ancora si parla di destra e di sinistra, di liberalismo e del suo antagonista ideologico, di ‘valori Occidentali’, ma ho l’impressione (e non solo quella) che la Premier Meloni & Co. -allo stesso modo di quanti ancora ne scrivono sui giornali e ne parlano nei talk show dibattendo delle dichiarazioni, delle prese di posizioni e delle esternazioni della Presidente von der Leyen, di Putin, di Biden, di Xi Jinping… – non abbia la benché minima idea di cosa siano in realtà il liberalismo ed il marxismo, delle differenze tra il liberalismo anglosassone e quello nostrano, delle teorie economiche di von Hayek e di quelle di Keynes, delle critiche di Milton Friedman al pensiero di Keynes confluite nella definizione -scaturita dalla collaborazione con Edmund Phelps- del concetto del ‘tasso naturale di disoccupazione’[4], come pure delle posizioni dei Monetaristi e delle critiche a questi mosse da David Hackett Fisher… e di come quelle letture programmatiche della realtà non siano più applicabili acriticamente in un sistema globalizzato -e certamente non eurocentrico bensì policentrico- come quello in cui viviamo tanto come membri della UE, quanto come facenti parte di un sistema per lo meno quadripolare allargato, come quello in cui gli attori economici principali sono gli USA, la Cina, l’India, la Russia, i Paesi dell’ASEAN e relative, ove presenti, aree di influenza: tutti appassionatamente pianificanti politiche che poco o nulla, con la debita eccezione -a tratti- della Cina, paiono aver capito della realtà che credono di governare.
La riprova della correttezza di questa lettura dei fatti ci giunge dalla semplice considerazione della inutilità e banalità di certe prese di posizione. Che dire, infatti, degli States che minacciano la Cina -senza le cui terre rare possono dire addio alle loro elettronica, missilistica, green-chiacchiere varie e via discorrendo-, se non che fanno ridere tanto quanto quelle della Cina allorchè fa la voce grossa con Washington e l’Occidente senza domandarsi per chi, alla fine, produrrebbe tutto quanto l’ha resa la ‘fabbrica del mondo’ per antonomasia, ovvero senza avere ben presente che attualmente a fare da volano alla propria economia è proprio quell’Occidente che a gran voce Xi ha stigmatizzato e demonizzato a più riprese?
Idee strampalate? Non direi proprio: il presente conflitto in Ucraina mette in evidenza proprio questo: nessuno dei contendenti può fare a meno dell’altro, la Russia dell’Occidente e l’Occidente della Russia – e chi lo ha capito meno degli altri, l’Ucraina, sta facendo la misera fine che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Cosa voglio dire con questo? Che, per quanto ci riguarda più da vicino, il Governo Meloni, come quello che lo ha preceduto, vive di espedienti mediaticamente spendibili per dare contentini paraideologici ai suoi elettori, continuando per il resto a navigare con il paraocchi al pari degli altri leaders europei e, purtroppo per noi, non solo europei.
Le proteste in Cina hanno fatto da campanello d’allarme per Xi che prontamente, a quanto pare, ha mutato atteggiamento a differenza di quanto accaduto e sta accadendo da noi, dove il tirare a campare ed i beceri populismi la fanno da padroni.
È da questo tirare a campare che da noi discendono le scelte tanto dibattute sull’uso del denaro contante, le querelle sulle politiche inclusive e sul reddito di cittadinanza, quelle sull’innalzamento del tetto di applicabilità della flat-tax, sull’autonomismo regionale e via discorrendo: dettagli in un contesto politico popolato da personaggi che non sanno dove andare perché manco ricordardano da dove proviengono e conseguentemente non sono in grado di procedere alla definizione coerente e rigorosa di una pianificazione economica finalmente degna di questo nome.
È per questo tirare a campare che in Europa si continua a spingere il piede sull’ acceleratore di una Green Revolution quando palesemente manca la struttura energetica per sostenerla ed a breve emergerà pure la carenza delle materie prime necessarie per attuarla.
È da questo tirare a campare che negli Stati Uniti si marcia verso le Presidenziali del 2024 sull’onda dei populismi veteronazionalisti alla Trump, se non peggiori come quelli sostenuti dai Peter Thiel ed Elon Musk, tanto capaci come imprenditori quanto incapaci di leggere il presente ed i cambiamenti che un futuro non più a guida statunitense riserva a loro e ai tanti che come loro non hanno ancora compreso che lo zio Sam è oramai un Re Nudo.
In questo quadro è interessante notare, ad ulteriore riprova di quanto desolante sia la situazione attuale, che contro ogni logica degna di questo nome, ma all’insegna del pensiero monetarista dominante attuale, si prevede che la prossima settimana i funzionari della Federal Reserve aumenteranno il tasso di interesse di riferimento per combattere l’inflazione, usando ancora il termine ‘inflazione’ per evitare di impiegare quello più corretto di ‘stagflazione’, una stagflazione per giunta perseguita, per quanto assurdo possa apparire, proprio dalle banche centrali statunitense ed europea[5].
Qualche giorno fa, infatti, i funzionari della Federal Reserve hanno comunicato l’intenzione di aumentare il tasso d’interesse di riferimento di 0,5 punti percentuali nella riunione della prossima settimana -che dovrebbe avere luogo il 13 o il 14 dicembre- sottolineando che le elevate pressioni salariali potrebbero indurre la Fed ad incrementarlo ulteriormente e ben oltre i livelli più alti sin qui previsti dagli investitori[7].
Si noti che quest’anno la Fed, come riportato dal WSJ, ha aumentato i tassi al ritmo più veloce dall’inizio degli anni ’80 (anche di 0,75 punti in ciascuna delle ultime quattro riunioni) dichiaratamente per combattere l’inflazione e che un incremento più contenuto, quale quello indicato dal presidente della Fed, Jerome Powell, starebbe ad indicare l’inizio di una nuova fase di inasprimento della politica, in quanto si tratterebbe di calibrare l’aumento dei tassi in attesa di un allentamento nel 2023 delle pressioni sui prezzi così come atteso dai responsabili politici: tutto ciò sempre che una vivace crescita dei salari o un aumento dell’inflazione nei settori economici dei servizi ad alta intensità di lavoro non li induca l’anno prossimo a sostenere un aumento del tasso di riferimento al di sopra del 5% attualmente previsto dai mercati[8].
Ora un tale modus operandi ha palesemente dei riflessi sui rapporti di cambio con le altre valute, ovviamente al rialzo per quanto concerne la divisa statunitense. In particolare, per quanto ci riguarda più da vicino, la politica monetaria statunitense ha comportato un apprezzamento dello USD rispetto all’EUR, un Euro che, anche se da qualche settimana ha iniziato a riguadagnare una piccolissima parte del terreno perso nel corso del 2022, si sta mantenendo, non senza difficoltà, al di sopra della soglia di resistenza (attualmente indicata dagli analisti a quota 1,03).
In un tale contesto, anche se fino ai primissimi giorni di dicembre 2022 diversi analisti non hanno mostrato di temere dei forti scossoni ipotizzando perfino che nelle prossime settimane la divisa Europea si sarebbe potuta attestare su un target principale fissato a 1,05 (leggera tendenza di rialzo dell’euro dopo mesi di grande difficoltà), eco che con le misure in serbo della Fed tutto viene ad essere rimesso in discussione, con quello che ne consegue per noi europei sia per ciò che concerne i costi di approvvigionamento delle materie prime e delle fonti energetiche, che per quanto che riguarda la tenuta dei nostri conti pubblici.
È facile infatti intuire che, di fronte ad un rialzo dei tassi di riferimento americani, la BCE non potrà che agire di conseguenza per evitare un ulteriore incremento dello sbilanciamento in negativo della nostra bilancia commerciale gravata come è dagli alti costi delle importazioni di fonti energetiche dagli Stati Uniti che in questo momento traggono ovvi vantaggi dalla crisi energetica generata dalle sanzioni alla Russia da loro volute e, di fatto, imposte.
È proprio il caso di dire che mai come oggi il detto popolare “Dai nemici mi guardo io ma dagli ‘amici’ mi guardi Iddio” acquista una sua dimensione alquanto significativa.
La newsletter del Wall Street Journal del 10 dicembre 2022 analizza, poi, una grande preoccupazione per la calibrazione della politica monetaria americana dei prossimi mesi: l’aumento dei salari. Ad occuparsi della questione è stato chiamato in causa il giornalista economico del WSJ Gabriel T. Rubin che alla domanda:
“I funzionari della Federal Reserve sembrano sempre più preoccupati per la tenuta del mercato del lavoro e l’aumento dei salari. Perché è un problema importante?”
ha risposto (merita leggere con attenzione le sue parole):
“Il presidente della Fed Jerome Powell ha ripetuto più volte che i funzionari ritengono che le pressioni inflazionistiche possano essere ridotte attraverso un forte calo dei posti di lavoro disponibili piuttosto che attraverso un forte aumento della disoccupazione. La scorsa settimana ha citato alcuni progressi verso l’obiettivo di rallentare ma non far crollare l’economia. Ma ha detto che questo potrebbe essere insufficiente se le aziende non rallentano le assunzioni per bilanciare meglio la forte domanda di lavoro con la carenza di offerta di lavoratori” ed ancora: “L’opinione di Powell: Il mercato del lavoro ‘mostra solo timidi segnali di riequilibrio e la crescita dei salari rimane ben al di sopra dei livelli che sarebbero coerenti con un’inflazione del 2%’”[9].
A questo punto ogni commento appare quanto mai superfluo con la sola eccezione di una considerazione: non vorrei che qualcuno stesse pensando ad una guerra come ad un ragionevole mezzo per riequilibrare il tutto, così come fu ai tempi del II Conflitto Mondiale, per risolvere i problemi dell’America generati dalla crisi del 1929. Se le cose all’epoca funzionarono oggi gli esiti di una strategia del genere segnerebbe solo l’inizio di una crisi destinata a durare per almeno un secolo, a voler essere ottimisti.
[1] https://www.reuters.com/business/energy/chinas-xi-tells-gulf-nations-use-shanghai-exchange-yuan-energy-deals-2022-12-09/
[2] https://www.reuters.com/business/energy/chinas-xi-tells-gulf-nations-use-shanghai-exchange-yuan-energy-deals-2022-12-09/
[3] https://www.reuters.com/business/energy/chinas-xi-tells-gulf-nations-use-shanghai-exchange-yuan-energy-deals-2022-12-09/
[4] Il concetto di ‘tasso naturale di disoccupazione’ è quello che discende dall’idea di Milton Friedman per la quale l’eccessiva quantità di massa monetaria nel sistema economico non produce effetti reali sulla produzione ( disoccupazione ) ma soltanto effetti monetari (inflazione dei prezzi). In base a tale visione delle cose pensare di ridurre la disoccupazione adottando politiche espansive, caratterizzate da un abbassamento dei tassi di riferimento, sarebbe semplicemente sbagliato. Il tasso naturale di disoccupazione è pertanto quello che rappresenta un livello di disoccupazione che non può essere ridotto e che fa parte di ciò che è considerato normale in un’economia. Questo livello oscilla solitamente tra il 2% e il 5% e fa parte della disoccupazione frizionale della popolazione, il che renderebbe quello della piena occupazione un obiettivo assurdo in quanto inconseguibile. Attenzione però a confondere il neoliberismo con il monetarismo in quanto le due posizioni sono, per così dire, ‘ortogonali’ tra loro.
[5]https://economics.cmail19.com/t/ViewEmail/d/54E3AE3124A1A9E92540EF23F30FEDED/BD786F93873F39EAF99AA49ED5AF8B9E?alternativeLink=False
[6] https://www.wsj.com/articles/fed-could-pencil-in-higher-interest-rates-next-year-while-slowing-hikes-in-december-11670208857?wsj_native_webview=ipad&wsj_native_webview=ipad&ace_config=%7B%22wsj%22:%7B%22djcmp%22:%7B%22propertyHref%22:%22https://wsj.ios.app%22%7D%7D%7D&ace_config=%7B%22wsj%22:%7B%22djcmp%22:%7B%22propertyHref%22:%22https://wsj.ios.app%22%7D%7D%7D&ace_environment=iostablet,webview&ace_environment=iostablet,webview&ns=prod/accounts-wsj&ns=prod/accounts-wsj
[7] https://www.wsj.com/articles/fed-could-pencil-in-higher-interest-rates-next-year-while-slowing-hikes-in-december-11670208857?wsj_native_webview=ipad&ace_config=%7B%22wsj%22:%7B%22djcmp%22:%7B%22propertyHref%22:%22https://wsj.ios.app%22%7D%7D%7D&ace_environment=iostablet,webview&ns=prod/accounts-wsj
[8] https://www.wsj.com/articles/fed-could-pencil-in-higher-interest-rates-next-year-while-slowing-hikes-in-december-11670208857?wsj_native_webview=ipad&ace_config=%7B%22wsj%22:%7B%22djcmp%22:%7B%22propertyHref%22:%22https://wsj.ios.app%22%7D%7D%7D&ace_environment=iostablet,webview&ns=prod/accounts-wsj
[9]https://economics.cmail19.com/t/ViewEmail/d/54E3AE3124A1A9E92540EF23F30FEDED/BD786F93873F39EAF99AA49ED5AF8B9E?alternativeLink=False
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