Geopolitica

Il fuoco della rivolta in Kazakistan, con Russia e Cina alla finestra

6 Gennaio 2022

Le immagini che arrivano dal Kazakistan sono tremende. Il bilancio, solo parziale, se possibile ancora di più. Partiamo dalla cronaca, dai numeri rilasciati dalle autorità: i morti sono “dozzine”, più probabile centinaia, di cui 13 tra gli agenti di polizia, e almeno duemila gli arrestati solo nella città di Almaty, epicentro della protesta. Così come sono più di un migliaio i feriti, con centinaia di persone ricoverate in ospedale e decine nelle terapie intensive.

I soldati kazaki sono stati schierati in strada, con i fucili in pugno hanno sparato contro i manifestanti. Sono tre giorni che i colpi d’arma da fuoco echeggiano per le strade delle città più grandi del Paese, in particolare ad Almaty. Il problema – uno dei tanti, ma forse il principale – è che le armi ce le hanno anche i civili, dopo aver assaltato stazioni di polizia e averle sottratte ad alcune unità dell’esercito. Per questo le proteste hanno assunto un carattere molto violento. Le persone scese in piazza sono decine di migliaia, manifestazioni che fin da subito hanno avuto poco di pacifico, con prima gli scontri con le forze dell’ordine, poi veri e propri assalti ai palazzi governativi dati alle fiamme, saccheggi a negozi e banche, incendi di macchine e veicoli, anche l’aeroporto di Almaty è stato occupato per qualche ora. Lo stato di emergenza nazionale è stato attivato e il blackout della rete internet in quasi tutto il Paese rende difficile capire realmente cosa sta succedendo. Tuttavia, la dinamica più rilevante è l’arrivo dei militari russi in Kazakistan, in teoria come forze di peacekeeping, con l’obiettivo di stabilizzare la situazione e sedare le rivolte.

Riavvolgendo il nastro, torniamo indietro di qualche ora. Le proteste violente sono scoppiate martedì 4 nella regione occidentale del Mangystau, a seguito dell’innalzamento vertiginoso dei prezzi del Gpl, il carburante che serve ad alimentare circa l’80% dei veicoli usati dalla popolazione. Il governo aveva stabilito un tetto al costo del Gpl, per venire incontro alle necessità delle persone, ma quando il 1° gennaio ha deciso di toglierlo, i prezzi sono aumentati da 50 tenge (circa 0,11 dollari americani) a 120 al litro. Non è bastata la decisione frettolosa del governo di ripristinare il tetto massimo ai prezzi per altri sei mesi, per cercare di arginare il caos. Ma da che la scintilla è scoppiata per motivazioni economiche e sociali, via via che la gente si radunava è sfociata sempre più in rivolta politica contro il governo del presidente delfino Kassym-Jomart Tokayev e soprattutto contro la figura di Nursultan Nazarbayev, al potere per 30 anni, fino al 2019, e ora “padre della patria” e presidente del Consiglio di sicurezza. Alcune sue statue sono state abbattute e contro di lui sono stati gridati slogan dalla folla. L’81enne ex presidente è stato, ed è tuttora, grande alleato del russo Vladimir Putin. È considerato la figura principale del Paese, avendo governato per decenni, ed è accusato di autoritarismo pur avendo garantito un certo grado di pace e stabilità. Per intenderci, la capitale Astana è stata rinominata Nur-Sultan, in onore proprio di Nazarbayev.

Il presidente Tokayev, dopo aver sciolto il governo, ha chiesto pubblicamente il supporto dei Paesi dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto), cioè l’alleanza firmata nel 1992 dalle ex repubbliche sovietiche di cui fa parte anche la Federazione Russa. I primi soldati sono già arrivati in territorio kazako, e alcune fonti dicono che Mosca dispiegherà circa 3000 uomini, la Bielorussia 500, il Tajikistan 200 e l’Armenia 70. Non sorprende che il Cremlino abbia colto la palla al balzo anche perché Tokayev ha parlato di “bande terroristiche” mosse da forze straniere. Le truppe della Csto, in teoria, avranno il compito di difendere i palazzi statali. Dietro la rivolta, per la Russia c’è la mano di potenze esterne che stanno cercando di interferire in un territorio al confine con Mosca e per questo motivo vuole essere sicura di riportare la stabilità, conveniente al governo kazako e soprattutto a sé stessa e all’integrità della propria area di influenza, già alle prese con Ucraina e Bielorussia. Alcune preliminari analisi sottolineano il rischio per la regione settentrionale del Kazakistan di scivolare sotto il controllo dei militari russi, con la motivazione di riportare l’ordine.

Intanto anche l’Unione Europea si è fatta sentire, certo più timidamente. Il portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la Politica estera Josep Borrell con una nota ha invitato “tutti gli interessati ad agire con responsabilità e moderazione e ad astenersi da azioni che potrebbero portare a un’ulteriore escalation di violenza”. Da Bruxelles è arrivato anche un monito a rispettare la sovranità e l’indipendenza del Kazakistan. Dichiarazioni standard, che non sorprendono, vista la proverbiale poca iniziativa europea in questi frangenti. Anche gli Stati Uniti, con un comunicato, hanno condannato le violenze, ricordando la necessità del rispetto dei diritti umani, della libertà dei media, inclusa il ripristino del servizio internet.

L’altro attore interessato è la Cina, che tramite il portavoce del ministro degli Esteri Wang Wenbin ha auspicato una “rapida stabilizzazione” in Kazakistan. D’altronde Pechino ha un lungo confine con il Paese dell’Asia centrale e intense relazioni economiche, un partenariato strategico sottolineato dallo stesso portavoce. Wang Wenbin si è detto anche convinto che le autorità kazake sapranno risolvere in modo adeguato la vicenda. Pechino ha diverse industrie e imprese, in particolare nel settore energetico, in territorio kazako sui cui hanno già avuto garanzie di sicurezza dei servizi.

Peraltro, è da tenere sotto osservazione la questione bitcoin. In Kazakistan infatti risiedono circa 90mila società di crypto-mining, corrispondenti al 18% del mercato globale. Molte di queste factories, spinte da un atteggiamento locale accomodante, vi si sono trasferite dopo le recenti misure protettive della Cina sull’energia elettrica. Ora però con il blackout imposto di fatto dal governo kazako, che ha paralizzato anche le app di messaggistica e di social media, il mercato delle criptovalute ha subito un significativo crollo, per le difficoltà che stanno affrontando i cosiddetti minatori.

Insomma, la situazione in Kazakistan, tra l’altro un Paese enorme ricchissimo di giacimenti di idrocarburi e area di transito energetico, è tenuta sotto particolare osservazione dai grandi attori confinanti. È ancora troppo presto per capire come la vicenda evolverà, gli scontri continuano e purtroppo il triste bilancio dei morti e feriti è destinato a salire. Gli occhi del mondo, forse mai quanto oggi, sono vigili sul Kazakistan.

 

Foto: Esetok, Wikimedia Commons

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