Geopolitica

Il funambolismo disperato di Pedro Sánchez

22 Novembre 2023

16 novembre 2023: il leader socialista Pedro Sánchez del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) diventa per la terza volta il presidente del governo di Spagna. Dopo aver temuto per la sua carriera politica, pericolosamente in declino, in sei mesi riesce a compiere una sorta di miracolo, rovesciando le previsioni elettorali, pur non ottenendo la maggioranza dei voti. Ma il prezzo da pagare per rimanere alla guida del paese è molto alto, talmente alto che la Spagna democratica si risveglia all’indomani del voto con una frantumazione politica senza precedenti.

Se il risultato è anche frutto delle difficoltà del Partito Popolare incapace di coalizzare le forze minori, per Sánchez sono stati determinanti gli accordi separati con diversi partiti regionali, soprattutto le concessioni fatte agli indipendentisti catalani: un’operazione fortemente contestata e che continuerà nei prossimi giorni a far discutere. Ma andiamo con ordine.

Innanzitutto: come può un presidente essere eletto pur non ottenendo la maggioranza dei voti? Dopo le scorse elezioni di luglio, confronto nel quale nessuno dei candidati ha ottenuto la maggioranza necessaria per formare da solo un governo, Sánchez raggiunge il traguardo grazie al sostegno del “blocco delle investiture”, un accordo eterogeneo tra sinistra, nazionalisti e indipendentisti, concluso dal PSOE, che suscita grandi polemiche, un accordo reso possibile dal sistema monarchico parlamentare spagnolo.

 

La monarchia parlamentare spagnola

19 giugno 2014: La proclamazione del Re Filippo VI al Congresso dei Deputati[1]
La Spagna è una monarchia parlamentare, con un capo di governo (il primo ministro) e un capo di Stato (ossia il Re). Il parlamento spagnolo, ovvero le Corti generali, detiene il potere legislativo del Paese ed è di tipo bicamerale: la camera alta è il Senato di Spagna, con sede nel palazzo del Senato a Madrid, mentre la camera bassa è il Congresso dei deputati con sede nel palazzo delle Corti a Madrid. Il Re (o la Regina), eletto per discendenza, svolge principalmente un ruolo di garanzia: il suo potere è puramente simbolico, poiché tutti i suoi atti devono comunque essere controfirmati dal primo ministro, dai ministri competenti o dal presidente del Congresso dei deputati.

Attualmente i parlamentari sono 616, 350 nel Congresso dei Deputati e 266 nel Senato. Nelle elezioni generali non è eletto direttamente il presidente, ma un Parlamento, e sono i suoi membri a votare per la formazione dell’Esecutivo. Per essere investiti della presidenza è necessario il voto favorevole della maggioranza assoluta della metà più uno dei 350 deputati in un primo tentativo, o della maggioranza semplice (i “si” devono essere più dei “no”, non importa se ci sono assenti o astenuti) in un secondo tentativo.

Ed è per questo che lo sfidante del Partito Popolare (PP), Alberto Nuñez Feijóo, pur essendo il più votato ottenendo il consenso dei suoi 137 deputati, non riesce ad ottenere l’investitura per la mancanza di sostegno da parte degli altri partiti, soprattutto da Vox e dall’Unión del Pueblo Navarro (UPN): i voti a lui destinati si fermano a 171. Sostegno che invece non è venuto a mancare a Sánchez, che trasforma i suoi 122 voti in un totale di 179, 3 voti al disopra della soglia di maggioranza. Determinante l’appoggio espresso dal gruppo di sinistra Sumar – una coalizione formata da una ventina di partiti di sinistra -, dagli indipendentisti baschi e dagli indipendentisti catalani dell’ERC. Il presidente uscente è quindi di nuovo in sella, ma in un clima di contestazioni, soprattutto da parte del PP che considera l’investitura un tradimento della volontà popolare e che pretende il ritorno alle urne ottenuta svendendo l’intangibilità dell’unità territoriale e, quindi, tradendo la Costituzione.

Il raggiungimento dell’obiettivo da parte del Presidente è di fatto caratterizzato da un percorso molto articolato e sofferto, composto da una serie di passaggi ed accordi che mettono in risalto le problematicità di una legislatura che si apre non certo con i migliori auspici, ed è anche una novità nella politica spagnola. Siamo in presenza di una crisi che si è aperta prima del voto, come una improvvisa quanto grande voragine, già nelle precedenti elezioni generali di luglio.

Le elezioni di luglio

Il presidente del Partito Popolare, Alberto Núñez Feijóo, festeggia la vittoria elettorale del 23 luglio 2023[2]
I veri protagonisti – in negativo – delle elezioni del 23 luglio sono i sondaggi: mai come questa volta i pronostici vengono completamente traditi dalla realtà. La maggior parte delle proiezioni prevede un’ampia vittoria del PP, con oltre 140 seggi e il 34,5% dei voti, con un PSOE che perde 14 deputati e la somma delle destre di PP e Vox sopra i 176 seggi che segnano la maggioranza assoluta[3].

Nemmeno i sondaggi pubblicati la notte stessa delle elezioni (la legge elettorale prevede che i sondaggi non possano essere pubblicati a partire dall’ultimo lunedì di campagna elettorale, in questo caso cinque giorni prima delle elezioni) riescono ad attribuire correttamente i seggi a ciascuno dei partiti separatamente, malgrado correggano sostanzialmente il tiro assegnando a PP e Vox un range di 169-177 seggi: la stime per il PP è tra 145 e 150 seggi, ma il risultato sarà di 136, mentre per Vox la stima è tra 24 e 27 deputati, ma ne prenderà 33. Stessa cosa per il PSOE, visti al ribasso tra 113 e 118 mentre ne avranno 122. Fatto è che nessuno dei blocchi, sia di sinistra che di destra, raggiunge la maggioranza assoluta.

Il risultato è quindi una sorpresa per tutti, sia per il presidente uscente ma soprattutto per le opposizioni, con Santiago Abascal di Vox convinto di poter svolgere un ruolo cardine nel formare il governo con Alberto Núñez Feijóo: la perdita di 19 dei suoi 52 seggi lo condannano all’irrilevanza. Il crollo di consensi per Vox lo si spiega in gran parte dall’allontanamento di quell’elettorato appartenente a due feudi, Castilla e León, ma defezioni importanti si hanno anche in Murcia, in Estremadura come nella Comunità Valenciana ed in Andalusia[4]: unico fronte a reggere è la Catalogna.

I numeri però non danno ragione nemmeno a Pedro Sánchez che, il 25 luglio, getta la spugna: il Parlamento, anche nel secondo tentativo, non lo elegge, concedendogli soltanto 124 voti a favore e 155 contrari, 67 gli astenuti. Il sostegno dalle altre forze politiche non arriva, manca soprattutto l’appoggio di Unidas Podemos che chiede in cambio il controllo di diversi ministeri, richiesta irricevibile per Sánchez.

La legge prevede, in questi casi, una seconda votazione da tenersi il 27 settembre: dopo una serie di frenetici incontri, intensi colloqui e ricerca di accordi[5], si va di nuovo al voto ma, dopo aver perso la prima tornata del 27, anche il risultato della successiva tenutasi il 29 settembre, 178 contrari e 172 favorevoli, punisce il leader del PP Alberto Núñez Feijóo. Il voto nuovo viene fissato per novembre.

L’amnistia in cambio dei voti

Proteste a Madrid contro la legge sull’amnistia[6]
In un clima sempre più infuocato, nei negoziati tra partiti[7] spicca ormai la trattativa lanciata da Sánchez per ottenere l’appoggio di Junts per Catalunya – il partito indipendentista di Carles Puigdemont – attraverso concessioni contestatissime dalle opposizioni, tra cui l’amnistia per i reati commessi in relazione alla dichiarazione unilaterale di indipendenza e alla consultazione unilaterale tenutasi in Catalogna il 1° ottobre 2017[8].

Dopo mesi di discussioni e speculazioni, il 12 novembre il testo del disegno di legge dell’amnistia viene reso pubblico: la proposta prevede che le persone che hanno commesso crimini e sono state perseguite e condannate, saranno amnistiate per i reati commessi a partire dal 1° gennaio 2012, anno in cui iniziano a verificarsi gli eventi del processo di indipendenza, fino al 13 novembre 2023, e ciò riguarderà circa 400 beneficiari divisi tra 300 indipendentisti e 73 agenti di polizia[9].

I reati amnistiati saranno quelli di “di appropriazione indebita, terrorismo, nonché di disordini pubblici legati al processo di indipendenza” e riguarderanno coloro che “hanno prestato assistenza, collaborazione, consulenza di qualsiasi genere, rappresentanza, protezione o sicurezza a soggetti responsabili di condotte”; inoltre verrà concessa l’amnistia anche per i reati di usurpazione di funzioni pubbliche e quelli di disobbedienza e attentato e resistenza all’autorità. Saranno anche amnistiati “gli atti di sconsideratezza o di critica espressi contro autorità e funzionari pubblici” compiuti in manifestazioni e attività artistiche che rivendicano l’indipendenza della Catalogna[10]. Verrà escluso dall’amnistia chiunque abbia commesso atti intenzionali contro le persone, coloro che sono “condannati per reati di terrorismo e gli autori di torture e trattamenti inumani, purché superino una soglia minima di gravità, o coloro che hanno commesso reati di tradimento e contro la pace”[11].

Tra i primi graziati illustri vi sarà proprio il leader di Junts per Catalunya, Carles Puigdemont, colpevole, in qualità di presidente della Generalitat de Catalunya, di aver dichiarato l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna subito dopo l’esito del referendum del 1° ottobre 2017 (90% di “sì” con 2,2 milioni di voti e una partecipazione del 42%): come conseguenza Mariano Rajoy, l’allora Primo ministro spagnolo, si appella all’articolo 155 della Costituzione che prevede l’immediato commissariamento della Catalogna e la destituzione di Puigdemont e del suo governo[12]. Su di lui verranno emesse condanne per ribellione, sedizione e appropriazione indebita: ricercato dalle autorità spagnole, si rifugia a Bruxelles assieme ad altri quattro ex consiglieri e, malgrado il suo esilio forzato, per gli indipendentisti continua a rimanere il Presidente dell’autoproclamata Repubblica Catalana, anche senza una investitura formale[13].

La proposta provoca un’ondata di proteste legali, parlamentari e di piazza da parte della destra, dell’estrema destra spagnola e di vari gruppi come alcuni vescovi, associazioni di datori di lavoro, associazioni di giudici e della Guardia Civil, nonché associazioni di alti funzionari pubblici come gli ispettori fiscali e alcuni membri degli studi legali più elitari del Paese.

Proteste davanti la sede del PSOE al grido di “Puigdemont in prigione” e “Madrid sarà la tomba del Sanchismo”[14]
Il leader del Partido Popular, Alberto Núñez Feijóo, arriva ad affermare che i patti del PSOE con il movimento pro-indipendenza sono ancora più gravi del terrorismo del 23-F (noto anche come golpe Tejero del 23 febbraio 1981) o dell’ETA. Accusa il PSOE di aver violato il principio della separazione dei poteri, poiché con gli accordi il governo assumerebbe oltre al naturale potere esecutivo, anche quello legislativo e giudiziario, e violerebbe i principi basilari della democrazia. Lo accusa di “frantumare la Spagna”, di “colpo di Stato” oltre che di frode elettorale. Santiago Abascal, presidente di Vox, arriva addirittura a paragonare Sánchez ad Hitler[15].

Malgrado le contestazioni, Pedro Sánchez va dritto per la sua strada ed il 16 novembre gli accordi vengono sottoscritti, in modo che un nuovo governo abbia la maggioranza in parlamento: si chiude la fase più complessa e controversa dal ritorno della democrazia in Spagna apertasi il 23 luglio scorso. Ad appoggiare il PSOE ci sono i deputati della coalizione Sumar (con cui Sanchez è sceso a patti, promettendo loro la riduzione della giornata lavorativa da 40 ore settimanali a 37,5, oltre ad altri dettagli in ambito lavorativo[16]) ed i rappresentanti di tutte le forze nazionaliste sia indipendentiste che moderate: il presidente ottiene così 179 voti, 3 sopra la soglia minima, mentre il PP assieme a Vox e l’Union del Pueblo Navarro non vanno oltre i 171 voti.

Ma nell’accordo[17] con Junt per Catalunya oltre all’amnistia – approvato anche da ERC, la Esquerra Republicana de Catalunya[18] – vengono sancite altre misure molto importanti, tra cui a) l’espansione della partecipazione diretta della Catalogna alle istituzioni europee e ad altre organizzazioni ed enti internazionali; b) l’apertura al consenso di svolgere un referendum sull’autodeterminazione e sulla modifica della legge sul finanziamento delle comunità autonome; c) la cessione da parte dello Stato Spagnolo alla Catalogna del 100% delle tasse che si pagano nel proprio territorio; d) l’impegno di un ampio sviluppo dello statuto regionale approvato nel 2006 e di misure che permettano l’autonomia finanziaria della Catalogna e il suo accesso autonomo al mercato[19]; e) la remissione o riduzione del debito della Catalogna con il Fondo Autonomo di Liquidità (FLA) di 15.000 milioni di euro, una riduzione del 20% del debito che lo porta a circa 58.110 milioni rispetto ai 73.110 attuali[20].

È stata aperta una porta attraverso cui ora passano tutti i movimenti indipendentisti: Gli accordi raggiunti con il Blocco Nazionalista Galiziano (BNG), con la Coalizione delle Canarie (CC) e con i baschi nazionalisti e indipendentisti del Partito Nazionalista Basco e Bildu spaziano dall’espansione dei diritti dei lavoratori alla remissione dei debiti, al trasferimento di poteri o all’espansione delle risorse[21].

L’accordo con gli indipendentisti baschi del Partido Nacionalista Vasco (PNV) comprende trenta misure[22]: tra le più importanti l’impegno a far avanzare l’autogoverno basco con l’adempimento del trasferimento dei poteri pendenti stabiliti nello Statuto di Gernika[23] entro un periodo “non prorogabile” di due anni e anticipando nel futuro autogoverno: uno di questi trasferimenti in sospeso è quello della Previdenza Sociale[24]. C’è poi l’impegno sul “riconoscimento nazionale degli Euskadi (paesi baschi)”, la salvaguardia dei poteri baschi e un sistema di garanzie basato sulla bilateralità e sul rispetto dei diritti regionali dei territori baschi. C’è poi la promessa dei socialisti di modificare lo Statuto dei Lavoratori affinché i contratti di lavoro baschi prevalgano su quelli statali, una richiesta storica dei nazionalisti baschi. Inoltre verranno ampliati i poteri dell’Ertzaintza, la forza di polizia autonoma basca[25].

Un futuro complicato

 

Evoluzione degli indicatori economici tra la fine del governo Rajoy (2018) e il governo Sánchez (2022-2023)[26]
Non c’è alcun dubbio: dal 2 giugno 2018, giorno di insediamento del primo governo di coalizione guidato da Sánchez leader del PSOE, oltre all’economia in crescita e l’inflazione in diminuzione, tutti i maggiori indicatori sociali vedono un progresso positivo rispetto al precedente governo del PP, eppure in questi quattro anni l’opposizione non smette di dare filo da torcere al governo, accusandolo di essere illegittimo[27], un comportamento che limita fortemente il gioco democratico, degradando il dibattito e provocando una forte polarizzazione, clima a cui la Spagna non è avvezza: la normale dialettica governo-opposizione viene così trasformata in una costante campagna elettorale.

Questo clima ha contribuito a creare false aspettative e percezioni errate degli equilibri nei consensi. Ma il logorante atteggiamento barricadero delle destre, seppur premiato dagli elettori, fallisce inesorabilmente nell’arte dell’accordo, attività in cui Sanchez dimostra maggior maestria, anche se ad un caro prezzo. In queste ore, durante le quali le manifestazioni di protesta contro l’amnistia si moltiplicano, riempiendo vie e bloccando le autostrade, è in corso la messa a punto delle nomine di governo, tra le quali spiccano le donne, in numero maggiore rispetto agli uomini (12 a 10) oltre a quelle di quattro vicepresidenti donne. A Sumar vanno cinque ministeri[28].

Nei fatti si tratta di un governo di continuità, dove le politiche sociali rimangono le protagoniste. Ma il futuro di questo governo è tutt’altro che scontato, poiché dovrà costantemente trovare la quadra nelle richieste e nelle aspettative dei partiti di coalizione, ed i compromessi non si prospettano facilmente raggiungibili, con le opposizioni che non daranno certamente tregua e sfrutteranno ogni minima défaillance per ostacolarne il percorso.

Il sostegno dei partiti nazionalisti basco e catalano potrebbe influenzare le politiche del governo centrale sulle questioni dell’autonomia regionale e dei diritti culturali portando ad un ulteriore decentramento o comunque ad un cambiamento delle politiche di interazione del governo centrale con le regioni. Questo nuovo assetto rischia di accendere nuove sfide interne poiché la risposta dei cittadini alle politiche di sostegno agli indipendentisti non è affatto scontata. La sfavorevole congiuntura internazionale potrebbe complicare ulteriormente una crescita minacciata da un aumento progressivo della spesa pubblica, tema centrale nelle politiche sociali a cui Sanchez non ha alcuna intenzione di rinunciare.

Ma la forza dimostrata da Sánchez in tutti i suoi mandati sta proprio nella capacità di mediazione e di dialogo anche nelle situazioni più difficili. L’aperura all’indipendentismo catalano, vera novità di questa legislatura, potrebbe anche portare alla risoluzione definitiva di un conflitto imperituro, in piena rottura con i governi precedenti, come quello di Mariano Rajoy, per il quale l’indipendentismo catalano viene visto soltanto come una questione di ordine pubblico.

 

 

 

[1] https://www.abc.es/espana/casa-real/abci-monarquia-parlamentaria-mas-necesaria-nunca-202011031349_noticia.html?ref=https%3A%2F%2Fwww.google.com%2F
[2] https://www.infobae.com/espana/2023/07/23/fotogaleria-del-23-j-las-elecciones-generales-2023-desde-la-apertura-de-los-colegios-a-la-fiesta-o-el-duelo-en-las-sedes/
[3] https://www.rtve.es/noticias/20230724/fallan-encuestas-elecciones-generales-23j/2448077.shtml
[4] https://www.elmundo.es/elecciones/elecciones-generales/2023/07/24/64bd5dece85ecef82b8b45c9.html
[5] https://elpais.com/espana/2023-09-18/ultimas-noticias-de-la-investidura-de-feijoo-y-formacion-de-gobierno-en-directo.html
[6] https://www.bbc.com/mundo/articles/cgep52vpv5xo
[7] https://legrandcontinent.eu/it/2023/11/14/sanchez-e-lamnistia-la-spagna-ritrova-la-catalogna/
[8] https://www.bbc.com/mundo/noticias-internacional-50039937
[9] https://www.20minutos.es/noticia/5189952/0/las-dudas-certezas-ley-amnistia-que-pasara-con-puigdemont-se-incluiran-los-casos-corrupcion/
[10] https://www.20minutos.es/noticia/5189952/0/las-dudas-certezas-ley-amnistia-que-pasara-con-puigdemont-se-incluiran-los-casos-corrupcion/
[11] https://www.20minutos.es/noticia/5189952/0/las-dudas-certezas-ley-amnistia-que-pasara-con-puigdemont-se-incluiran-los-casos-corrupcion/
[12] https://www.enciclopedia.cat/gran-enciclopedia-catalana/carles-puigdemont-i-casamajo
[13] https://www.enciclopedia.cat/gran-enciclopedia-catalana/carles-puigdemont-i-casamajo
[14] https://elpais.com/espana/2023-11-10/pactos-y-negociaciones-para-la-investidura-de-sanchez.html
[15] https://www.lavanguardia.com/politica/20231115/9381095/abascal-compara-sanchez-hitler-cree-ley-amnistia-da-golpe.html
[16] https://www.rtve.es/noticias/20231024/reduccion-jornada-laboral-subida-salario-minimo-acuerdo-psoe-sumar/2459079.shtml
[17] https://www.newtral.es/wp-content/uploads/2023/11/231107-Acuerdo-PSOE-Junts.pdf?x73247
[18] https://www.newtral.es/erc-proposicion-ley-amnistia-psoe/20231102/
[19] https://www.newtral.es/wp-content/uploads/2023/11/231107-Acuerdo-PSOE-Junts.pdf?x73247
[20] https://www.rtve.es/noticias/20231113/precio-investidura-pactado-sanchez-cambio-votos-presidente/2460699.shtml
[21] https://www.bbc.com/mundo/articles/cgep52vpv5xo
[22] https://www.newtral.es/wp-content/uploads/2023/11/ACUERDO-PSOE-EAJ-PNV-101112.pdf?x73247
[23] https://www.euskadi.eus/contenidos/informacion/estatuto_de_gernika/es_def/adjuntos/competencias_euskadi.pdf
[24] https://www.rtve.es/noticias/20231110/claves-acuerdo-psoe-pnv/2460565.shtml
[25] https://www.rtve.es/noticias/20231110/claves-acuerdo-psoe-pnv/2460565.shtml
[26] https://legrandcontinent.eu/fr/2023/07/21/comment-la-droite-espagnole-est-devenue-trumpiste/
[27] https://legrandcontinent.eu/fr/2023/07/21/comment-la-droite-espagnole-est-devenue-trumpiste/
[28] https://www.newtral.es/nuevos-ministros-pedro-sanchez/20231120/

1 Commento
  1. Ricostruzione ad analisi corrette, ma ti faccio notare un’imprecisione. La votazione che riporti come del 25 luglio non è avvenuta in questa legislatura, ma nella precedente, quando il 25 luglio 2019 Sánchez non ottenne l’investitura né in prima né in seconda votazione (https://elpais.com/espana/2023-09-30/las-otras-investiduras-fallidas-del-eterno-bloqueo-de-2016-a-la-segunda-repeticion-electoral-en-2019.html). Il voto del 23 luglio 2023 non avrebbe potuto portare a un voto d’investitura il 25 luglio, perché ci vogliono alcune settimane per formare las Cortes e le consultazioni reali. In quest’occasione, il primo tentativo fu affidato dal re a Feijóo il 22 agosto (https://www.elindependiente.com/espana/2023/08/22/el-rey-designa-a-feijoo-como-candidato-a-la-investidura/) e questi si presentò all’investitura il 27 e il 29 settembre. Il riferimento a Unidas Podemos, che non si è presentato come tale a queste elezioni (lo ha fatto Sumar) conferma l’errore. Il riferimento al fatto che il PSOE abbia formato governo pur essendo il secondo partito non è poi sorprendente, dato che il termine abitualmente usato in Spagna “ganar las elecciones” attribuito al partito di maggioranza relative è un chiaro errore metodologico: in una democrazia parlamentare, forma governo chi è capace di costruire una maggioranza attorno a sè, per arrischiata che essa possa adesso essere, non chi arriva primo. Anche in Italia è stato sempre cosi, nella Prima e nella Seconda Repubblica.

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