Geopolitica

Il crollo dei grandi Stati Nazionali

29 Maggio 2020

Stati Uniti e Russia non sono più una spinta propulsiva per la storia umana, il potere residuo che detengono non è più basato sul consenso, tantomeno sugli ideali, più volte traditi ed umiliati, che dicevano di rappresentare. Il loro poteree si basa oggi solo sul ricatto e la brutalità, ed anche all’interno i governi di quei Paesi si reggono solo limitando sempre più gli spazi democratici. Quanto alla Cina, la democrazia non sa cosa sia. La speranza è nei piccoli Stati che hanno acquisito consapevolezza e sono stati capaci di emanciparsi e diventare essi stessi global players nel mondo che cambia

Il 29 maggio 1988, esattamente 32 anni fa, Ronald Reagan si è recato a Mosca per firmare, insieme a Mikhail Gorbaciov, l’accordo USA/URSS sullo smantellamento dei cosiddetti Euromissili che era stato negoziato nel dicembre dell’anno prima. Fu una decisione importante, l’ultima volta in cui i colossi decisero sulla vita di noi Europei e dei popoli del Medio Oriente (nell’accordo c’era anche il ritiro sovietico dall’Afghanistan). Oggi il mondo è profondamente cambiato ed infatti Donald Trump, che invece di occuparsi di politica si fa gli affari propri (spesso sporchi), cerca di trasformare gli Stati Uniti in una sanguinosa dittatura ariana, ed usa la politica estera per fare propaganda interna, ha cancellato quell’accordo nell’agosto dello scorso anno.

Trump minaccia tutti. Minaccia la Cina di ritorsioni a causa del COVID-19, minaccia noi Europei per i dazi doganali, minaccia i Sudamericani perché si ostinano a volere l’indipendenza, manda l’Esercito a sparare ai propri cittadini che protestano perché hanno fame, hanno freddo, non hanno soldi, non hanno copertura medica e vengono trattati come insetti dalla Polizia. Mai il Governo di Washington è stato debole come adesso, mai negli ultimi 200 anni. Infatti la Cina ride delle minacce sull’embargo e si appresta a dichiarare guerra a Taiwan ed imporre misure dittatoriali drastiche su Hong Kong – e nessuno farà nulla. Non perché Pechino sia troppo forte, ma perché tutti gli altri sono troppo deboli e non riescono a controllare più nemmeno il proprio territorio nazionale.

Un nuovo polo industriale hi-tech giapponese appena aperto a Dhaka

La Federazione Russa, gli Stati Uniti, il Brasile, l’India, l’Indonesia, il Messico, l’Australia, l’Arabia Saudita, la Turchia, sperimentano tutti una svolta profondamente sciovinistica ed anti-democratica interna; mentre nel territorio dell’Unione Europea, a parte una Angela Merkel, sempre più debole ed isolata anche all’interno del proprio partito, si continua a perdere la chance di contare qualcosa perché siamo tanti, siamo ricchi ed abbiamo comuni radici culturali, sociali, economiche e religiose; mentre accade tutto ciò, i “piccoli” risolvono i propri problemi e cercano, dove possibile, di aiutare gli altri. Non colonizzandoli, come fanno i Giganti dai Piedi d’Argilla, ma sostenendone lo sviluppo integrato.

Oggi i Paesi che remano con chi porta la pace, chi sponsorizza la ripresa economica, chi cerca (tra mille contraddizioni, a volte gravi) di costruire una cittadinanza consapevole e padrona del proprio destino (quindi democratica), sono Paesi piccoli, se non piccolissimi. I grandi cambiamenti e le grandi speranze partono oggi da Paesi finora considerati irrilevanti o in crisi. Quali sono oggi le nazioni che si stanno riprendendo meglio dalla pandemia? Secondo i dati della CIA (quindi di un osservatore interessato, fazioso e certo non particolarmente amante degli Stati minori) sono quelli che sono riusciti a gestire la crisi finanziaria grazie ad un regime fiscale competitivo ed un accordo politico sul trasferimento dell’energia disponibile da investimenti speculativi (individualistici) ad investimenti di riconversione industriale (collettivi). Quindi il Giappone, il Vietnam, il Brunei, il Qatar, il Kuwait, la Norvegia, l’Islanda, il Ruanda, Singapore e Taiwan.

Kigali, capitale del Ruanda, una delle più belle, civili e culturalmente attive città del mondo

La politica di questi Paesi ha alcuni fattori strategici comuni: a) la crisi pandemica, che ha messo comunque in ginocchio il mercato del lavoro, l’industria, il turismo, la logistica e le banche, è stata usata per concentrare gli sforzi su un unico obiettivo sensato: riconvertire l’industria, chiudere quella obsoleta, puntare sulla protezione ambientale, su nuove forme di istruzione ed educazione popolare, sull’alta tecnologia e sulla robotizzazione, sull’investimento culturale, sull’energia rinnovabile, su politiche di integrazione interrazziali ed interreligiose, sullo sport;

b) mentre i grandi Paesi si sono trasformati o si stanno trasformando in dittature, perché non sono più in grado di “pagare” la rinuncia alla libertà con il benessere, e perché le oligarchie del sistema industriale obsoleto sono  più potenti della politica, i piccoli offrono la libertà in cambio della partecipazione: più impari, più sei libero, più ti sosteniamo economicamente, più ti aiuteremo a sentirti parte di un’onda montante, in cui i più veloci aiutano i più lenti, che sostituisce il nazionalismo omofobo e xenofobo con l’orgoglio nazionale. Il programma di ruicostruzione nazionale del Giappone è un esempio strepitoso, solidale e lungimirante – il Governo è pronto a far chiudere gran parte dell’industria automobilistica, se non passa all’ibrido ed all’elettrico, e misure simili sono state prese per l’edilizia, l’energia, i trasporti, la logistica, l’industria pesante, che si converte in industria di precisione ed alta tecnologia;

Il grande Ponte d’Oro di Cầu Vàng, vicino a Đà Nẵng (Vietnam)

c) mentre i Grandi Paesi sono diventati incapaci di decidere, quelli piccoli decidono subito e mantengono la barra dritta anche nelle acque mosse del contrasto delle lobbies internazionali; d) mentre i Grandi Paesi  minacciano, sostengono gruppi terroristici, combattono battaglie mediatiche basate sull’infangare gli altri, reprimono e ricattano, i piccoli Paesi investono in solidarietà internazionale – come il Qatar, che ha speso miliardi di Euro per infrastrutture ospedaliere e sostegni farmaceutici per aiutare 26 nazioni in difficoltà (https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/gulf-and-arabian-peninsula/covid-and-gulf-foreign-policy) – quello che una volta facevano gli Americani, ed ora non fanno più. Del resto, anche le organizzazioni transnazionali, come l’ONU, la FAO, l’UNICEF e l’OMS, ora che gli Americani mostrano solo il lato più duro e brutale del loro atteggiamento internazionale, e le controparti si adeguano, perdono peso, rilevanza, indipendenza, autorevolezza, incisività.

Questa evoluzione era stata prevista dal filosofo austriaco Leopold Kohr, che nel 1957 aveva pubblicato un saggio interessante e più che mai attuale dal titolo “Il crollo delle Nazioni”. Kohr ricorda, ad esempio, che la più grande produzione culturale italiana e tedesca c’è stata quando avevamo una comune cultura (sia noi che loro), ma nessuno Stato nazionale. L’Italia ha riunito il territorio culturale e geografico solo nel 1870, la Germania un anno più tardi. Il che non vuol dire che l’Unione Europea sia un danno ed una follia, ma che la formula sia nel sistema federativo multi-partitico scelto dai tedeschi, e non quello USA, nel quale le lobbies sono al di sopra delle leggi ed il governo federale è apertamente ostile ai singoli Stati. Anche in economia, la nascita delle grandi concentrazioni multinazionali monopolistiche ha portato alla fine della democrazia, dell’emancipazione democratica del Terzo e del Quarto Stato, e poi a disumane guerre di conquista.

Ma la globalizzazione ha cambiato i termini del problema. Fino al 1990, per paura di una guerra nucleare, abbiamo accettato di vivere in Stati nazionali a sovranità limitata ed alla divisione del pianeta in due blocchi apparentemente equilibrati e contrapposti. Oggi, Cina, USA ed URSS continuano a cercare di imporre lo stesso sistema che, per sua natura, opprime lo slancio economico, culturale, sociale, politico, e promuove l’odio, la paura e la miseria. Chi rema contro, nella direzione indicata da Kohr alla fine degli Anni 50, parla di Catalogna libera, di Padania libera, ha spezzato la Cecoslovacchia e la Federazione Jugoslava. Oggi, invece, abbiamo bisogno di movimenti di pensiero che vadano nella valorizzazione democratica, nell’assegnazione di peso specifico, sia in diplomazia che nel commercio internazionale, che possano premiare Paesi piccoli, ospitali, a cultura integrativa, e proporre questi come modelli da seguire. Il Fondo Monetario Internazionale è uno strumento di oppressione, il sistema delle charities e delle joint-venture tecnologiche del Giappone, del Vietnam, del Qatar, di Taiwan, dell’Islanda e del Ruanda vanno nella direzione contraria – quella giusta.

Uno dei quattro ospedali da campo mobili inviati dal Qatar per aiutare il sistema sanitario italiano

Bisogna aiutarli, specie in ciò che hanno di più difficile, ovvero liberarsi del senso di accerchiamento, anche culturale, ma farli sentire parte propulsiva di un nuovo modo di vivere sul Pianeta. Soprattutto il Ruanda è ancora “schiavo” di un regime maschilista, omofobo e con gravi compromissioni diplomatiche. Ma queste sono le stanze di un potere politico che è stato da tempo superato dalla popolazione e dalla spinta economica e sociale che è riuscita ad imporre.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.