Geopolitica
I risultati elettorali confermano l’eccezione Tedesca
La giornalista Christiane Hoffman ha seguito per anni il cancelliere in pectore Olaf Scholz per il settimanale Der Spiegel. Ai microfoni del podcast EU Confidential, non esita a definirlo come un uomo pragmatico, dedito al lavoro, con un bassissimo carisma e un soprannome imbarazzante, “Scholzomat”, per il suo modo di ripetere, come un “automa”, le frasi a difesa dell’allora cancelliere Gerhard Schröder. Ride a crepapelle dopo aver raccontato scherzi e aneddoti che solo lui trova divertenti. In pratica, nessun partito al mondo sognerebbe di farsi guidare da un tale profilo, eccetto che in Germania.
Nel resto del mondo sorgono leader populisti, estremisti carismatici, di centro, sinistra e destra, mentre in Germania si attua una placida convergenza verso la moderazione. Gli anziani preferiscono i volti rassicuranti dei due vecchi partiti di massa, i giovani si scoprono ambientalisti nelle grandi città e a favore della libera impresa e contro le tasse nelle campagne. L’unica eccezione sono i territori rurali della Turingia e della Sassonia, il profondo est dove i populisti di destra di Alternativa per la Germania sono primo partito e resiste la sinistra massimalista Die Linke.
La moderazione potrebbe essere frutto dell’egemonia esercitata dal paese negli ultimi anni. Trenta anni fa, il modello tedesco era denigrato per le giuste forme di tutela operaia, che venivano additate con termini spregiativi come “rigidità del mercato del lavoro”. Il 3 giugno 1999, l’Economist parlò della Germania come il malato dell’Euro. Oggi il paese detta le sue condizioni al resto d’Europa.
Dalle riforme del lavoro durante la cancelleria Schröder, al lungo cammino di Angela Merkel, i l’esternalizzazione dei contratti ha creato una generazione di precari dai salari bassi. L’occupazione e la produttività sono impennate, mentre il basso costo della manodopera ha condotto a un incredibile surplus commerciale. Una storia di successo che ha avuto come contropartita l’impoverimento della classe medio-bassa.
La necessità di eleggere un cancelliere pragmatico, nasconde il malumore sotto la sabbia. Difatti, la leadership dei candidati è meno monolitica di quel che appare. Armin Laschet, candidato del partito di centrodestra CDU è stato avversato prima dal populista Friedrich Merz e poi dal governatore bavarese Markus Söder. Il primo è un avvocato e politico di lungo corso che, malgrado una piattaforma piuttosto pragmatica, ama inveire contro la stampa, le donne, gli immigrati e gli omosessuali. Il secondo è influenzato dal clima bavarese, territorio cattolico per eccellenza, spesso più in sintonia con il sud Europa che con l’estremo nord.
Lo stesso Scholz non rappresenta l’anima del centrosinistra. Grazie alla sua esperienza, è stato in grado di unire un corpo elettorale estremamente diviso e di far accettare la propria candidatura centrista a una leadership più spostata a sinistra. In campagna elettorale, Scholz ha tenuto un profilo più a sinistra rispetto alla sua carriera di segretario della SPD, sindaco di Amburgo e ministro delle finanze. Ha promesso un salario minimo, ha parlato di incrementare la spesa pubblica e ha ipotizzato chiaramente la possibilità di coalizzarsi con la Linke.
Malgrado lo spostamento a sinistra della sua piattaforma, è stato percepito come il più credibile erede di Angela Merkel agli occhi della fascia più anziana della popolazione. Al contrario, il candidato di centrodestra è apparso sempre meno adeguato, soprattutto dopo che il Nord Reno Westfalia, lo stato che governa, è stato flagellato dalle alluvioni estive. La foto rubata mentre sghignazza ha moltiplicato i malumori causati dagli aiuti intempestivi e dalla prosecuzione della campagna elettorale mentre i suoi concittadini erano ricoperti di fango. Scholz ha così raccolto voti in uscita sia dalla CDU che dalla Linke, facendo diventare la SPD il primo partito. Per governare, servirà comunque una coalizione tra tre partiti.
Se fossimo in Italia, i due contendenti Scholz e Laschet si proclamerebbero entrambi vincitori, proverebbero ad annientarsi a vicenda, fino a decidere che nessuno dei due può diventare cancelliere. Si accorderebbero per una coalizione Kenya, composta dal nero della CDU, il rosso della SPD e il verde. Un esponente ambientalista diventerebbe cancelliere, non certo Annalena Baerbock uscita malmessa dalle urne, ma Robert Habeck, il co-leader del partito, più stimato dai partiti tradizionali.
Sarebbe forse una soluzione innovativa, che continua la stabilità della grande coalizione, con un aspetto moderno e un taglio ambientalista. Ma la Germania non è l’Italia. Per i tedeschi il responso è chiaro, il cancelliere deve essere uno dei candidati. I verdi e i liberali sanno che rappresentano l’ago della bilancia. Per questo si stanno mettendo d’accordo per trovare una quadra prima di negoziare le loro condizioni con i due partiti principali. Si profila quindi una coalizione semaforo, a cui al rosso e al verde si aggiunge il giallo dei liberali. Una coalizione dove i tre partiti limiteranno a vicenda le loro ambizioni e le loro velleità, nel nome della moderazione e della continuità.
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