Geopolitica

Tra speranze tradite e le minacce del provincialismo sovranista

2 Dicembre 2024

Il provincialismo della visione antieuropeista di alcuni è veramente imbarazzante. Ma è più diffusa che mai, e non solo in Europa, in questo secolo ormai non più nuovo e già invecchiato, male.

In genere, in tutto il mondo, dopo essersi aperti a una globalizzazione e a un ottimismo per il progresso, oggi si tende a richiudersi nuovamente.

Eppure l’Unione Europea, da molti salutata come il trionfo della luce sull’oscurantismo, ha prodotto degli effetti positivi sotto diversi punti di vista. Anche quegli stati che prima facevano parte del Patto di Varsavia, a poco a poco, sono voluti entrare, eccome, in questo continente unificato dove la gente circolava liberamente senza controlli alle frontiere, dove se uno stava male in un altro stato andava in ospedale e non pagava nulla per la convenzione tra i vari paesi, dove chi voleva studiare e lavorare in un paese che non fosse il proprio ormai era di parecchio facilitato rispetto al passato.

Eppure oggi più che mai ci sono forze regressiste che combattono quest’idea di una casa comune per tutti e vorrebbero privilegiare il proprio cortile rispetto a una terra condivisa. Sono soprattutto le destre a idealizzare il proprio stato, la propria nazione, la propria patria. Infatti si chiamano i Patrioti, non capendo assolutamente nulla di cosa significhi, oggi, patria.

Tra Salvini, Le Pen, Vannacci, Orbán e altri bei soggettini i nemici di questa casa comune non sono così innocui, perché nei rispettivi paesi governano (tranne Le Pen, per ora) o hanno, comunque, una discreta rappresentanza parlamentare con un peso non indifferente.

Questa chiusura a riccio proviene dalla paura. Soprattutto dalla paura di perdere il “benessere” così faticosamente conquistato dopo la Seconda Guerra Mondiale, con grandi sacrifici, grandi emigrazioni, grandi rinunce, e l’abitudine al “benessere” ha in qualche modo inquinato le speranze di un futuro che s’immaginava roseo, in avanti, impossibile tornare indietro, il “progresso” va solamente in una direzione. È una paura iniettata demagogicamente dalla politica, naturalmente, non è reale. Se alcune condizioni sono cambiate per i lavoratori è il frutto di scelte politiche, di cambiamento della tecnologia, di obsolescenza, di prospettive nuove, e così via. I conservatori usano sempre lo spauracchio della nostalgia. Nostalgie mal interpretate, per lo più.

La grande illusione.

La globalizzazione, così caldeggiata da tutti, per scopi puramente economici di grandi gruppi di produzione a livello planetario, ha mostrato le sue falle. L’illusione che la globalizzazione, costruita su modelli di capitalismo sfrenato, fosse progresso puro ha fatto ignorare che sarebbero potute esserci inevitabili crisi, politiche, economiche, sociali, ambientali, culturali. È proprio per com’è strutturata codesta globalizzazione che profonde crisi avvengono. Quando ci sono disuguaglianze abissali tra le varie parti del mondo è pura illusione che possa esistere un metodo che valga per tutti.

Una metafora che può rendere l’idea della falsità di una globalizzazione così concepita è quella climatica. Il clima, che non conosce confini politici né fisici, coinvolge l’intero pianeta e, se un oceano è contaminato le correnti marine spargono la contaminazione dovunque.

Alla stessa maniera se ci sono stati autocratici, dittatoriali, teocratici e democrazie è un po’ difficile globalizzare perché, alla fine, la coperta viene tirata dal più forte lasciando scoperto l’altro. L’esempio agghiacciante di un Afghanistan tornato di botto al medioevo dopo una breve parentesi di luce vale per tutti ed è una vergogna dell’Occidente, degli Stati Uniti soprattutto.

Gli Stati più importanti del pianeta, oggi, hanno la forte tentazione di tornare indietro e i politici di turno, grazie anche a una tecnologia che, coll’uso che ne è stato fatto, ha rimbambito le masse, sono riusciti a catalizzare un pensiero regressista e protezionista, di costruzioni di reticolati, di muri, di barriere che vanno contro la Storia, o che riportano a periodi dove le certezze erano fintamente più definite: ossia si sapeva chi erano i buoni e chi i cattivi.

La visione manichea del bene e del male ha sempre funzionato nell’opinione pubblica. In fondo è un sistema binario, che è alla base, se vogliamo estendere il concetto, della realtà digitale: 0 e 1. Ed è una visione piatta, senza possibilità di profondità, perché è bianco o nero, i colori sono contenuti tutti nel bianco, per sintesi additiva, o sono assenti nel nero, per sintesi sottrattiva. Ci sono ma non si notano, niente sfumature, luce o tenebra. Il calcolo è freddo, non c’è umanità nel calcolo. È vero che il sistema binario sembra offrire infinite possibilità. Sembra. Ma, sebbene abbia fatto progredire tutto a una velocità mai sperimentata nella storia dell’uomo, contiene in sé il germe dell’autodistruzione che sta nella stanza dei bottoni.

È più facile, più comodo, accettare una visione siffatta perché non comporta che una scelta semplice, senza perdite di tempo per le infinite sfumature che la realtà, che è ben più complessa, offrirebbe.

La visione binaria è sempre più popolare, tornando all’Europa unificata.

Personaggi come Orbàn o Salvini vorrebbero chiudere tutti i confini per rimanere soli a cantarsela e a suonarsela e probabilmente farsi i cicchetti nel bar della piazza del paese, parlando di calcio, di gnocca e del piatto locale. Perché rassicura di più le persone nella provincia, escluse dai tumulti culturali metropolitani, che hanno paura che lo straniero venga a rubargli la moglie, le palanche, il lavoro. La visione periferica e manichea di tutti costoro, cavalcata dai politici, fa regredire la società e risveglia pregiudizi e orrori che pensavamo ormai superati. Anche il Regno Unito, soprattutto quello delle contee di campagna, seguendo le sirene di Farage, ha preferito sganciarsi dall’UE. Facendo un errore clamoroso.

La chiusura a riccio riguarda tutti. Basti vedere gli esempi più eclatanti: i nuovi Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin. Ognuno vorrebbe proteggere il proprio orticello ma sfugge un particolare. La globalizzazione, da tutti voluta con ardore, ha comportato la crescita di reti internazionali di produzione così ingarbugliate che risulta impossibile tornare indietro o, almeno, tornare indietro senza lasciare un’interminabile lista di morti e feriti, in tutti i continenti.

Oltre al fatto che queste nuove chiusure a riccio non fanno altro che acuire problemi sociali e culturali antichi, fatti di storie di campanile o di terre promesse o di antichi imperi ormai superati, strumentalizzate attraverso le religioni monoteiste. Le Crociate, insomma. Le abbiamo già viste, basta, grazie.

Cosa deve fare adesso l’Europa davanti all’invasione russa dell’Ucraina, che rappresenta il sogno imperiale di un Putin psicopatico fuori dalla Storia? Ci sono varie possibilità.

O si stacca dall’ala protettrice degli Stati Uniti, che hanno concesso solamente a Francia e Regno Unito di avere le armi adeguate per combattere l’Impero del Male, e si organizza per una difesa comune in funzione antirussa, ma che potrebbe essere anche anticinese o anti qualsiasi potenza, ritrovando un’unità che sembra stia in costante pericolo grazie ai sovranisti e patrioti di ogni paese, oppure…

Oppure si disgrega e ognuno decide con quale potenza stare, senza che l’invasione dell’Ucraina abbia portato alcun vantaggio a nessuno.

La guerra, più che manifestazione di forza lo è di debolezza. Putin è alla frutta, ha bisogno dell’aiuto dell’Iran e della Corea del Nord, altri stati canaglie, da solo non ce la fa a contrastare l’imprevista e orgogliosa resistenza ucraina. E agita lo spettro della guerra nucleare totale per far paura, soprattutto all’Europa.

Sting, nel suo brano Russians (1985, quarant’anni fa!) rifletteva dell’isteria retorica bilaterale, ma soprattutto russa, di una volontà distruttiva totale. E sperava che “I hope the Russians love their children too”, spero che anche i Russi amino i loro figli. Non è cambiato nulla? Sì, qualcosa è cambiato, ossia che a Putin non importa di aver perso al 1° novembre 2024, dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, 696.410 soldati. Settecentomila figli dei russi, principalmente giovani, generazioni intere spazzate via nel nome di un sogno imperiale. Tra questi settecentomila giovani chissà quanti cervelli, medici, artisti, scienziati, potenzialmente utili per il mondo, e anche per la Russia, ci saranno stati. O anche solo poveri cristi che cercavano di mettere insieme il pranzo colla cena, di organizzarsi una vita, a diciotto anni. Sting è stato smentito.

Salvini, che continua a stare dalla parte di Putin, anche se ultimamente ne parla poco perché ha visto che perde voti, non si rende mica conto di quest’eccidio voluto dallo zar. Settecentomila giovani. La popolazione di una città come Genova azzerata, un territorio completamente distrutto, contaminato da componenti tossici delle armi, campi minati, e una quantità d’odio accumulata tra russi e ucraini che nemmeno tra un secolo sarà sopita.

Si vede quanto possono durare gli odî etnici e religiosi, per esempio, in Palestina. Millenni.

Questo è il mondo che l’Europa si trova a dover contrastare con una sua presenza deterrente, forse non per Putin che ormai è partito per la tangente insieme al presidente nordcoreano, ed è per questo più pericoloso, ma per chi verrà dopo di Putin, sebbene il suo cerchio magico non prometta successori saggi. Noi, peraltro, non abbiamo idea di come la pensi nella realtà l’opinione pubblica russa, disinformata e repressa com’è dallo zar e dai suoi giannizzeri.

I pacifisti a oltranza, che ne pensano? Che per ottenere una pace con questi elementi fuori controllo ci voglia un argomento persuasivo dialettico, tipo mettete dei fiori nei vostri cannoni, oppure una dimostrazione di forza potenziale e organizzativa come deterrente? Nella Guerra Fredda ha funzionato, sebbene ci fosse sempre stato il pericolo di una deriva schizofrenica da parte dei due contendenti, però non si è mai arrivati a uno scontro su un paese terzo come l’Ucraina, un paese europeo peraltro, povero capro espiatorio dei deliri imperialisti di un malato di mente.

Oggi la schizofrenia è ancora più accentuata e quando il virus corre al cervello si è visto, nel passato, cosa è successo, il Führer, il Duce e l’Uomo d’Acciaio da soli hanno causato catastrofi. Tutto dimenticato.

Le speranze di Sting sembrano mal riposte, oggi.

 

 

 

 

 

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