Geopolitica
Hilarion Capucci, una vita sul filo, tra la causa palestinese e quella di Assad
Hilarion Capucci è morto ieri, a Roma, all’età di 94 anni. Se ne va, con lui, una figura più che controversa, nota per aver subito condanne per contrabbando d’armi da parte di Israele ed essere stato celebrato come un eroe di guerra da parte di Siria e Iraq. Si è sempre dichiarato sostenitore della causa palestinese e dell’Olp, non ha mancato di mostrarsi vicino alla rivoluzione di Khomeini in Iran e, recentemente, a Bashar Assad, presidente della sua patria natìà. Questa mia intervista a Hilarion Capucci è stata originariamente pubblicata dall’Europeo il 22/01/1988.
Quant’è difficile affrontare le vicende mediorientali cercando di non cadere vittime delle mille emotività e del bombardamento psicologico che da sempre accompagnano questa tragica contrapposizione fra palestinesi e israeliani. Perché mentre si attraversano le strade di Roma, per andare a incontrare un arabo che dice di voler parlare di pace, non si può fare a meno di meditare sulle decine di scritte murali che minacciano di far pagare agli ebrei le azioni di Israele. Perché le vie sono inondate di slogan antisemiti. Perché quest’uomo che dice di voler parlare di pace è un prete la cui storia è piena di ombre, di sospetti. Perché il rabbino Toaff lo definisce un terrorista e lo stesso Vaticano si è spesso trovato in imbarazzo nel dover prendere atto di molti suoi comportamenti. Comunque, il fatto è che monsignor Hilarion Capucci, all’inizio del suo sciopero della fame durato 15 giorni, aveva lanciato un appello affinché cristiani, ebrei e musulmani di buona volontà cercassero insieme un dialogo di pace. E messaggi di tal genere non si possono lasciar cadere nel nulla.
Eccoci, dunque, a registrare le dichiarazioni del sessantaseienne vescovo melchita di Gerusalemme, amico fraterno di Yasser Arafat e membro onorario del Consiglio nazionale dell’Olp, arrestato dagli israeliani (1974) perché sulla sua Mercedes con targa diplomatica erano nascosti ingenti quantitativi di armi e di esplosivo e, successivamente (1977), espulso dal paese.
Monsignor Capucci, col suo appello lei ha spostato su un piano religioso un problema che è squisitamente politico. Non crede che il terreno religioso invece di favorire un processo di pace lo possa, anzi ostacolare?
Lei mette sullo stesso livello la religione e il fanatismo. Ma ciò che è fanatico non è religioso. Nelle recenti rivolte delle popolazioni nei territori occupati il fattore integralista è assente, non esiste nel modo più assoluto. Ma, d’altra parte, da noi arabi si dice che l’amore per la patria è una conseguenza dell’amore per Dio, come se patria e Dio avessero lo stesso valore. Per questo chi muore per difendere la sua casa, per noi, è un martire. Perché, indirettamente, muore per Dio.
Ma . . .
Mi lasci continuare, prego. Come hanno potuto constatare in molti, l’insurrezione di massa che si sta attuando non è importata da forze esterne. Nasce spontanea dall’interno dei territori occupati. Nasce dall’oppressione di quarant’anni . È l’esplosione d’un popolo che soffre dal 1948. È troppo tempo che il pane quotidiano di ogni palestinese è la sofferenza. Fisica e morale. Profugo, lontano dalla sua terra, in esilio, vive senza dignità. Per me, per esempio, che c’è di più caro? Un gregge, una famiglia, gli amici, la mia Chiesa orientale. Nei campi la prospettiva è un’esistenza senza i più elementari diritti umani. È una vergogna.
Lei ha detto che il popolo palestinese soffre da quarant’anni. La Cisgiordania e Gaza sono state occupate nel ‘ 67. Sono vent’anni. A meno che lei non metta in discussione lo Stato d’Israele, che non giudichi anche quello un’occupazione.
Prima del 1948 la Palestina era dei palestinesi, ebrei e arabi, sia musulmani sia cristiani. Non era la terra degli ebrei erranti che abitavano in Europa e in America. Creando Israele hanno risolto il problema dell’ebreo vagabondo, ma hanno fatto dei cittadini di Palestina dei palestinesi vagabondi.
E allora oggi Israele ha diritto di esistere o deve essere cancellato dalla carta geografica?
Guardi, nel ’47 la risoluzione delle Nazioni Unite divideva la Palestina in due: metà agli ebrei e metà agli arabi. A quel tempo, con la mentalità di allora, gli arabi non potevano assolutamente tollerare uno Stato ebraico nella zona. Era un incubo. Perciò lo hanno rifiutato e hanno fatto la guerra. Però l’ uomo con il passare del tempo cambia e se è davvero intelligente non può far finta di non vedere che la situazione è mutata. Dal 1978 il mondo arabo, col vertice di Bagdad, non ha più pensato di eliminare Israele. Poi, a Fez, nel 1982, tutti insieme, anche i palestinesi, abbiamo detto che per noi uno Stato di Palestina s’intende dentro i confini del ’67. Cioè Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme come capitale. Questo significa un cambiamento profondo e radicale delle nostre posizioni, della nostra mentalità, dei nostri sentimenti. Recentemente, i due ultimi Consigli dell’Olp, quello di Amman e quello di Algeri, hanno accettato l’idea di una patria in questa metà della Palestina. Una patria dimezzata è dimostrazione di buona volontà. E un riconoscimento implicito dello Stato d’Israele.
Implicito, appunto, mai esplicito. E comunque c’è ancora chi pratica il terrorismo. Sono frange, ma esistono. Lei, monsignor Capucci, che cosa dice a questi palestinesi?
Che hanno torto. Che sbagliano. Una soluzione ai nostri problemi non può venire né dalla violenza né dalla repressione. Servono metodi pacifici: leggi internazionali, convenzioni, ma soprattutto occorre il dialogo. L’uomo è nemico di ciò che non conosce. Noi dobbiamo, tutti, sederci intorno a un tavolo e parlare, discutere e riconoscere i diritti di ognuno. Il terrorismo è un cancro. È però colpevole chi assimila palestinesi e terroristi. Anche voi italiani avete i vostri terroristi, e tanti, tuttavia non sarebbe giusto affermare che siete un popolo di terroristi. La linea dell’Olp in questo senso è chiara: mai azioni contro civili innocenti, sì invece alla resistenza.
Che cosa intende lei, quando parla di resistenza?
Azioni all’interno dei territori occupati dagli israeliani, azioni contro l’occupante, cioè contro obiettivi militari.
E le bombe di un anno fa al Muro del Pianto? Ci sono stati morti e feriti, fra i soldati così come fra le loro famiglie.
Non voglio entrare in questi dettagli.
La rivolta di questi giorni in Cisgiordania e a Gaza che rientra comunque nell’ambito della protesta civile non rischia di togliere potere politico ai vertici dell’Olp in favore dei leader locali?
Non ci sono capi, né dentro nè fuori. Questa esplosione è la reazione di massa a una sofferenza troppo grande. Quei ragazzi non sono utilizzati da nessuno. Non esistono leader. Leader è Dio, è l’ amore patrio, è la volontà di autodeterminazione.
Ma perché lei si rivolge agli ebrei?
Perché considero l’ebreo un fratello. Io ho vissuto con gli ebrei prima e dopo il ’48. La religione è un fatto personale. Io dico: basta con il sangue tra fratelli, basta con i bombardamenti e le guerre, basta con il terrorismo. Guardi questi bambini di 12 anni che lanciano sassi, a testa alta, coraggiosi. Non hanno paura dei soldati con la mitragliatrice che stanno a quindici metri da loro. Che cosa saranno fra vent’anni? Ancora più coraggiosi. Avranno ancora più fede nel loro diritto a una vita giusta, libera, nella dignità. Troviamo una soluzione adesso. Salviamo i nostri figli. Facciamo della Palestina un paradiso. Non è la forza che fa la legge, ma l’amore, l’intelligenza, la fede in Dio.
Pochi giorni fa, in Israele, è andato in carcere il primo dei centosessanta riservisti che si sono pubblicamente rifiutati di andare in missione nei territori occupati. Anche loro sono soldati israeliani. Che cosa ne pensa?
Io distinguo sempre fra i protagonisti della politica e i cittadini. Anche in Israele ci sono uomini sensazionali, come quelli del movimento “Pace adesso”, quelli che protestano contro il governo. Io dico che è con questi uomini che noi possiamo costruire la pace.
Lasciamo monsignor Capucci e le sue parole di speranza. Parole di pace che ogni uomo di buona volontà non può che condividere. C’è tuttavia un particolare che le rende meno universali: per questo colloquio l’uomo di Chiesa ha scelto gli uffici dell’ambasciata di Siria, un paese che politicamente e militarmente è protagonista più che mai attivo della tragedia e dell’orrore.
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