Geopolitica

Ecco quando, e come, potrebbe scoppiare una guerra tra Russia ed Europa

18 Marzo 2024

È la domanda che turba il sonno di milioni di europei: potrebbe scoppiare una guerra tra la Russia e uno o più stati membri dell’Unione Europea? Sì. È improbabile, ma purtroppo non è più quasi impossibile come nei due decenni successivi alla fine della Guerra Fredda. In ogni caso non prima del 2027 o del 2028. E tra gli obiettivi di Mosca non ci sarebbero ovviamente l’Italia, la Francia o la Germania, ma i piccoli stati un tempo sovietici dove risiedono cospicue minoranze russe, e già da molti anni oggetto di azioni di guerra ibrida russa (attacchi hacker, intimidazione, disinformazione ecc.) come l’Estonia e la Lettonia. Il neoimperialismo revanscista del regime putiniano, del resto, si è sempre rivolto primariamente a paesi un tempo parte dell’URSS: è il caso della Georgia, attaccata nel 2008, e dell’Ucraina, aggredita per la prima volta nel 2014.

Per la Russia né l’Ucraina né la Georgia sarebbero veri stati sovrani, e quindi attaccarli non rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale. Idem i paesi baltici: per fare un solo esempio, nel 2023 il presidente della Duma Vyacheslav Volodin ha accusato la Lettonia e l’Estonia di essere solo due stati-fantoccio in crisi demografica agli ordini di Washington e Bruxelles.

Comunque perché una guerra euro-russa scoppi è necessario che si verifichino almeno due condizioni, entrambe per ora improbabili. La prima è che il regime putiniano vinca la guerra in Ucraina. Vincere non significa necessariamente conquistare Kyiv, come pure Mosca tentò di fare – fallendo in modo clamoroso – nelle prime settimane dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Ad esempio qualora Trump vincesse le presidenziali statunitensi, le elezioni europee fossero un grande successo per l’estrema destra filorussa, e si dovesse ridurre significativamente il sostegno occidentale a Kyiv (prima di tutto a livello di aiuti militari), non si può escludere un collasso della volontà resistenziale ucraina, specie di fronte a nuove, massicce offensive russe, e al verificarsi di ammutinamenti o massicce diserzioni nelle file ucraine.

La grande scommessa del regime russo, del resto, è duplice: da un canto sconfiggere Kyiv sul piano strettamente militare, e dall’altro portare l’Occidente dalla sua parte, attraverso azioni lecite e illecite (disinformazione, corruzione, ricatto, minacce) e alimentando tendenze presenti sia in Europa che in Nordamerica quali il tribalismo xenofobo, la fascinazione neopatriarcale e soprattutto l’anti-ambientalismo, che a una potenza idrocarburica come quella russa piace ben poco. Per questo da anni il Cremlino sostiene con energia molti dei principali partiti di estrema destra occidentali. Questi ultimi, dal canto loro, tendono a leggere (e soprattutto a dipingere) i successi militari russi come dimostrazione della superiorità del modello politico russo, la cosiddetta “democrazia illiberale” che ha già attecchito in Ungheria, e seduce molti demagoghi sulle due sponde dell’Atlantico. Una vittoria russa in Ucraina potrebbe persino contribuire alla vittoria dell’estrema destra tedesca alle legislative del 2025. E immaginiamo, anche solo per un istante, cosa significherebbe per la UE un cancelliere dell’AfD…

Un’Ucraina “normalizzata” (cioè demilitarizzata e neutralizzata), amputata di un’ampia fetta del suo territorio, o peggio ancora ridotta a stato satellite di Mosca (o direttamente annessa alla Russia) sarebbe un’immensa perdita per la sicurezza della UE, non in ultimo perché l’esercito ucraino è al momento l’unico con reali esperienze di combattimento contro forze armate regolari moderne. Certo, anche in caso di vittoria Mosca avrebbe bisogno di tempo per ricostituire il suo strumento militare: si stima che nella guerra contro l’Ucraina siano caduti almeno 45mila soldati russi, più che in tutta la sanguinosa guerra afgano-sovietica; è questa una delle ragioni per cui ritengo altamente improbabile una guerra tra la Russia e uno o più stati membri dell’Unione Europea (e della NATO) prima del 2027-2028. Ma in caso di vittoria di Mosca, è realistico pensare che nel giro di tre-cinque anni il regime russo rivolga le sue mire neoimperialiste, in primis per motivi economici e di stabilità interna, contro un nuovo, piccolo stato.

La seconda condizione perché una guerra euro-russa scoppi è il disimpegno statunitense totale dall’Europa. Anche questo è improbabile, ma possibile. A chi cita lo “scudo NATO” ricordo che l’articolo 5 sulla difesa collettiva contenuto nel Trattato del Nord Atlantico non comporta automatismi bellici; difatti nella sua prima parte recita: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale”.

Nell’articolo si parla di azione che [ciascuna parte] giudicherà necessaria, incluso l’uso della forza armata, ma non necessariamente esso. Nel caso degli Stati Uniti, il Pentagono potrebbe intervenire contro Mosca (ad esempio dopo un attacco russo all’Estonia nel 2028) solo sulla base di una chiara volontà politica in tal senso, compresa l’approvazione dell’intervento da parte del Congresso. Cosa potrebbe con un Congresso dominato dai repubblicani? O con un presidente Trump ancora più ostile verso l’Europa? O ancora, con un presidente democratico ma impegnato a sedare insurrezioni di estrema destra, o focalizzato su un’imminente guerra tra Taiwan e la Repubblica Popolare Cinese? (ricordiamo che nel 2028 l’isola dovrà eleggere un nuovo presidente)

C’è però una condizione (anch’essa improbabile) che potrebbe scongiurare la guerra. Essa è legata alla capacità deterrente della UE, e dei suoi stati membri più importanti (la Germania, la Francia, la Polonia, l’Italia e la Spagna). Come ammetteva nel marzo 2022 Josep Borrell, Alto rappresentante della UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, è chiaro che al momento la capacità deterrente europea è scarsa. La UE ha scarsissimo potere coercitivo, e non esiste un “esercito europeo”. Anche la capacità deterrente dei singoli stati membri è bassa, non in ultimo perché l’opinione pubblica europea è storicamente ostile all’impiego delle forze armate, a parte contingenti di dimensioni esigue in teatri remoti, o percepiti nell’immaginario collettivo come “di pertinenza” del proprio paese (ad esempio l’Africa per pezzi di elettorato francese).

Già oggi vediamo che l’opinione pubblica francese è ostile alle dichiarazioni di Macron in merito a un possibile invio di truppe in Ucraina; figuriamoci se si dovesse passare dalle parole ai fatti. Il regime putiniano è ben consapevole di tutto ciò, ed è per questo che in caso di sua vittoria in Ucraina, e di un ritorno dell’isolazionismo statunitense (o di una grave crisi politica interna nel paese nordamericano, o ancora di forti tensioni nel Pacifico), ossia al verificarsi di due condizioni che ho già chiarito essere improbabili, un’aggressione di Mosca contro un altro paese ex sovietico diventerebbe molto probabile. Salvo appunto che la UE e i suoi più importanti stati membri non aumentino la loro capacità di deterrenza. Che significa riarmarsi, ed essere pronti a combattere.

Qualora l’Estonia (per rimanere al già citato esempio) venisse invasa da truppe russe con il pretesto della difesa dei diritti umani della minoranza russofona, magari dopo mesi di intense aggressioni cibernetiche, ondate di disinformazione e disordini fomentati da Mosca, e appunto gli Stati Uniti non volessero o non potessero intervenire, quale sarebbe la reazione di Berlino? Di Parigi? Di Varsavia? Di Bruxelles?

A determinate condizioni la Polonia potrebbe soccorrere il vicino (non a caso è impegnata in un poderoso riarmo), ma la Germania e la Francia la seguirebbero? E come reagirebbero la Svezia e la Finlandia? E cosa farebbero Roma e Madrid, specie considerando che in caso di vittoria russa in Ucraina l’influenza di Mosca su Medio Oriente e Nordafrica si amplierebbe? L’opinione pubblica europea sarebbe disponibile a lottare per l’Estonia? Parafrasando il titolo di un celebre articolo di Marcel Déat, milioni di europei non si chiederebbero forse che senso avrebbe morire per Tallinn, o per luoghi ancora più ignoti come Narva e Kohtla-Järve?

È evidente qual è ormai il calcolo di Mosca. Sostenere l’estrema destra europea in modo da indebolire e dividere la UE, avere Trump alla Casa Bianca (o almeno gli Stati Uniti fuori dai giochi), soggiogare l’Ucraina, e tra qualche anno aggredire l’Estonia e/o la Lettonia (o la Moldavia, candidata all’ingresso nella UE), contando sulla ritrosia a combattere degli europei dell’ovest (anche per il timore, peraltro infondato, di diventare facilmente il bersaglio di un attacco nucleare russo). È inutile sottolineare che un’aggressione russa a uno stato membro della UE sarebbe un colpo durissimo per la tenuta dell’intera Unione, specie se tale attacco restasse impunito.

Proprio per questo è necessario che tutti gli stati membri, a cominciare dalla Germania, dalla Francia, dall’Italia e dalla Spagna, sostengano con assoluto impegno l’Ucraina. Bisogna mandare a Kyiv più munizioni e più carri armati, proprio come occorre lanciare una grande “offensiva diplomatica” per far sedere gli ucraini e i russi attorno a un tavolo, e arrivare a una pace che ricompensi l’Ucraina per i suoi immani sacrifici, e non mortifichi la Russia. Si deve poi sostenere un riarmo intelligente e guidato dalle aziende manifatturiere continentali. Perché un’Europa ben armata è più credibile, meno vulnerabile alle pressioni di potenze neoimperialiste come la Russia, finalmente dotata di quella capacità deterrente che non causa le guerre, ma le scongiura, se scevra da obiettivi neoimperialisti.

 

 

2 Commenti
  1. La lontananza abissale che ci separa da un’adeguata capacità di deterrenza in Europa è ben visibile dall’agitato vociare che si è levato contro le dichiarazioni di Macron, soprattutto da chi governa in Italia. Lui poteva certamente rendersi conto che, una dichiarazione del genere, se non è concordata con gli altri, peggiora la situazione, ma se questo è il clima è chiaro che di posizioni comuni ferme e credibili in Europa non potremo vederne nemmeno l’ombra.

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