Geopolitica
Grecia: guerra e crisi sociale, la sinistra e le lotte. Intervista a A. Payatsos
Intervista ad Andros Payiatsos, Xekinima
La guerra in Ucraina sta ridefinendo gli equilibri geopolitici e riportando a galla, amplificandole, vecchie rivalità apparentemente sopite, come quella tra Grecia e Turchia. È quanto emerge da un colloquio con Andros Payiatsos, marxista, dirigente di una piccola organizzazione dell’estrema sinistra greca, Xekinima (Inizio). Nelle scorse settimane Xekinima ha sottoscritto una dichiarazione comune con altre otto organizzazioni della sinistra greca, in cui la guerra in Ucraina viene descritta come uno scontro tra imperialismi di cui sono vittima sia il popolo greco sia quello russo, si critica il coinvolgimento di Atene e si denuncia il tentativo delle élites greche di speculare sul conflitto a spese dei ceti popolari. Con Andros partiamo dall’Ucraina per allargare il discorso alla situazione sociale del suo paese e proviamo anche a riflettere sugli effetti della sconfitta del 2015 sulla sinistra greca e sulla sua base sociale.
Tra Grecia e Russia ci sono relazioni storiche e religiose. In questo momento fino a che punto questo aspetto influenza la politica greca e il suo atteggiamento verso la guerra?
Nell’UE la popolazione greca è quella più sospettosa nei confronti delle politiche dell’Occidente, della NATO e del governo greco sulla guerra in Ucraina. Anzi una minoranza abbastanza consistente sostiene esplicitamente la Russia. Ma non a causa dei “legami religiosi” tra Grecia e Russia, anche se questo fattore pesa in alcuni ambienti conservatori e politicamente arretrati. D’altra parte un’ampia maggioranza di questi ambienti vota i partiti di destra, che a loro volta sostengono la NATO. Questo aspetto emerge anche dai sondaggi, come chiarirò magari in seguito.
La principale opposizione alle politiche occidentali, vista o interpretata come una forma di sostegno alla Russia, viene dalla sinistra – intesa non nel senso dei partiti organizzati, ma della “sinistra sociale” e di quelle masse popolari che non si identificano nelle idee conservatrici e nei partiti di destra.
La classe operaia, i giovani e le fasce popolari nel complesso hanno sofferto enormemente gli effetti delle politiche dell’imperialismo occidentale in Grecia – in particolare di quello americano: la sconfitta nella guerra civile del 1945-1949 fu il risultato di un’invasione da parte dei soldati britannici; il regime dei colonnelli nel 1967-1974 venne instaurato col sostegno degli Stati Uniti; l’invasione turca di Cipro nel 1974 fu resa possibile dalla posizione “neutrale” assunta NATO e, in particolare, di USA e gran Bretagna; infine, più di recente, negli anni ’10 di questo secolo la Trojka, che rappresenta gli interessi delle classi dominanti europee e americane, ha rovinato le vita di milioni di greci.
Perciò l’odio nei confronti delle potenze occidentali è profondamente radicato nella mente di settori molto ampi della popolazione. D’altra parte la Russia, o, se vogliamo, l’ex Unione Sovietica, non ha mai provocato sofferenze al popolo greco. Senza voler troppo semplificare queste sono le principali ragioni che si celano dietro i sentimenti antioccidentali che i greci provano riguardo alla guerra in Ucraina e che spesso vengono letti come sentimenti filorussi.
Per citare alcune cifre tratte da un recente sondaggio (publicissue.gr, 25 maggio): il 64% ha un giudizio negativo sulla NATO e solo il 34% positivo; il 77% degli elettori di Nea Demokratia [principale partito di centrodestra oggi al governo] sostiene la NATO, mentre l’85% di quelli di SYRIZA, l’87% dell’elettorato del KKE [Partito Comunista Greco] e il 73% di quello di MERA25 [il partito di Yanis Varoufakis] la critica.
Come si è mosso su questo tema il governo di Nea Demokratia? Anche le élites greche stanno cercando di trarre profitto dalla guerra?
Nea Demokratia è “più filoNATO della NATO stessa”. Il primo ministro Mitsotakis, uno dei capi di governo più odiati della storia recente, ha descritto con arroganza la posizione del governo greco dicendo che sta “dalla parte giusta dalla storia”. La politica di Mitsotakis e delle élites greche consiste nel mostrarsi alla NATO e agli Stati Uniti, qualunque decisione prendano, obbedienti yes-men servili fino al midollo.
Del resto questa è sempre stata l’attitudine delle classi dominanti greche, alla ricerca di un sostegno delle grandi potenze occidentali contro la minaccia interna rappresentata da una classe operaia con una tradizione combattiva. Esse inoltre cercano di sfruttare le buone relazioni con gli USA, a costo di essere servili, per avvantaggiarsene nell’antagonismo con le classi dominanti turche.
A proposito, qual è l’impatto della guerra sulle relazioni tra Grecia e Turchia?
Le relazioni con la Turchia stanno andando di male in peggio Negli ultimi anni sta emergendo la minaccia concreta che di una qualche forma di escalation armata.
L’ascesa della Turchia nel ruolo di “importante” potenza regionale imperialista negli ultimi decenni si è manifestata in modo abbastanza chiaro, come mostrano, tra l’altro, gli interventi militari in Siria, in Libia, in Iraq, il ruolo giocato nella guerra del Nagorno Karabakh ecc. (per non parlare della repressione senza fine dei diritti del popolo curdo e della già citata invasione di Cipro del 1974). Rispetto alla Grecia il regime turco sta esplicitamente chiedendo di rimodulare i trattati internazionali per entrare in possesso di una più ampia superficie del Mar Egeo, incluse anche molte isole. Ankara chiede il riconoscimento della parte settentrionale di Cipro come Stato a sé e una quota dello sfruttamento degli idrocarburi nei giacimenti sottomarini del Mediterraneo orientale. Ma si tratta di richieste che non verranno accettate dalle classi dominanti greche e greco-cipriote, che si sono rivolte all’UE e agli USA per chiedere aiuto di fronte all’aggressione turca, sia pur con scarso successo.
Rispetto alla guerra in Ucraina il fatto che la Turchia stia assumendo una posizione mediatoria, non schierandosi decisamente con la NATO, rifiutando di applicare le sanzioni contro la Russia ecc. sta alimentando nelle classi dominanti greche la speranza di essere premiate per la loro fedeltà alla posizione americana ed europea. Ma, a parte la Francia, nessun’altra grande potenza – USA, Gran Bretagna, Germania ecc. – ha assunto posizioni vicine a quelle della Grecia e contrastato le richieste turche.
Per molti aspetti la guerra sta aggravando la crisi. Dopo la decisione dell’UE di andare in cerca di forniture alternative di idrocarburi, così da non dipendere più dalla Russia, si è riaperto il dibattito sul gasdotto East Med, che, se fosse costruito, porterebbe gas naturale da Cipro, Israele e dall’Egitto all’Europa – passando attraverso Cipro, Creta e la Grecia continentale. Un’ipotesi che il regime turco non accetterà mai.
Per effetto di queste dinamiche tra i due paesi è in atto una rinnovata e davvero folle corsa al riarmo. La guerra in Ucraina ha peggiorato la situazione, perché ha mostrato che i droni militari turchi Bayraktar, utilizzati dall’esercito ucraino contro le truppe russe, possono rivelarsi abbastanza efficaci. Di conseguenza le classi dominanti greche stanno avviando una nuova fase di massiccia spesa militare per contrastare la minaccia russa e la Turchia risponde accusando la Grecia di mostrarsi aggressiva e deducendone che servono più armi.
È una situazione pericolosa. L’aspetto peggiore è che non vediamo come queste contraddizioni possano essere risolte in chiave capitalistica.
Abbiamo letto che secondo i sondaggi circa il 60% dei greci non è favorevole all’invio di armi e solo più o meno il 50% è d’accordo con le sanzioni. Hanno una rappresentanza politica nel Parlamento greco?
Ci sono forze politiche che rappresentano questo sentimento delle masse greche, ma naturalmente nel Parlamento sono molto più deboli che nella società.
Le forze politiche che rappresentano questo sentimento in Parlamento sono il KKE, il Partito Comunista Greco, e MERA25, la sezione greca di DiEM25 (rappresentata da Yanis Varoufakis). Insieme rappresentano non più del 10% dell’elettorato. Entrambe hanno assunto un ruolo di opposizione sia all’intervento imperialista russo in Ucraina sia all’imperialismo della NATO.
SYRIZA invece in generale non ha assunto una posizione contrapposta alla NATO, ma di è detta contraria all’invio di armi in Ucraina.
La guerra ha già un impatto sull’andamento dei prezzi e sulle condizioni di vita?
L’aumento dei prezzi in Grecia sta diventando il principale problema della classe operaia e dei poveri. Attualmente l’inflazione è al 10,2% ed è superiore alla media dell’UE, circa l’8%.
Il governo ha fatto molta retorica sulla decisione di aumentare il salario minimo del 7,7%. Tieni presente che da noi oltre il 50% della forza-lavoro riceve una retribuzione pari al salario minimo. In valore assoluto significa arrivare a circa 600 euro netti al mese per compensare le perdite del 2021 e del 2022. Ma in questo modo non si recupera neanche l’attuale tasso di inflazione ufficiale.
Se poi consideriamo il paniere dei beni che insieme costituiscono il grosso della spesa di una famiglia di lavoratori, la crescita dei prezzi è molto più elevata dell’attuale tasso di inflazione ufficiale medio. Per farti un esempio nei mesi scorsi il prezzo del gas naturale è aumentato di oltre il 100%, quello della benzina per auto di oltre il 50%, la carne di agnello e di capra di circa il 18%, l’olio di oliva del 16%, frutta e verdura del 15% e il pane del 20%.
E la situazione peggiora di giorno in giorno. In autunno sarà certamente peggio.
Qual è stata la posizione dei sindacati fino a oggi?
I grandi sindacati sono molto lontani dalle esigenze dei lavoratori. E non fanno nulla per organizzare alcun tipo di lotta seria. Quando la pressione sociale diventa troppo elevata di solito convocano uno sciopero generale con modalità tali da esser certi che fallisca, giusto per sfogare la tensione. Nonostante ciò l’ultimo sciopero generale che hanno convocato, ad aprile, ha avuto successo e le manifestazioni sono state abbastanza grandi. Ma l’aspetto interessante è che quelle convocate ufficialmente dai grandi sindacati sono state un completo fallimento. I comizi più affollati sono stati quelli organizzati dalla sinistra.
Anche in Grecia naturalmente abbiamo un problema di frammentazione della sinistra, per cui ci sono state molte manifestazioni separate convocate da forze diverse lo stesso giorno e sullo stesso tema. Quelle organizzate dal KKE e da ANTARSYA (l’alleanza della sinistra anticapitalista) hanno avuto dimensioni ragguardevoli, raccogliendo il maggior numero di manifestanti da alcuni anni a questa parte. Ma naturalmente niente di paragonabile alle enormi mobilitazioni dei lavoratori greci all’epoca dello scontro con la Troika.
Xekinima e altre otto organizzazioni di sinistra hanno sottoscritto una dichiarazione contro la guerra. La definite una guerra tra imperialismi e dite no a un coinvolgimento della Grecia. Avete in progetto di organizzare qualche iniziativa?
Abbiamo già lanciato parecchie iniziative, ad esempio una serie di manifestazioni con lo slogan “No alla guerra – contro Putin e contro la NATO”. Ma si è trattato di piccole manifestazioni. Nulla di simile ai movimenti contro la guerra del passato. Penso che sia, almeno in qualche misura, una conseguenza del carattere di questo conflitto: alla gente non è chiaro contro chi manifestare, non vedono come potrebbero ottenere dei risultati manifestando e, allo stesso tempo, la principale preoccupazione è che il conflitto vada fuori controllo e si trasformi nella terza guerra mondiale. Io non credo che sia una prospettiva concreta, ma la gente è comprensibilmente impaurita. Oltre alle manifestazioni ci sono stati dei concerti di noti musicisti di sinistra, a cui hanno partecipato alcune migliaia di persone, con analoghi contenuti politici. Il governo ha criticato gli organizzatori dicendo che questi concerti non esprimevano posizioni chiaramente antirusse e filoucraine, accusandoli di essere contro Putin, ma anche contro la NATO. Noi abbiamo anche organizzato alcune assemblee pubbliche per discutere la natura della guerra e i compiti della sinistra (IntStandpoint120422).
In quella dichiarazione si parla di “clima maccartista”. C’è qualche reazione tra gli intellettuali?
No, sfortunatamente gli intellettuali e più specificamente il mondo accademico, non stanno svolgendo alcun ruolo significativo nell’attuale congiuntura. Ma ci sono state piccole ma significative eccezioni e di recente alcune reazioni agli attacchi del governo Mitsotakis all’istruzione.
La delusione dopo la capitolazione di Tsipras è stata uno forte shock per la sinistra e per i lavoratori greci. Dal nostro punto di vista ci è sembrato che non sia stato semplicemente un “tradimento” e che una delle ragioni della catastrofe sia stata l’illusione di poter vincere in Parlamento dopo essere stati sconfitti in piazza. Qual è il vostro bilancio di quell’esperienza? Che conseguenze avete tratto da allora? Pandemia e guerra potrebbero essere un’opportunità di ricostruire una sinistra su basi più solide e come?
La domanda richiederebbe una risposta molto lunga, perché tocca temi davvero cruciali circa il passato e il futuro della classe operaia e della sinistra greche.
La classe operaia greca, nel corso delle grandi lotte contro la Troika, si è rivolta a SYRIZA. Quelle lotte si sono svolte parallelamente all’ascesa di SYRIZA. Dopo la sconfitta sul versante sindacale in Grecia le masse hanno sperato che la vittoria di quel partito avrebbe cambiato la situazione. SYRIZA avrebbe avuto l’opportunità di riuscirci abrogando i tre Memoranda siglati da Nea Demokratia e dal PASOK [i socialisti]. Invece ha firmato il quarto. Prima della capitolazione di SYRIZA, nel luglio 2015, la masse vedevano nella sua vittoria elettorale uno stimolo a riprendere la lotta. Quell’attitudine si è riflessa nello straordinario risultato del referendum del 5 luglio 2015, quando, con le banche chiuse e la Grecia sull’orlo della cacciata dall’euro, il popolo greco votò NO alle richieste della Troika con una straordinaria percentuale del 61,5%, mentre tutti i partiti dell’establishment e i grandi sindacati chiedevano di votare sì e il KKE… di astenersi!!
La svendita di SYRIZA spinse il movimento verso una diffusa demoralizzazione, a mio avviso la peggiore da decenni. E non ci si è ancora ripresi. Negli ultimi due anni, però, stiamo osservando alcuni segnali di ripresa. È un fenomeno graduale e a uno stadio embrionale, ma concreto. Abbiamo vissuto alcune vittorie in campo sindacale, dovute all’atteggiamento di alcuni piccoli sindacati combattivi nell’ambito dei nuovi lavori e non all’intervento dei grandi sindacati. Abbiamo assistito a importanti mobilitazioni giovanili contro la repressione e la brutalità della polizia e delle donne contro famminicidi e stupri. Nell’attuale congiuntura pandemia e guerra non aiutano particolarmente a sviluppare nuove lotte. Ma la crescita dei prezzi sì. Inoltre si stanno manifestando diverse mobilitazioni su temi ambientali.
Insomma, non siamo ancora in una fase di controffensiva generalizzata dei lavoratori, ma c’è una varietà di piccole lotte, che indicano ciò che potrebbe avvenire su più ampia scala in una fase successiva.
Intervista tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 7 giugno.
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