Geopolitica

G20, il ruolo dei bilaterali nel summit di Roma

1 Novembre 2021

Tutte le strade portano a Roma, più precisamente alla Nuvola di Massimiliano Fuksas all’Eur, passando per il Quirinale, Palazzo Chigi e ambasciate varie. Per il G20, in Italia sono sbarcati i leader dei più grandi Paesi al mondo, pronti a discutere dei temi globali, come la lotta al cambiamento climatico, la ripresa post pandemica e la crisi in Afghanistan. Come previsto da molti analisti, i risultati specifici del summit sono stati di per sé marginali. Difficile trovare soluzioni concrete e condivise dalle prime 20 economie mondiali. Ancor più difficile realizzarle dandosi un’orizzonte temporale di 30 anni. Tuttavia, quel che è risultato interessante osservare, sono stati gli incontri bilaterali tra i capi di Stato o di governo, andati in scena tra sabato e domenica e che hanno illustrato, in alcune circostanze, in maniera plastica lo stato dei rapporti diplomatici tra Paesi.

Uno su tutti quello tra Stati Uniti e Francia. Nelle ultime settimane tra Washington e Parigi era sceso il gelo a causa dell’affare Aukus, definito dal presidente francese Emmanuel Macron “una coltellata alle spalle” inflitta dagli alleati oltreoceano. Il vertice a Roma è stata l’occasione per far tornare la serenità. Strette di mano, sorrisi, battute tra l’inquilino della Casa Bianca Joe Biden e Macron, con il presidente Usa che ha persino ammesso la gestione “maldestra” americana sul caso dei sottomarini australiani e sull’esclusione della Francia dall’alleanza indopacifica. Ma non è avvenuta solo la pacificazione. Biden ha specificato come gli Stati Uniti non abbiano un alleato storico più leale della Francia, porgendo un assist a Macron in vista delle elezioni presidenziali, dopo che il francese era stato accusato in patria di poca autorevolezza per aver subito lo smacco Aukus. L’interesse francese verso l’area dell’Indo-Pacifico è stata confermata dagli incontri personali di Macron con il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in e con il premier indiano Narendra Modi.

Tra gli osservati speciali, nei due giorni romani, presente anche il turco Recep Tayyip Erdogan. I saluti, non calorosi ma tutto sommato cortesi, con il premier Mario Draghi non erano scontati dopo l’appellativo “dittatore” usato nei suoi confronti dal presidente del Consiglio italiano. La stretta di mano c’è stata, come anche un costruttivo bilaterale di circa mezz’ora in cui si è parlato dei dossier che coinvolgono Turchia e Italia, rimarcando l’importanza della partnership commerciale tra i due Paesi. Si è discusso di migrazioni e del rapporto tra Ankara e Bruxelles, è emersa l’unità d’intenti sull’Afghanistan mentre rimane una certa distanza sulla Libia. Lo stesso Erdogan ha incontrato i leader europei, la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen in primis, dopo il cosiddetto “Sofagate”. Qui i convenevoli sono sembrati più freddi e di circostanza.

Un altro vertice bilaterale da rilevare è quello tra Erdogan e Biden. Le relazioni tra Turchia e Stati Uniti non godono al momento di una fase brillante. Il caso degli ambasciatori occidentali (tra cui quello americano) vicini all’espulsione da Ankara negli ultimi giorni è solo l’ultimo episodio di tensioni latenti. Nel colloquio i due presidenti hanno discusso dei rapporti tra i due Paesi e delle questioni regionali che li coinvolgono. L’impegno nella Nato della Turchia è apprezzato dalle parti della Casa Bianca che però ha rimarcato il disappunto per l’acquisto di Ankara di un sistema di difesa anti-aerea di produzione russa. La presidenza turca, tramite un comunicato, ha definito “positiva” l’atmosfera tra le parti.

Gli impegni di Draghi sono stati fitti. L’incontro personale con Biden, dove hanno regnato risate e complimenti reciproci, evidenzia “l’eccellente cooperazione” tra Italia e Stati Uniti, con il conseguente riposizionamento atlantista di Roma, dopo qualche anno in cui i governi di Giuseppe Conte avevano fatto oscillare il Belpaese verso Oriente, più o meno esplicitamente. Sempre Draghi ha dialogato con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, con focus sulle relazioni sino-europee e la ripresa del dialogo sui diritti umani.

L’ex presidente della Bce, inoltre, ha potuto interloquire, molto amichevolmente, sia con Macron, sia con il premier britannico Boris Johnson. L’asse tra Italia e Francia si sta rinsaldando, anche a causa dell’ormai prossima uscita di scena della cancelliera tedesca Angela Merkel (accompagnata dal suo ormai prossimo successore Olaf Scholz). Con il Regno Unito invece la sintonia c’è sull’emergenza climatica, visto che a Glasgow nelle prime due settimane di novembre si svolgerà la Cop26, interamente dedicata ad essa. L’Italia è forse il maggior paese europeo con cui dialoga più volentieri la Gran Bretagna in questo momento, dopo la Brexit e i suoi strascichi commerciali e diplomatici che vedono Londra contrapposta alle istituzioni comunitarie e soprattutto con la Francia. Anche in questo caso, proprio un bilaterale tra Johnson e Macron a margine del G20 ha riavvicinato i due Paesi, coinvolti da settimane (in realtà da mesi) in tensioni accese riguardanti i diritti di pesca. L’impegno preso è quello di riportare su binari diplomatici il problema, senza alimentare maggiori battibecchi.

E la lista degli incontri tra leader durante il G20 potrebbe essere ulteriormente allungata. Dal vertice a quattro tra Biden, Macron, Johnson e Merkel per limitare il nucleare iraniano, a quello tra Modi e Draghi, passando per l’asse anglo-canadese tra Johnson e il primo ministro Justin Trudeau, arrivati in ritardo per la foto di famiglia proprio perché impegnati a discutere privatamente. Vertici bilaterali che hanno visto all’opera soprattutto le delegazioni nazionali, ben lontane dalle luci abbaglianti dei riflettori che illuminano i capi di Stato o di governo. Perché se in apparenza regnano sorrisi e possibili immagini da prima pagina, dietro le quinte la diplomazia si muove in altri modi.

Il premier Draghi, nel suo discorso di apertura, ha sottolineato l’importanza del “multilateralismo”, visto come “la migliore risposta ai problemi che vediamo oggi. In molti sensi è l’unica risposta possibile, dalla pandemia, al clima”. Pur nella veridicità delle sue parole, è indicativo notare come anche in uno degli eventi votato al multilateralismo per eccellenza, come il G20, a svolgere un ruolo preponderante siano stati gli incontri bilaterali tra leader e sherpa.

(foto – Alan Santos/PR)

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