Geopolitica
Flavia Perina: “Vannacci prima di candidarsi doveva dimettersi dall’esercito”
Si avvicinano le europee, fra pochi giorni saremo chiamati alle urne, ma in Italia c’è il rischio di bassa affluenza. Nel nostro Paese fino a oggi si sono tenute 9 elezioni per il Parlamento Europeo, la prima nel 1979 e l’ultima nel 2019. L’affluenza è sempre stata mediamente superiore alla media UE, ma nelle ultime votazioni si è sempre mostrata in costante calo, mentre negli altri Paesi si è registrato un continuo aumento.
Ho avuto l’occasione di intervistare Flavia Perina, giornalista, scrittrice ed ex politica. Aderì da giovanissima al Fronte della Gioventù, fece una lunga gavetta al Secolo D’Italia diventandone Direttrice nel 2000 fino al 2011. Eletta deputata con Alleanza Nazionale, seguirà in seguito Gianfranco Fini nella formazione di Futuro e Libertà per l’Italia. Da sempre, sia nei suoi articoli sul Secolo d’Italia sia nella sua attività politica ha appoggiato temi che sembrano lontani dalla destra che siamo abituati a vedere, come per esempio l’ecologismo, i diritti delle persone discriminate, il femminismo, l’integrazione culturale. Attualmente è editorialista de La Stampa e de Linkiesta. Ho quindi provato a chiederle, nel corso della nostra chiacchierata, la sua opinione sui temi più caldi degli ultimi giorni, partendo proprio dalle prossime elezioni europee.
Cosa ne pensa delle candidature alle Europee, partendo da Vannacci e Ilaria Salis, fino alle candidature di Schlein e Meloni?
“La candidatura dei leader non mi scandalizza per nulla. Da tempo l’Italia non mobilita campagne elettorali sulle idee, sulle visioni di Paese, oramai da molti anni le intenzioni di voto sono orientate dalle facce dei leader. Dall’epoca di Prodi e Berlusconi la personalizzazione della politica è diventata un fatto radicato e anche Schlein ha capito che o gioca in questo campo oppure rischia di essere perdente. Per la destra è più facile perché la personalizzazione della politica è nel suo Dna. Per la sinistra un po’ meno, visto che ha sempre criticato questo schema in nome di un’azione politica fondata sul “noi”. Quanto alle candidature Salis-Vannacci, non le vedo come simmetriche. Il caso Salis appartiene alla tradizione tutta italiana delle candidature “per fatto di giustizia”, penso a Toni Negri o a Enzo Tortora. Personalmente, sono rimasta sconcertata dal trattamento carcerario subito da Salis e posso capire che esista un certo tipo di elettorato incline a votarla per aiutarla a tornare in libertà. Il caso Vannacci è diverso. Si tratta di un generale dell’esercito, che ha scritto un libro politico, con un intento politico estremamente provocatorio e con quel libro ha iniziato una carriera politica. Condivido molto ciò che ha detto Gianfranco Paglia, decorato con la medaglia d’oro al valor militare, e cioè se vuoi abbandonare i doveri della divisa ed entrare in un tipo di percorso diverso, da opinionista prima e da eletto poi, ti dovresti dimettere dall’esercito che deve sempre rimanere un’entità al disopra delle parti. Non si può pensare che un alto ufficiale dell’esercito esprima pregiudizi verso l’immigrato, lo studente, il gay, la donna di colore, e su questi cerchi consenso per un’elezione. E poi mi chiedo: se Vannacci non dovesse venire eletto che farà? Rientra nei ranghi dell’esercito come generale? Non mi pare una cosa adeguata a una democrazia sana”.
Non crede che la tendenza ad interpretare le elezioni europee in chiave nazionale sia da parte dei partiti sia dell’elettorato rappresenti un freno al processo di integrazione politica?
“Trovo anacronistico usare il voto europeo per sistemare questioni italiane. Lo si è sempre fatto, ma in passato pochi erano consapevoli del colossale ruolo che l’Europa svolgeva nelle nostre vite. Oggi dopo la grande crisi finanziaria del 2009, il Covid, le guerre ai nostri confini, dovremmo aver capito che, quando si vota per l’Europa si vota per organismi che decidono su cose essenziali, compreso come dovrà essere la nostra casa, come si girerà in macchina, come ci si curerà nel caso di una nuova epidemia. La classe politica italiana questa consapevolezza l’ha tolta dal campo, non ne parla. Il mondo della destra cerca conferme alla solidità del governo e della premier e cerca di portare in Europa qualcuno che fermi l’Unione o che tenti di limitarne il suo ruolo. Il mondo della sinistra si limita a caldeggiare un voto contro gli avversari. Sui contenuti del dibattito europeo non c’è nulla. Il prossimo Presidente europeo sarà importante quanto il futuro Presidente del Consiglio italiano ma nessuno lavora per diffondere questa consapevolezza: le elezioni europee sono rimaste in Italia una specie di gioco di ruolo, servono a vedere, con il sistema proporzionale, chi è il più forte sul campo nazionale”.
Non trova che questa continua ricerca di conferme da parte dei leader sia un segno di debolezza?
“In realtà i timori della maggioranza sono molto concreti. Dopo le elezioni europee ci saranno interventi altamente impopolari da affrontare, a cominciare da una manovra economica complicata a causa delle nuove regole europee sui bilanci. Una grossa prova di forza e consenso in giugno può essere d’aiuto per affrontare un settembre che si preannuncia davvero difficile”.
Euronews ha intervistato i ragazzi che per la prima volta voteranno alle europee, hanno un’età compresa fra i 16 e i 23 anni (in 5 Paesi si può votare per le europee già dai 16 anni) e per loro i temi più importanti sono clima, uguaglianza e sicurezza. Secondo lei i giovani d’oggi hanno ancora una coscienza politica?
“Credo che i giovani conservino una coscienza politica orientata però in direzioni differenti rispetto al passato: penso ad esempio all’ambientalismo, un fenomeno globale importante. Non canalizzano più questa coscienza nella politica tradizionale perché pensano che lì non ci siano risposte. Si esprimono quindi in altri modi: nel volontariato, nelle associazioni, magari anche nelle provocazioni da strada. Manca quasi del tutto quello che era il canone novecentesco: entro in un partito e da lì porto avanti le mie battaglie. Ecco questa cosa non interessa più o interessa molto poco, salvo chi si prepara a una carriera nei partiti o negli organi elettivi”.
A proposito di giovani ne approfitto per fare un’ultima domanda su un’altro tema molto caro a Perina, ovvero l’ingiustizia di Stato, ne parla anche nel suo romanzo “Le Lupe” e quando era direttrice del Secolo d’Italia ha portato avanti la campagna per la verità sul caso di Stefano Cucchi. Le chiedo quindi come interpreta oggi i fatti legati ai pestaggi della polizia nei confronti delle contestazioni dei giovani studenti pro Palestina.
“Il mio pensiero è molto semplice: quando una persona è sotto la potestà dello Stato, lo Stato deve garantirne la totale incolumità: come è arrivata deve essere restituita. In merito alle contestazioni pro Palestina ci sono situazioni differenti, bisogna distinguere caso per caso. Ad esempio, non ho condiviso affatto la carica di polizia fatta a Pisa contro studenti a volto scoperto, totalmente disarmati. In piazza ci sono stata molte volte da ragazza e il gioco di guardie e ladri lo conosco bene: i manifestanti fanno la loro parte per avere visibilità e di contro c’è l’intervento della polizia. Gestire bene l’ordine pubblico in questo momento significa governare questo gioco tenendo i nervi saldi. Dobbiamo utilizzare al meglio le competenze di ordine pubblico anche e ricordarci le lezioni del passato a cominciare dal G8 di Genova, un disastro nato da scelte di incompetenza e mancanza di controllo assoluti. Non dobbiamo mai dimenticare le conseguenze di quel tipo di eventi: l’intervento delle forze dell’ordine deve essere saggio, i manganelli devono alzarsi solo davanti a rischi concreti, si deve sempre evitare il rischio che l’azione dello Stato appaia come un dato di repressione del dissenso”.
Tutto bello a parole ma nei fatti….
“La polizia deve fare il proprio lavoro, sicuramente non semplice. Ma forse la prima regola dovrebbe essere evitare di non usare due pesi e due misure. La risposta della polizia deve essere uguale per tutti. Non sempre accade. se i tassisti, come successo qui a Roma di recente, fanno un corteo non autorizzato sotto il Parlamento, la polizia li argina con diplomazia e gentilezza, sicuramente con modalità che non prevedano azioni di forza o cariche. Con altri l’atteggiamento è stato ben diverso. Mi piacerebbe vedere una certa linearità negli interventi. Andrebbe trovata una via di coerenza. Nessuno deve pensare che anche nella gestione delle proteste ci sono figli e figliastri, bastonabili e non bastonabili”.
L’intervista completa a Flavia Perina sarà pubblicata agli inizi del 2025 in un libro intitolato “Giornaliste Italiane” un progetto nato con l’editore Luca Sossella e che comprende già un primo volume “Giornalisti Italiani” nelle librerie in questi giorni. L’idea è quella di proseguire il viaggio, iniziato con i giornalisti, attraverso la storia del giornalismo italiano e del nostro Paese, dagli anni ’70 a oggi. Come già successo per le interviste ai giornalisti, anche per questo secondo volume, alcune parti delle interviste alle giornaliste, soprattutto quelle che riguardano argomenti di attualità, saranno pubblicate in anteprima su GliStatiGenerali.
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