Geopolitica

Europa e Cina al bivio

6 Aprile 2022

“One step forward, two steps back, you start to say you love me then you take it back” era l’inizio di una canzone di Nicolette Larson. Sintetizza perfettamente le relazioni UE-Cina degli ultimi dieci anni, di cui il Summit tenutosi il primo aprile scorso non è che l’ultimo deprimente tassello.

Che cosa voglia l’UE dalla Cina infatti non è affatto chiaro, in primis ai cinesi, che la trovano lenta, contraddittoria e poi anche, da Biden in poi, ripetitiva di posizioni di Washington. Inoltre, non dimentichiamo che oltre ad avere a che fare con la diplomazia europea, la Cina (come altri paesi al mondo) deve gestire anche quella dei singoli paesi UE. E questi possono confermare, modificare o a volte contraddire del tutto la linea espressa da Bruxelles. Le posizioni dei singoli paesi diventano un caleidoscopio impossibile da decifrare e a volte difficile da conciliare con le posizioni UE per un osservatore che siede dall’altra parte del mondo.

Ma torniamo alla canzone di Nicolette Larson.

1. One step forward. per vent’anni i rapporti tra l’UE e la Cina sono stati dominati da questioni commerciali e di investimenti. A ben vedere direi, visto lo stock di quasi 150 miliardi di investimenti europei in Cina. C’è sempre stato un dialogo separato sul tema dei diritti umani e dal 2017 anche uno sulla “connettività” tra Europa e Cina (i.e. trasporti). Ma niente ha tenuto occupati i rispettivi negoziatori come il tema degli investimenti e soprattutto dell’accesso al mercato per le aziende europee. Nel 2013, UE e Cina avevano deciso di avviare i negoziati per un accordo sugli investimenti che riportasse un po’ di equilibrio nell’accesso reciproco ai mercati. Ci si era accorti infatti che, data la sostanziale liberalizzazione dei flussi in entrata di capitale in UE, alle aziende cinesi era consentito fare molte più cose di quanto lo fosse ad aziende europee in Cina. I negoziati si sono trascinati pigramente per anni, ma hanno poi subito un’accelerata significativa nel 2019. Il motivo era ovvio: con la pressione di Trump sulla Cina, il paese doveva compensare dando più spago alla UE. In realtà poi gli USA a gennaio 2020 firmeranno un accordo con la Cina che non solo dava accesso maggiore ai colossi di Wall Street al mercato cinese ma obbligava anche il paese a comprare 200 miliardi di merci made in USA, a scapito in parte di quelle europee. Il Covid non ferma i negoziati tra UE e Cina e si arriva fino al dicembre 2020 con la trionfale conclusione dell’accordo di principio annunciata a reti unificate da Von Der Leyen, Macron, Merkel e Xi.

2. One step back: il primo “mezzo” step back c’era già stato nel 2019. Sotto pressione di qualche cancelleria e del Parlamento Europeo, la Commissione UE arriva a definire la Cina non solo partner commerciale ma anche “rivale sistemico”. Le parole sono importanti e la Cina prende nota. Questo significa un atteggiamento più cauto di alcuni paesi soprattutto quando si tratta di autorizzare investimenti cinesi in aziende strategiche europee. Su cosa sia strategico la UE non dà indicazioni precise, ma consente ai singoli paesi di porre limitazioni in alcuni settori, a scelta del paese stesso. C’è chi, come l’Italia decide di coprirli tutti e anche di più e chi, come Germania, Belgio e Olanda decide di restringere la definizione di strategico, con un occhio però sempre alla Cina. Il risultato è il calo significativo degli investimenti cinesi in Europa dal 2019, anche dovuto a limitazioni poste dal governo cinese ad operazioni speculative.

3. Another step back. Il secondo pesante step back si ha a marzo del 2021 quando, a fronte di sanzioni imposte dalla UE ad alcuni funzionari del Partito per la vicenda uigura, la Cina risponde moltiplicando per cinque e colpendo parlamentari europei e think tank. A questo scambio segue il congelamento dell’accordo sugli investimenti che pure cercava semplicemente di dare alle aziende europee più di quanto concesso a quelle americane già un anno prima. Da quel momento in poi, è un galleggiare continuo, con dispettucci reciproci. L’unica cosa che aumenta è l’interscambio (quasi 1.6 miliardi di Euro al giorno) e, in misura minore, gli investimenti di aziende europee in Cina.

Il Summit di venerdì scorso non ha indicato la strada per risolvere l’impasse e si è concentrato sulla crisi in Ucraina. Difficile dire se la questione Ucraina, vista la posizione sempre più sfumata presa da Pechino che anche se non condanna pubblicamente Putin si guarda bene dal violare le sanzioni poste alla Russia, influenzerà più di tanto i rapporti.  Per ora, lo stanno facendo le pesantissime misure anti-Covid adottate dalla Cina dal 2020 che hanno ridotto viaggi e visti d’affari per europei in Cina a 1/10 di anni fa. Di questo tema, nel Summit non si è parlato affatto.

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