Geopolitica

Europa, da sogno politico a incubo chiuso tra le nostre quattro mura

29 Maggio 2016

Il Mediterraneo, con i suoi morti ogni giorno, ci ricorda che Europa è un progetto oggi molto inquieto, per chi intende realizzarlo. Quella stessa immagine, per molti (oggi mi sembra in maggioranza tra noi europei) indica che Europa  come molte utopie è diventato un sogno da gettare. A differenza di quelle non ha nemmeno sollecitato un film su cui riflettere per davvero.  Dalla shoah ai desaparecidos argentini, dalle storie di mafia a quelle di terrorismo, negli ultimi venti anni i film, più dei libri, hanno fatto la memoria pubblica. Attraverso quei film si è costruita memoria autocritica, in altre parole memoria fondata sul confronto tra la memoria dei valori cui diciamo di ispirarci e cui dichiariamo di aderire e quella delle azioni compiute. Memoria dei torti che abbiamo riservato ad altri. Non quella di ciò di cui possiamo essere fieri, ma quella di cui c’è da vergognarsi. Con Europa invece ci siamo rifiutati di iniziare quel percorso.  E quando l’abbiamo iniziato abbiamo preferito non farci i conti. Quando si è trattato di passare alla memoria autocritica ci siamo semplicemente detti: questo gioco non ci piace. Facciamone un altro

Perché quel percorso non si è aperto al dopo?

Si potrebbe dire perché fondato su un disegno in cui l’uso del nome corrispondeva a contenuti diversi, distanti e forse anche opposti.

All’inizio, nel secondo dopoguerra pensare e dire Europa significava muoversi all’interno della vecchia Europa continentale. L’obiettivo era proporre La vecchia Europa è servita come modello di rappacificazione tra Paesi che storia e cultura avevano diviso.

La nuova Europa strategica che si è aperta con l’allargamento a 25 all’inizio di questo millennio sotto la guida della Commissione Europea di Romano Prodi, aveva un diverso obiettivo: servire come modello di nation-building su scala mondiale, di ricostruzione di nazioni minacciate dall’arretratezza economica, dalla corruzione delle classi dirigenti, dall’anarchia istituzionale, dai conflitti fra etnie e integralismi religiosi, dal terrorismo.

Bene nel 2004 si apriva una sfida.

Era un obiettivo nobile, ma a un bilancio di questi dieci anni, si deve concludere che era un obiettivo ambizioso e che soprattutto, prima ancora di non fare i conti con le crisi politiche che sono scoppiate nell’ultimo decennio, non faceva i conti con l’io profondo di noi abitanti dell’Europa. Semplicemente non avevamo voglia.

Fare l’Europa era ed è un percorso duro. Noi invece ce lo siamo raccontati come una marcia trionfale, dove facevano da maestri al mondo. Dieci anni dopo perciò il realismo dice: meglio tornare a casa, vivere nel proprio guscio e dire al mondo che ci guarda: andata da un’altra parte rivolgete lo sguardo altrove.

 

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