Geopolitica
Nuovo blitz in Turchia, il “sultano” Erdogan fa arrestare altre mille persone
Aggiornamento 26 aprile 2017 – Il ministero degli Interni della Turchia ha annunciato che nelle scorse ore sono stati arrestati 1.009 sospetti “imam” vicini alla presunta rete golpista del predicatore Fethullah Gulen, che il presidente Erdogan ritiene essere il promotore del golpe dell’estate scorsa.
L’operazione è stata condotta in 72 province con la partecipazione di 8.500 agenti del regime di Erdogan, sempre più forte dopo la vittoria rivendicata (ma contestata dalle opposizioni e dagli osservatori internazionali) nel referendum costituzionale del 16 aprile (v. articolo sotto). Dal fallito golpe di luglio 2016 in Turchia sono state arrestate più di 47 mila persone.
MILANO, 16 APRILE – Alle prime proiezioni sembrava un trionfo. Alla fine si tratta “semplicemente” di una vittoria, per Recep Tayyip Erdoğan, tra proteste di un’opposizione che solleva dubbi sulla regolarità del voto. Non una vittoria qualsiasi visto che, con la vittoria dei si al referendum su una riforma costituzionale che aveva fortemente voluto, Erdogan si assicura la possibilità di rimanere alla guida della Turchia per molti altri anni, e di farlo da comandante in campo di una Repubblica presidenziale che, di colpo, getta nel Bosforo molti dei contrappesi che avevano fatto della Turchia contemporanea un esempio repubblicano di equilibrio e prudenza istituzionale. Al voto di oggi Erdogan arrivata dopo settimane e mesi assai agitati, dopo aver stretto sempre di più la morsa dell’attenzione su oppositori e critici, dopo che negli ultimi anni hanno chiuso i principali organi di informazione indipendenti. Insomma, la “nuova” Turchia nasce sotto un astro che illumina di una luce sinistra il futuro della più importante democrazia islamica del mondo.
Solo per ricordare alcune tappe di avvicinamento al voto di oggi, non si può prescindere dalla sfuriata contro l’Olanda, l’8 Marzo scorso. Agli olandesi aveva dato dei “Nazisti, fascisti”, perché avevano impedito i comizi dei suoi ministri in giro per l’Ue. Il referendum di oggi, che serviva ad incoronare il Sultano,aveva sicuramente bisogno del voto di tutti, anche dei turchi all’estero. La loro affluenza – questo già si sa – è da record. Vedremo poi se davvero il voto dei turchi nel mondo è stato fondamentale per la vittoria.
Pochi giorni prima del caso diplomatico con Amsterdam, il 28 febbraio, ad Ankara, era invece iniziato il principale (almeno per ora) dei processi legati al fallito golpe del 15 luglio 2016 in Turchia. Secondo la stampa turca, sono 330 le persone processate, 245 delle quali già in detenzione.
Le accuse sono pesanti: aver tentato il colpo di Stato, in quanto membri di un’organizzazione sovversiva che fa capo al predicatore turco Fethullah Gülen, da tempo rifugiato negli Stati Uniti d’America. Rischiano l’ergastolo, ma il dibattito sulla pena di morte è più vivo che mai nel Paese.
Su quanto spazio ci sarà per un racconto super partes delle fasi processuali è difficile pronunciarsi. L’ultimo colpo alla stampa è stato l’arresto il 16 febbraio scorso del giornalista turco-tedesco Deniz Yücel, corrispondente dalla Turchia del quotidiano tedesco Die Welt, accusato di fiancheggiare il terrorismo e di istigare all’odio.
Berlino ha convocato l’ambasciatore turco, per chiarimenti, ma il gelo tra i due paesi è ormai arrivato alla crisi diplomatica aperta. L’ultimo episodio di tensione è stato il rifiuto delle autorità locali di Gaggenau, nella Germania meridionale, opposto al ministro della Giustizia turco Bekir Bozdağ, che voleva partecipare a una manifestazione della nutrita comunità turca in Germania a favore della riforma costituzionale a cui ambisce il presidente Erdoğan.
Stesso trattamento, per paura di disordini, aveva ricevuto il ministro turco dell’Energia, Nihat Zeybecki a Colonia e quella volta era stato l’ambasciatore tedesco ad Ankara a essere convocato per una dura reprimenda da parte del ministro degli Esteri turco Çavuşoğlu, che ha apertamente attaccato la Merkel per indebita ingerenza negli affari interni turchi. Cose mai viste.
Anche perché il presidente turco Erdoğan non si tiene affatto fuori ‘istituzionalmente’ dalla mischia, ma ha accusato in prima persona Yücel, definito ‘spia tedesca’, e il governo della cancelliera Merkel, reo a suo dire di ‘praticare il nazismo’ e di aver ‘nascosto’ in ambasciata il ricercato.
Quanto questi toni fossero, come ormai costume di Erdoğan, da leggersi in chiave elettorale, è piuttosto evidente. In vista del referendum, è sembrata infatti chiara la volontà di saldare attorno al nazionalismo bellicoso l’elettorato dell’Akp.
Resta, però, la sensazione che l’Europa si sia persa la Turchia. Erdoğan, da molti accusato di aver generato in vitro lo spettro golpista, per rendere ancora più efficace la stretta sul controllo del Paese, mette le istituzioni Ue di fronte alle sue drammatiche contraddizioni.
Con Yücel sono 155 i giornalisti in carcere. L’attacco senza precedenti al partito Hdp, capace di superare la soglia di sbarramento del 10 percento alle elezioni politiche del giugno 2015, partito d’opposizione legato a uno schieramento trasversale che parte dall’identità curda fino a elementi della sinistra e dell’ambientalismo, ha portato ad arresti e condanne di parlamentari, compresi i leader del partito, Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ.
Come può l’Ue, per continuare ad avere un senso, voltarsi dall’altra parte di fronte a un membro della Nato che, da tempo, ha perso il senso della misura nella repressione del dissenso?
Al di là delle legittime inchieste (e processi) sul golpe, la persecuzione di ormai oltre 40mila persone detenute in attesa di un processo, grazie alla legge d’emergenza, oltre 90mila dipendenti pubblici di tutti i settori epurati, decine di organizzazioni non governative chiuse, giornali e giornalisti nel mirino, per non parlare delle letali operazioni militari nel Kurdistan turco, dove vige ancora il coprifuoco 24 su 24, sono il segno che la misura è colma.
Eppure il 18 marzo prossimo si è celebrato il primo compleanno dell’accordo Ue – Turchia sui migranti.
“L’accordo tra Unione europea e Turchia è stato un disastro per le migliaia di persone abbandonate a sé stesse in un limbo pericoloso, disperato e apparentemente senza fine sulle isole greche”, ha dichiarato Gauri van Gulik, vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa. “È del tutto ipocrita che i leader europei descrivano l’accordo come un successo, mentre chiudono gli occhi di fronte al costo, insopportabilmente alto, pagato da chi ne sta subendo le conseguenze”, ha sottolineato van Gulik.
Un accordo che ai cittadini Ue costa caro, essendo di circa 6 miliardi di euro il conto salato dell’esternalizzazione dei rifugiati. Quelli che non vengono parcheggiati in Grecia, ricattabile e fragile, sono respinti in Turchia, dove in questo momento parlare di diritti umani è materia esplosiva.
Erdoğan è consapevole che questo è il tallone di Achille dell’Ue e, forte anche dei continui ritardi nel processo di integrazione europeo, oramai si muove libero da qualsiasi limite degli equilibri internazionali. Alla latitanza politica dell’Ue, si aggiunge quella degli Usa, almeno per la gestione Obama.
Il coinvolgimento della Turchia nei conflitti in Iraq e Siria, dopo il fallito tentativo di egemonizzare le rivolte arabe del 2011, è senza freni. Il riavvicinamento alla Russia, dopo la crisi del jet militare di Mosca abbattuto dai turchi, è anche da leggere come un accordo con l’unico attore internazionale che viene percepito ad Ankara come pericoloso.
La sorte dei processati è argomento scottante, ma non può esimere Ue e Usa da prendere posizione rispetto a quello che per anni è stato un alleato prezioso, ma che sta perdendo il controllo di una situazione che lascia un precedente molto pericoloso. Da domani, peraltro, con un Presidente diventato sultano, trovare un filo di dialogo franco e alla pari diventa persino più importante: e, però, terribilmente più difficile.
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