Geopolitica

Elezioni UK, i LibDem occupano uno spazio politico inesistente

21 Maggio 2017

La Brexit continua ad essere il punto principale della campagna elettorale dei LibDem. Da alcuni giorni infatti hanno annunciato che, in caso di vittoria, chiederanno l’approvazione tramite referendum degli accordi finali con l’Unione Europea.

Già in passato del resto i liberal democratici avevano insistito sul carattere consultivo del referendum, che avrebbe potuto permettere – ça va sans dire – di ignorarne l’esito, e oggi sembrano voler puntare sull’elettorato per scongiurare gli effetti di una temuta hard Brexit.

Quello che rimane taciuto, però, è che, il Trattato di Lisbona prevede due anni di negoziati per definire l’uscita dall’Unione Europea; al termine di questi, il Parlamento Britannico, il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo dovranno votare l’accordo finale per rendere effettiva la Brexit.

In caso di ritardi, come quello dovuto per esempio a un mancato voto favorevole da parte di Westminster, solo la UE potrà decidere se concedere una proroga ai negoziati.

Cosa succederebbe, quindi, se il referendum post-negoziati dovesse rigettare l’accordo? L’Unione Europea si troverebbe in quel caso in una situazione di potere non indifferente, dato che, decorsi i due anni, l’uscita del Regno Unito sarebbe effettiva anche senza un accordo finale. Anche qualora l’accordo mirasse a realizzare una soft Brexit, dunque, il suo respingimento aprirebbe la strada ad una del tipo più hard possibile, tanto più perchè risulta difficile aspettarsi comprensione dall’UE, se dopo due anni di negoziati si finisce con uno “scusate, signori, abbiamo scherzato: non se ne fa nulla”.

Ma è davvero politicamente opportuno sottoporre l’accordo ad un referendum? Non vi è piuttosto il rischio di un altro voto di pancia?

A ben vedere, sembra che negli ultimi mesi i LibDem abbiano deciso di occupare uno spazio politico inesistente. Prima, rifiutandosi di realizzare come la Brexit sia ormai realtà; ora, inseguendo l’idea che essa possa essere arginabile sfruttando elettoralmente il fronte del remain senza offrire vere prospettive di governo.

Difficilmente questa strategia porterà i risultati sperati: in primis perché il voto va riconosciuto e va preso atto che il fronte del remain è uscito sconfitto dalle urne perché minoritario nel paese (Tories e Labour lo hanno fatto subito, e ora cercano di accreditarsi di fronte alla nazione come i più idonei a gestire questa fase complessa); in secondo luogo perché il ricorso ossessivo al referendum manifesta la mancanza di un concreto progetto politico e rivela un’incomprensione di fondo dell’elettorato britannico (non a caso i LibDem scendono nei sondaggi delle ultime settimane).

Sarebbe decisamente più opportuno se, per lavorare ad una soft Brexit, i liberali decidessero, qualora possibile, di entrare nel prossimo governo e di influenzare così i negoziati, scegliendo il primato della direzione politica sul rifiuto adolescenziale verso scenari non graditi e sull’ubriacatura referendaria.

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