Geopolitica

Dovendo proprio scegliere tra Arabia Saudita e Iran

30 Marzo 2015

Mercoledì l’Arabia Saudita ha iniziato a bombardare lo Yemen e ha mobilitato 150,000 soldati per invadere il paese. Più che un’operazione realmente interessata al controllo dello Yemen sembra una mossa disperata per provocare l’Iran a un passo dalla firma degli accordi di Losanna. Con ogni probabilità, l’Iran sarà sufficientemente accorto da non fare nulla, sacrificare i suoi sacrificabili alleati dello Yemen, e incassare l’accordo sul nucleare.

In ogni caso, la guerra ha tutta l’aria di essere solo rinviata, anche perché eventuali accordi sul nucleare iraniano potrebbero dare ai sauditi l’impressione di essere abbandonati dagli Stati Uniti rendendoli ancora più nervosi. Quindi, visto che difficilmente la si potrà evitare, vale forse la pena di chiedersi che guerra sia e in che misura ci riguardi. Infatti, se a un certo punto ci sarà la guerra, tra i due combattenti toccherà alla fine scegliere, per quanto indirettamente. Tutto questo sapendo che una decisione dell’Unione Europea è influente solo fino a un certo punto, sempre ammesso che si riesca a decidere tutti allo stesso modo.

Il conflitto tra Arabia Saudita e Iran viene solitamente descritto come uno scontro tra sciiti e sunniti, una faccenda tutta religiosa – e quindi incomprensibile per chi non sia esperto di teologia islamica – una specie di guerra dei trent’anni mediorientale. C’è del vero, ma proprio come la guerra dei trent’anni, questo è anche uno scontro tra potenze e, soprattutto in questo caso, uno scontro tra modelli di economia e di stato, entrambi piuttosto poco attraenti, ma certamente non uguali, e tra cui occorre provare a riconoscere il meno peggio.

L’Arabia Saudita (come peraltro tutti gli staterelli suoi satelliti) funziona come una ridottissima aristocrazia di rentiers (sostanzialmente una sola, estesissima famiglia, quella dei Saud – peraltro l’Arabia Saudita è l’unico paese al mondo che si chiama con il cognome di chi la governa) che distribuisce elemosine al resto dei cittadini arabi garantendosene così il consenso. A far funzionare il paese ci pensano una classe di tecnici stranieri prevalentemente anglosassoni mantenuti in una condizione simile a quella degli ebrei dell’Europa medievale (indesiderati ma necessari) e un ampio esercito di schiavi originari del subcontinente indiano. L’Arabia Saudita non ha il parlamento – nemmeno l’edificio. Per conto di questa gente gli Stati Uniti e i suoi alleati, tra cui  una volta e mezza l’Italia, hanno combattuto due guerre negli ultimi 25 anni.

L’Iran ha il sistema istituzionale più complicato del mondo, ma grossomodo è assimilabile a una dittatura della Corte Costituzionale. Il parlamento vota, ma solo su un ambito limitato di questioni valutate in precedenza da una specie di Corte Costituzionale fatta a metà di preti sciiti scelti da un prete-capo a sua volta eletto da un consiglio a sua volta eletto a suffragio universale – ma comunque a partire da candidati a loro volta in qualche modo pre-scelti. Insomma, in Iran in qualche modo si vota; è per questo motivo che sui giornali a volte si  dice che in Iran ci sono state elezioni e hanno vinto i “moderati” o i “conservatori” ed è anche per questo che qualche anno fa ci sono state quelle gigantesche proteste per presunti brogli, inconveniente odioso, ma possibile solo laddove si voti. Il sistema quindi sembra passibile di evoluzione (ovviamente se ci accontentiamo di poco). Soprattutto, l’Iran è troppo grande (circa 80 milioni di abitanti) e ha troppo poco petrolio in relazione alla sua dimensione per essere solamente un rentier state e quindi ha una sua economia, non certo florida, anzi, ma che in qualche modo sopravvive anche senza particolare supporto da parte del resto del mondo (contro l’Iran, in un modo o nell’altro e più o meno rispettate, ci sono infatti sanzioni internazionali a partire dagli anni 80). Il che significa che in Iran, al netto delle diseguaglianze che caratterizzano tutti i paesi del Medio Oriente, non esiste una distinzione di classe e una concentrazione della ricchezza simile a quella degli stati arabi del Golfo (o almeno questa concentrazione della ricchezza e del potere non è un’ideologia, un modello da esportare).

Altra cosa: in qualche modo entrambi i paesi alimentano movimenti terroristici genericamente anti-occidentali, con questa differenza però, che noi siamo ufficialmente nemici dell’Iran (quindi magari se ridiventiamo amici loro possono anche smettere), mentre l’Arabia Saudita è ufficialmente nostra alleata, e quindi c’è anche una certa “maleducazione” in questo terrorismo.

Ora, tutto questo potrebbe semplicemente sembrare un po’ esotico e sostanzialmente indifferente, ma il fatto è che mentre l’Iran è occupato a sopravvivere e sostanzialmente si fa i fatti suoi, da un po’ di tempo i sauditi e i loro alleati hanno iniziato a comprarsi grossi pezzi di Europa: immobili, squadre di calcio, compagnie aeree. Allora è forse il caso di chiedersi se queste acquisizioni non implichino l’espansione di un modello sociale – un modello sociale che non possiamo che ritenere detestabile. La domanda in altri termini è: non è che la concentrazione della ricchezza del modello saudita – più che il wahhabismo – è contagiosa? E questo conflitto mediorientale, oltre che una bega tra sciiti e sunniti, non è forse una guerra tra due modi di intendere la concentrazione della ricchezza e la gestione del potere? Detto in altri termini, se l’Arabia Saudita si impone militarmente sull’Iran non si tratta solo di un regime retrivo e brutale che si impone su un altro regime retrivo e brutale (ancorché meno retrivo, per quanto altrettanto brutale), ma anche di un ulteriore passo – questa volta militare – verso una società sempre più ingiusta e sempre più divisa tra ricchi e poveri a livello globale? Non coincidono qui una questione di politica estera mediorientale e una questione di politica interna europea? Non è che la sopravvivenza della classe media europea si gioca anche nel Golfo Persico? E quindi, se assumiamo come principio ispiratore della politica estera europea la possibilità che i figli delle infermiere di un paese della provincia di Bergamo o di Darmstadt possano continuare a mandare i loro figli all’università (la politica estera che avrebbero fatto Adenauer o Fanfani, non Lenin), non è che alla fine il paese comandato dai preti cattivi è meno peggio del regno dei rentiers che non lasciano guidare la macchina alle donne?

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.