Geopolitica

Dove va Israele?

21 Ottobre 2023

Ricordo il mio primo viaggio in Israele, quarant’anni fa. Ero partita dall’Italia per fare la volontaria in un kibbutz, allora era un modo poco costoso per passare una lunga vacanza all’estero: qualche ora di lavoro al giorno in cambio di un letto, cibo gratis, quaranta dollari alla settimana e due pacchetti di sigarette. In kibbutz mi ero divertita, non lo nego, e poi avevo viaggiato in lungo e in largo per Israele. Sugli autobus, a passeggio nelle strade, incontravi ancora uomini e donne con il numero dei campi di concentramento tatuato sul braccio. Era estate, le persone portavano le magliette con le maniche corte e vedevi – con i tuoi occhi! – l’orrore del tatuaggio del numero identificativo, utile per le SS a fare la conta dei morti, oltre che dei vivi.

Sono diventata una supporter di Israele durante quel viaggio: gli ebrei avevano il diritto di vivere in un paese in cui nessuno li potesse minacciare, torturare, rapire, stuprare, tatuare con un numero identificativo. Ed era giusto che gli ebrei si difendessero con un esercito armato fino ai denti, perchè il dolore della deportazione venisse lenito dalla consolazione di vivere in uno stato che ti avrebbe protetto dal rischio di essere nuovamente umiliato dalle morti atroci comminate dai nazisti agli ebrei.

Perché morire con un fucile in mano, ma soprattutto morire mentre ti stai difendendo dal tuo persecutore, è diverso dal morire in una camera a gas dopo essere stata stuprata dalle SS nel postribolo di un campo di concentramento. Si può morire con dignità, in battaglia, come i vichinghi, attesi nel Walhalla se fossero caduti combattendo, mentre puoi morire come un cane, se qualcuno ti spinge dentro una camera a gas dicendo che devi farti una doccia, nudo, con i tuoi bambini spaventati tenuti per mano.

Gli ebrei che fondarono Israele volevano soprattutto potersi difendere. Mi rendo conto che sto semplificando, ma per un lungo periodo, dopo la seconda guerra mondiale, la nascita di Israele è stata giudicata legittima, nel senso di legittimata dall’Olocausto. Nessun popolo aveva mai subito uno sterminio così veloce, ma soprattutto “moderno”, ovvero perpetrato in modo così accuratamente scientifico, dal Zyklon B agli elenchi di ebrei caricati sui treni e diretti verso i campi di sterminio. In quegli anni, anche l’antisemitismo era diventato un tabu, nel senso letterale della parola: nel mondo occidentale, era vietato professarsi antisemiti, perchè tutti sapevamo che i campi di concentramento erano l’orrore partorito dalla menta di un antisemita: Adolf Hitler.

La domanda – molto provocatoria – che mi faccio adesso è proprio questa: siamo sicuri che l’antisemitismo sia ancora un tabu? La mia risposta è no, perché oggi la rappresentazione più diffusa di Israele è quella di una nazione che perseguita i palestinesi. Non voglio entrare nel merito della questione del conflitto arabo-israeliano, ma la narrativa che si è affermata in quest’ultimo periodo della storia ha visto Israele entrare nel campo dei persecutori. E’ molto difficile capire come sia stato possibile questo passaggio, ma bisogna riconoscere che sono stati commessi molti errori sia da Israele che dalla controparte palestinese. Gli unici uomini di pace, che avrebbero raggiunto un accordo, sono stati uccisi: Rabin e Arafat. Il primo da un estremista israeliano e il secondo (quasi certamente) avvelenato dall’ala più estremista dei palestinesi.

Israele è stata accusata di aver instaurato un regime di apartheid con i palestinesi, ma gli stessi palestinesi, quando hanno scelto Hamas nelle elezioni a Gaza nel 2007, hanno fatto una scelta radicale ed estrema, non certo a favore di un rapporto di pacificazione con Israele. Il risultato è che oggi c’è una sottile linea rossa tra dichiararsi pro-Palestina ed essere quindi contro Israele e, in ultima analisi, contro l’idea che gli ebrei possano essere dei muscolosi ragazzi armati che stanno per farsi ammazzare a Gaza, pur di difendere la loro terra dalle razzie di Hamas. Oggi sono in molti a credere che un ebreo armato non possa e non debba esistere, perchè l’unica possibilità concessa a un capro espiatorio è quella di subire, subire senza reagire, altrimenti sovverte l’ordine dei rapporti tra vittime e persecutori, in cui si onora la vittima fino a quando non si ribella al suo destino di perseguitato.

Per Hamas, invece, si usa una metrica diversa: ai palestinesi viene riconosciuto il diritto di “vendicare” le persecuzioni subite. Ed ecco che nelle piazze compaiono cartelli a favore di Hamas, dopo che l’organizzazione terrorista ha realizzato un’incursione in Israele per uccidere uomini e donne disarmati nello stesso modo vile usato dai nazisti nei campi di concentramento. Sarebbe stata diversa un’azione di Hamas contro l’esercito israeliano, ovvero contro uomini armati, mentre invece sono stati colpiti uomini, donne, bambini che non potevano difendersi, che non si aspettavano di essere macellati, rapiti, stuprati.

Dall’altra parte, si mette in dubbio il diritto di Israele di difendersi dai suoi nemici, rappresentando gli israeliani come “uguali” ai terroristi di Hamas. Ma gli israeliani non stanno bombardando i civili per “vendicarsi” di quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre: cercano di colpire le rampe di lancio dei missili che ancora partono da Gaza contro Israele, e che sono nascoste in mezzo ai civili. Israele ha l’abitudine di avvisare prima di bombardare: “Andatevene, stiamo per lanciare una bomba contro le postazioni di Hamas”.

Oggi però nessuno sa quali siano i piani di Israele, che ha tolto acqua ed elettricità a Gaza, e sta costringendo un milione di persone a migrare verso Sud. Sappiamo che i soldati israeliani non sgozzano le donne palestinesi, non le violentano, non danno fuoco alle case con dentro i bambini, non mozzano la testa ai neonati, e quindi non risponderanno ad Hamas usando le sue stesse armi. E se dentro Israele infuria la polemica contro il primo ministro Netanyahu, accusato da Noh Harari, su Haaretz: “Israelis Need More Than a Vague Demand to ‘Destroy Hamas’”di non svelare quali sono i suoi piani per il futuro del rapporto tra palestinesi e israeliani, a Gaza invece non si può discutere di nulla, perchè se no finisci in galera.

Grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente.

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