Geopolitica

Diario catalano, nella piazza che chiede l’indipendenza – #Day4

2 Ottobre 2017

Day4 – o delle premesse che alla fine sono anche il centro della questione.

Raccontare una giornata come quella di ieri per certi versi è semplice e per altri è impossibile.
In questi giorni ho cercato di restituire sensazioni, clima e atmosfera da un punto di vista del tutto personale, raccontando quello che vedevo e quello che percepivo al di là della vista, cercando di evitare per quanto possibile di esprimere giudizi che sarebbero stati per forza superficiali e probabilmente poco interessanti. Anche perché sinceramente non sono riuscito – nemmeno ne avevo la pretesa –, a farmi un’idea precisa e circostanziata sulla questione dell’indipendenza catalana.

Non ne so abbastanza per analizzare le ragioni degli uni o degli altri e pontificare in merito.
Per cui, mi sono limitato a raccontare quello che ho osservato e vissuto. Se però dovessi raccontare solo questo, di ieri dovrei raccontare di una festa e ieri una festa non c’è stata. O perlomeno non solo. Quello che so per certo però è che non esiste ragione che possa contrapporre alla richiesta pacifica di esprimersi attraverso un voto, per quanto sicuramente illegittima rispetto alle leggi vigenti, una manganellata in faccia, proiettili di gomma, o un calcio in pancia a donne, ragazzini, persone anziane.

Non c’è.

E se devo limitarmi – e so che è una visione anch’essa superficiale – a quello che ho visto in questi giorni in quel seggio al centro del Raval, quello che è successo, lontano dai nostri occhi ma ben presente sugli schermi dei nostri smartphone, è ancora più difficile da comprendere.

Ieri ci siamo presentati prima dell’alba in Carrer de Sant Pau, sotto una pioggia urticante, con l’idea che probabilmente i Mossos sarebbero intervenuti per impedire l’apertura delle operazioni di voto.

 

Si vociferava che alle 6.00 sarebbero iniziate le operazioni di sgombero e volevamo esserci. Come noi, uno schieramento imponente di giornalisti, ammassati sotto gli ombrelloni di un locale di fronte alla scuola Collaso i Gil.
Dentro il cancello chiuso, un centinaio di persone, per lo più quelli che avevamo conosciuto il giorno prima, intonavano un canto malinconico in Catalano e il risultato di quel quadro di insieme era piuttosto emozionante.

L’entusiasmo e le emozioni sono esplose realmente 2 ore dopo. Fuori dal seggio la folla è aumentata, dentro le persone si sono disposte su due file, lasciando lo spazio per fare passare due ragazze che, non so sa da dove siano spuntate, trasportavano sopra un piccolo carrello le urne che avrebbero garantito il voto. L’urlo “Votarém” ha coperto qualsiasi altra parola e il fragore dell’applauso spontaneo che lo aveva preceduto.

Alle 09.00 in punto i cancelli aperti hanno consentito alle persone di mettersi in coda per votare e ai giornalisti di tutta Europa di confezionare i servizi “sul campo”

Da quel momento in poi posso riassumere l’intera giornata con una sola e semplice parola: attesa.

Una grande, intensa, festosa, nervosa, preoccupata attesa collettiva.

Hanno atteso le persone in coda, pazientemente e dignitosamente, il proprio turno per votare.
Hanno atteso gli scrutatori le ore 20.00 per chiudere il seggio e iniziare le operazioni di conteggio.
Hanno atteso i giornalisti, bloccati lì, di capire se sarebbe successo qualcosa, se fosse il caso di spostarsi o rimanere perché probabilmente era solo una questione di tempo.

E hanno atteso loro, quei cittadini che avevano deciso di dormire dentro la scuola per essere sicuri di permettere alle persone di votare, hanno atteso che arrivasse la Polizia nazionale per sgomberarli. Sapevano che sarebbero arrivati. Tutti hanno visto i filmati che arrivavano dagli altri seggi. In un paio di momenti durante la giornata quando sembrava imminente l’azione dei poliziotti, si sono messi tutti davanti al cancello, tenendosi le braccia l’un l’altro, con le facce di quelli che non avevano paura, al grido di “no pasaràn!, no pasàran!”

Con queste facce qui.

E abbiamo atteso noi. Per tutta la giornata, con l’idea di documentare tutto, di testimoniare, di raccontare.

Invece alla fine non è arrivato nessuno. Le operazioni di voto si sono concluse e quell’aria tesa e dura che si respirava si è lentamente trasformata in una composta soddisfazione prima e in un entusiasmo commosso alla fine, fatto di abbracci, danze e sorrisi composti.

“Siete ancora qui?” ci ha detto una signora che avevamo incontrato circa 14 ore prima all’apertura del seggio. “Bravi, io però vado a casa adesso. Sono sfinita”

Ecco. Alla fine di questa giornata, di questo 1 ottobre di cui sicuramente si parlerà a lungo, le persone che abbiamo visto, più che altro, erano sfinite.
E noi con loro, con più dubbi e meno risposte di quattro giorni fa

Anche se una risposta l’abbiamo avuta: quello che alla fine è risultato tristemente evidente, l’essenziale visibilissimo agli occhi, è il totale, fragoroso, immenso fallimento della politica, l’inadeguatezza di una classe dirigente incapace di affrontare le questioni per quanto gli competano e che, da una parte lascia ai cittadini, dignitosi, fieri ma inermi e impreparati il fardello di compiere atti di rottura a loro modo eversivi, di sopportare il peso di questioni più grandi di loro, di rappresentare le contraddizioni e le divisioni delle società di oggi e la frattura che ne consegue e dall’altra parte lascia al braccio armato di manganelli dei poliziotti senza nessuna guida e controllo, il compito di affrontare e ricomporre queste fratture, utilizzando una indegna repressione violenta nei confronti di quegli stessi cittadini.

In questo mi sono sentito molto vicino a quei cittadini a cui, prima di andarmene ho augurato buona fortuna, bona sort.

Ne hanno, ne abbiamo davvero bisogno.

 

 

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