Geopolitica

Cronaca di un esperpento annunciato

30 Ottobre 2017

Vi è una parola in spagnolo che è intraducibile in italiano e che definisce alla perfezione l’attuale crisi istituzionale tra lo Stato centrale spagnolo e la Generalitat della Catalogna: esperpento. Questa parola è stata coniata intorno agli anni ‘20 del secolo scorso dallo scrittore Ramón María del Valle-Inclán e, secondo il Diccionario de la Real Academia Española, indica «persona, cosa o situación grotesca o estrafalaria». Ovvero: persona, cosa o situazione grottesca o eccentrica.

Il 10 ottobre scorso, l’ormai ex President Puigdemont ha dichiarato, in una plenaria del Parlamento catalano, che prendeva atto del mandato popolare risultante dal referendum illegale dell’1 di ottobre, ma ne sospendeva gli effetti in attesa di avviare un dialogo con il Governo spagnolo. La prima domanda che tutti si sono fatti è stata: ha dichiarato Puigdemont l’indipendenza? È questo infatti il quesito (il requirimiento) che il Governo presieduto da Mariano Rajoy ha successivamente posto allo stesso Puigdemont, come atto anticamera dell’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione Spagnola.

La risposta di Puigdemont è arrivata lunedì 16 ottobre, ripetendo, in maniera più sintetica, i contenuti del suo discorso parlamentare e richiedendo una finestra di dialogo di due mesi. Rimanendo probabilmente interdetto, ma non sorpreso, il Governo spagnolo ha quindi chiesto a Puigdemont di dare una risposta meno criptica, questa volta entro il giovedì della stessa settimana. Nella stessa giornata del 16 ottobre, la Audiencia Nacional (AN) aveva preso una decisione in merito alle misure preventive riguardanti José Luis Trapero, Jordi Cuixart e Jordi Sánchez (rispettivamente capo della polizia regionale, presidente di Òmnium Cultural e presidente di ANC, le due principali associazioni civili indipendentiste), accusati di sedizione. Se al maggiore Trapero è stata concessa la libertà condizionata (con ritiro del passaporto e obbligo di firma quindicinale), per Cuixart e Sánchez si sono aperte le porte del carcere preventivo. Una misura forse ingiusta ed eccessiva, ma che non trasforma i leader delle due associazioni in prigionieri politici o vittime di repressione, come ben sottolineano dall’Associazione Catalana degli Ex Prigionieri Politici del Franchismo. Il vittimismo che ha seguito la decisione del giudice in merito al carcere preventivo è, a sua volta, esperpentico: si converrà che “fare” la rivoluzione comporta dei rischi. E delle responsabilità anche penali.

Se questo non bastasse, il 18 di ottobre il Presidente del Governo centrale ha dichiarato che se Puigdemont avesse indetto nuove elezioni regionali, non avrebbe applicato l’articolo 155 della Costituzione. Uno spiraglio che poteva lasciare intravedere una certa volontà di distendere la tensione senza arrivare all’uso della forza costituzionale.

Tuttavia, il 19 ottobre, in una lettera a Rajoy, il President ribadisce quanto già affermato qualche giorno prima. Da Madrid la controreplica è stata quella che tutti si aspettavano: la convocazione di un Consiglio dei Ministri (CdM) per il 21, sabato, con l’obiettivo di iniziare la procedura che portasse all’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione spagnola.

Le 48 ore tra la scadenza della seconda deadline data dal Governo centrale e il CdM non devono passare inosservate: il 20 ottobre, venerdì, mentre a Bruxelles Rajoy raccoglieva l’appoggio di tutti i partner europei, a Oviedo si celebrava la consegna dei Premi Princesa de Asturias. In quest’occasione è stata premiata dalla Fundación Princesa de Asturias l’Unione Europea, con il premio alla Concordia, e il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, presente alla cerimonia, ha ribadito il fermo appoggio della UE al Governo centrale spagnolo.

Il 21 ottobre, quindi, il CdM spagnolo ha elaborato le misure da attuare in Catalogna con l’applicazione dell’articolo 155, che avrebbe poi proposto il 27 ottobre al Senato per la loro applicazione. Si tratta di misure molto dure, che vanno dalla destituzione di Puigdemont e dei suoi assessori, le cui competenze vengono commissariate dai ministeri competenti, fino all’interdizione del Parlamento in alcune sue prerogative, come quella di convocare una sessione plenaria per l’elezione di un nuovo President della Generalitat. Per la loro approvazione in Senato, Rajoy si era gièa assicurato una maggioranza allargata a Ciudadanos e PSOE, contando sui due terzi circa dell’Assemblea. Un consenso, quindi, ampiamente rappresentativo.

L’ultima settimana di ottobre si è conclusa con un’esplosione esperpentica. Forse non consapevoli fino in fondo delle conseguenze delle loro azioni, Puigdemont e tutto il fronte indipendentista ha iniziato un agonizzante tira e molla, una serie di mosse e contromosse contraddittorie che hanno evidenziato la totale improvvisazione del loro procedere. In un primo momento, l’ex President si era detto disponibile ad andare personalmente in Senato per illustrare di fronte alla Camera Alta le obiezioni all’applicazione dell’articolo 155 (istituzionalmente e formalmente sarebbe stato un gesto corretto); in un secondo momento queste obiezioni sono state mandate per fax, mentre il Parlamento catalano aveva convocato per il 26 ottobre una sessione plenaria che si sarebbe spezzata tra la sera di quel giovedì e la giornata del venerdì 27, sovrapponendosi così alla plenaria del Senato spagnolo.

Tutti ci si chiedeva: cosa si sarebbe discusso nel Parlament? Questo interrogativo ha occupato la giornata del 26 ottobre a partire da quando iniziarono a circolare voci a proposito di un possibile scioglimento del Parlament da parte di Pugidemont e la conseguente convocazione di elezioni regionali anticipate. La presidenza della Generalitat aveva, infatti, convocato una conferenza stampa per le 13:30, poi rimandata alle 14:30 e infine annullata. Di fatto, Puigdemont parlò solo intorno alle 17 prima di recarsi alla plenaria del Parlament, dal Palazzo della Generalitat. Qui l’ex President esclude la via elettorale perché Madrid non avrebbe dato le necessarie garanzie rispetto a una successiva sospensione dell’applicazione del 155. Poco dopo, nel Parlamento catalano, i gruppi di maggioranza e opposizione avrebbero discusso l’applicazione dell’articolo 155 e rimandato al giorno dopo la votazione delle tre risoluzioni proposte dal Govern che avrebbero dovuto sancire la nascita della Repubblica Catalana. Da notare che, in tutta la seduta, Puigdemont non si è mosso dal suo scranno e non ha detto una parola.

Veniamo, quindi, al culmine di questo esperpento. Nella giornata di venerdì 27 ottobre al momento della votazione le forze d’opposizione abbandonano l’aula in segno di protesta. Quindi, un Parlament a questo punto per metà vuoto, vota con votazione segreta per non incorrere in sanzioni penali il distacco dalla Spagna. Improvvisamente, dopo la votazione che, come da regia, ha visto vincere il sì all’indipendenza, l’emiciclo semi deserto e i deputati di maggioranza relativa impettiti che cantano Els Segadors stridono con il significato della parola democrazia. In molte dittature, infatti, il Parlamento esiste, ma a votare leggi e proposte è un solo partito. Qui erano rimasti per votare solo tre gruppi, di cui due appoggiavano il Governo. La gran parte dell’opposizione era, come detto, uscita dall’aula, meno Catalunya sì que es pot, che ha deciso di restare e votare NO.

Poche ore dopo, un Rajoy teso annunciava quindi, come previsto, le misure votate dal Senato con una maggioranza molto ampia: destituzione di Presidente e suo vice, destituzione di tutti gli assessori, destituzione del capo della polizia regionale, i Mossos d’Escuadra. Infine, ha pronunciato la frase che ha fatto scendere il gelo nella sala stampa della Mocloa: “Ho sciolto il Parlamento catalano e il 21 dicembre ci saranno nuove elezioni regionali”. Questo è l’asso nella manica, in molti dicono voluto dal PSOE, dello Stato centrale: restituire la parola ai catalani attraverso urne vere e dare credito alla promessa che l’autogoverno non sarebbe stato sospeso.

Il colpo di coda di questo ingarbugliato esperpento, sabato mattina: un Puigdemont destituito che, in un video registrato a Girona e ritrasmesso dalla televisione pubblica catalana, si rivolge alla cittadinanza catalana esortandola a perseguire un ideale di “libertà” e civismo in maniera pacifica.

Non mi ero mai trovato ad essere testimone di un percorso politico tanto breve e tanto labirintico allo stesso tempo. Mai nella mia seppur breve esperienza di ispanista avevo avuto la sensazione tanto netta di essere nel bel mezzo di un esperpento, di una situazione grottesca. Le parole di sabato di Puigdemont, inoltre, sono di questo esperpento un perfetto (e drammatico) finale. Danno l’idea di essere un ultimo afflato di vittimismo, un disperato tentativo di un uomo che appare politicamente finito di rimanere ancora aggrappato alla sua Catalogna immaginaria.

 

Foto di copertina: wikipedia.org

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