Geopolitica

Crisi Ucraina: il ruolo di Russia e Stati Uniti sullo scacchiere del mondo

31 Gennaio 2022

Che le sorti dell’Ucraina siano state segnate già a partire dalla sua fondazione, ponendola in una posizione di sospensione perenne tra le persecuzioni della Russia e gli slanci iperprotettivi degli USA, è un concetto che abbiamo imparato molto bene ed al quale, in qualche modo, ci siamo persino abituati (purtroppo). Una terra confinata che non può, né, tantomeno, deve diventare di nessuno, in nome dei fitti ed impenetrabili, fino in fondo, grovigli strategici.

Risulta quindi imprescindibile compiere un salto nel passato e precisamente ai primissimi anni Novanta, quando l’Urss si sgretolò letteralmente. In tale circostanza, fu proprio l’Ucraina ad “espatriare” dalle dipendenze della Madrepatria. Un evento, questo, che la stessa Casa Bianca seguì in trepidante preoccupazione. Certamente la dichiarazione d’indipendenza  dell’Ucraina, dalla Russia, si impresse come uno degli accadimenti più significativi sull’assetto geopolitico dell’intero Novecento. Risale proprio a quel rivoluzionario quanto inaspettato ricorso storico, l’esordio delle tensioni generatesi tra Russia e Polo occidentale. Parliamo di un Paese, l’Ucraina, che conta una popolazione pari a quasi 45 milioni, e che si sviluppa su di una superficie assai estesa, che ha incarnato da sempre l’emblema della contesa che, a fasi alterne, sembra far riecheggiare sussurri di guerra, simili a quelli da cui originarono gli scenari della Guerra Fredda. L’enigma che molti analisti internazionali si sono più volte riproposti di sviscerare in maniera definitiva, non sempre riuscendoci per una una serie di variabili che mutano continuamente, riguarda indubbiamente la capacità che la stessa Ucraina, possiede, di rifornire a livello energetico diversi paesi europei, tra cui anche l’Italia e la Germania.

Dunque, strategicamente assai importante sia per le mire espansionistiche della Russia, quanto per il desiderio degli USA di coinvolgerla tra i paesi membri della Nato.

Fu Michail Gorbačëv, a raggiungere un accordo con il presidente americano George Bush Senior, che prevedeva in cambio della riunificazione della Germania, quindi post- caduta del muro di Berlino nel 1989, e del contestuale ritiro dei soldati russi, la promessa (mai scritta) che i paesi costituenti la Nato non avrebbero mai messo piede in Polonia, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia e Romania, e nemmeno nelle repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Un tipo di patto, questo, che non ha mai trovato conferma da parte delle fonti americane e che venne superato completamente alla fine del 1991, quando l’Ucraina divenne indipendente all’esito del referendum. Tutto ciò coincise anche con lo sciogliersi del Patto di Varsavia. L’alba della Unione Europea nel 1993, e le rispettive richieste di adesione di molti paesi dell’ Est, tra cui l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, presupposero che vi fosse una preventiva inclusione nella Nato di chi diveniva stato delle comunità europea,  mentre Bill Clinton ed il suo entourage, crearono il “Parentariato per la Pace” che eludeva tutti gli stringenti divieti posti dalla Russia. Tale tipo di protocollo venne e viene ripetuto in maniera puntuale anche per Albania, Montenegro e Macedonia, per esempio, zone geografiche cardine degli equilibri balcanici.

Durante l’era Eltsin, la Russia reduce dalla disfatta di una Unione Sovietica in frantumi, sembrò focalizzarsi essenzialmente sull’approvvigionamento di denaro, attraverso la realizzazione delle linee del gasdotto Nord Stream, per far convogliare il gas in Europa, aggirando sia la Polonia, sia l’Ucraina che gli stati del mar Baltico.

Una sorta di accondiscendenza commerciale che lasciò prendere spazio all’Occidente, prima dell’avvento di Vladimir Putin che ha puntato tutto sull’affermazione della potenza di Mosca a qualsiasi costo.

La radice parossisticamente nazionalista dell’ex colonnello del KGB, lancia incessantemente allusioni circa una possibile riannessione della Ucraina alla Madrepatria, affermando che insieme alla Bielorussia, dovrebbero far ritorno alle proprie origini, formando un unicum inscindibile. Le motivazioni che rivestono di così tanta importanza una caccia condotta così pervicacemente, sono da ricollegare al considerevole apporto di materie prime che l’Ucraina destinava direttamente in Russia. Dal latte, ai cereali, al ferro, passando per carbone e manganese, bitume e antracite e per la dislocazione di centrali e testate nucleari, divenute tristemente famose. C’è da dire che, il legame con la Russia, sotto certi aspetti prettamente culturali e linguistici, è rimasto ancora abbastanza profondo ed evidente, influendo notevolmente sul substrato sociale ucraino. Ecco perché, qualora la Nato dovesse accogliere al suo interno l’Ucraina, la Russia si sentirebbe fortemente minacciata nella sua leadership che sposterebbe diversi assetti strategici e politici, troppo alti nel gioco al rialzo di Vladimir Putin.

Agli inizi degli anni Duemila, infatti, la progressiva ribellione contro la Russia, vissutasi a cominciare dalla capitale Kiev, per diffondersi via via su tutto il territorio nazionale, che ha potuto contare anche sull’appoggio occidentale, ha visto Mosca ed il Cremlino, macchiarsi di un colpo basso antidemocratico difficile da cancellare. L’elezione di Viktor Janukovyč, russo, rivelatasi come frutto di raggiro.

Infatti, il suo antagonista Viktor Juščenko fu avvelenato con la diossina, in maniera incomprensibile. Lo stesso Janukovyč, rieletto, di fatto, pose in essere un politica commerciale riguardo i gasdotti ucraini che favoriva di molto le richieste ed i bisogni della Russia, ottemperando in tutto alle prescrizioni provenienti da Mosca.

A quel punto, gli Usa capendo che fosse il momento di forzare la mano, durante il vertice dei paesi Nato (aprile 2008), svoltosi in Romania, premettero molto per includere nel Patto anche Ucraina e Georgia, ma incontrando il veto di Francia, Germania ed Italia, che preferirono procrastinare l’ingresso dei suddetti paesi per evitare il sorgere di tensioni dall’esito imponderabile. Nell’agosto dello stesso anno, proprio in Georgia, scoppiò il primo conflitto d’Europa di questo secolo.

A scatenarlo, la richiesta di autonomia dalla Russia, manifestata dal popolo georgiano. Stesso discorso capitato alla Moldova, che per essere firmataria di un accordo filoeuropeo, subì il blocco totale di tutte le esportazioni verso la Russia.

Il culmine di questa incredibile ossessione di carattere geopolitico, è arrivato nel 2014, quando l’ennesima rivolta popolare a Kiev, costata morti e feriti, è riuscita a spodestare Janukovyč, portando Mosca ad invadere la Crimea, annettendola attraverso un referendum militarmente guidato; la successiva rivendicazione con contestuale autoproclamazione della regione del Donbass e di Lugansk , lungo il confine Est della Russia, ed alla Russia fedele, ha scatenato una durissima guerra civile che versa ancora lacrime e sangue, con oltre 14 mila morti.

Lo spauracchio per Vladimir Putin è rappresentato dalla possibilità che l’Ucraina si accomodi sotto l’ala protettrice della Nato, ragione per cui ha inviato più di 120 mila soldati muniti di mezzi corazzati lungo i cofini del Donbass, e distribuendone oltre 35 mila in Bielorussia, Moldova e Transnistria.

I paesi Nato, quindi, non si lasciano pregare e riforniscono cospicuamente di armi l’Ucraina, per garantirle la necessaria protezione. Di fatto, violando una norma dello stesso patto transatlantico che impone il divieto di esportare armi in paesi extra Nato, senza il placet dello stato produttore.

In Ucraina sono giunti missili anticarro portatili Javelin, che permettono una guida ad infrarossi ed autonoma e i Manpads, missili antiaerei dalla sofisticata potenza. Poi è la stessa Gran Bretagna ad unirsi alle operazioni di rifornimento ucraino, inviando armi meno pesanti, e militari in fase di addestramento. Così anche alcuni paesi del Mar Baltico, il Canada e la Danimarca, Olanda e la Spagna che si appresta a fare il suo.

Mentre, L’Italia, la Francia e la Germania sembrano intenzionate a voler rimanere estranee alla diatriba, per non mettere a repentaglio gli importantissimi equilibri di carattere energetico e commerciale in atto.

I colloqui intrattenuti tra Joe Biden e Vladimir Putin hanno portato ad un vicolo cieco, fatto di osservazione costante reciproca e di un botta e risposta a distanza al vetriolo tra la Casa Bianca ed il Cremlino.

La Russia chiede agli Usa di dichiarare per iscritto che l’Ucraina non entrerà mai a far parte dell’accordo Nato, che non ci saranno mai esercitazioni militari della Nato ai confini con la Russia e che non saranno inviati soldati americani nel Mar Baltico.

Da parte sua, Whashington , sostiene di lasciare piena libertà di scelta al governo ucraino sul tema sicurezza e relative alleanze internazionali, tuonando che laddove si verificasse una eventuale invasione da parte della Russia, le sanzioni previste sarebbero terribili, volte anche ad estromettere il sistema bancario russo da quello internazionale. La situazione sembra così incandescente da lasciare temere il peggio, soprattutto per il martoriato popolo ucraino che continua ad essere dilaniato da una rivolta civile che imperversa su tre regioni, con la parte occidentale che strizza l’occhio e allarga le braccia all’Europa ed agli Usa e la restante parte che si sente ancora sotto il dominio russo. Mentre gli investimenti latitano e i giacimenti per l’estrazione del carbone vengono completamente gestiti da Mosca. Quello che emerge è che la Nato ormai necessiti di una ristrutturazione mirata per ridefinire priorità ed obbiettivi da perseguire, e riacquistare quella credibilità perduta. La tarantella che vede dai tempi della Guerra Fredda le due superpotenze più forti di sempre, reggere traballando lo scacchiere del mondo, continua ad inquietare ed anche a logorare la tenuta sociale della umanità, mentre in tutto questo, qualcuno sta alla finestra a guardare come un gigante che per ora vuol fare solo finta di dormire : la Cina.

 

 

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