Geopolitica
Cosa ci dice il diritto internazionale sull’aggressione russa all’Ucraina
Talvolta gli eventi politici globali, soprattutto quelli più drammatici, ci spingono a interrogarci sul ruolo del diritto internazionale e sulla sua efficacia nel mantenimento della pace e della sicurezza. Le operazioni militari russe in Ucraina appartengono esattamente al novero degli eventi che rimettono in discussione l’autorità delle norme internazionali, minando la fiducia collettiva nei principi fondamentali su cui l’intero sistema poggia. Chi in questi giorni si sta chiedendo se valga la pena appellarsi a norme che vengono così apertamente violate troverà una risposta nelle righe che seguono: non solo il diritto internazionale consente e regola le misure che possono essere adottate in risposta alle sue violazioni, ma è proprio l’esistenza di principi indiscussi che impedisce conseguenze ancora più gravi.
Innanzitutto, l’invasione russa dell’Ucraina costituisce un atto di aggressione, commesso in violazione del divieto di uso della forza sancito dall’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite. È bene ribadirlo perché il Presidente Putin, nel discorso con cui ha annunciato l’invasione, ha provato a fornire una veste giuridica alle operazioni militari appellandosi al diritto di legittima difesa (anch’esso riconosciuto dalla Carta ONU), che costituisce la principale eccezione al divieto di uso della forza. Le argomentazioni offerte dal Presidente russo sono però giuridicamente infondate. Infondato è il riferimento alla necessità di agire oggi per anticipare l’aggressione che il governo ucraino, entrando nella NATO, starebbe “preparando” per attentare in futuro all’esistenza dello Stato russo. Ammesso che ciò sia vero, il diritto internazionale consente l’uso della forza in legittima difesa solo contro un attacco armato in corso o imminente, non contro un potenziale attacco futuro. Inutile è anche il riferimento del Presidente russo alla richiesta di assistenza formulata dalle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Se è vero che il diritto internazionale riconosce anche la legittima difesa collettiva, cioè la possibilità di intervenire in soccorso di un altro Stato vittima di un attacco armato, ciò non può applicarsi alle repubbliche di Donetsk e Lugansk che Stati non sono (a dispetto del prematuro riconoscimento della loro indipendenza operato dalla Russia). Vane sono infine le allusioni del Presidente Putin all’urgenza di soccorrere la popolazione ucraina vittima di genocidio: anche se le atrocità che denuncia fossero reali (ma non hanno trovato finora riscontro), un intervento a fini umanitari sarebbe legale solo se autorizzato dal Consiglio di Sicurezza ONU, autorizzazione in questo caso assente.
L’atto di aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina ha innescato un conflitto armato internazionale tra i due Stati. A tale conflitto si applicano le norme del diritto internazionale umanitario contenute nelle Convenzioni di Ginevra e nel Protocollo Aggiuntivo I, il cui scopo è limitare la violenza a quanto necessario per indebolire il potenziale bellico del nemico, risparmiando coloro che non prendono parte alle ostilità. Da tale scopo derivano principi validi per tutti le parti in conflitto, il più importante dei quali è l’obbligo di distinguere sempre tra popolazione civile e combattenti, dirigendo le operazioni militari soltanto contro i combattenti e gli obiettivi militari e mai contro i civili. A tale principio si accompagnano norme molto dettagliate, come il divieto di usare armi indiscriminate, il divieto di usare violenza contro coloro che sono feriti, sono stati catturati o si sono arresi, l’obbligo di trattare umanamente i prigionieri di guerra rispettando la loro dignità, l’obbligo di soccorrere e curare i feriti e i malati. Se oggi, a differenza del passato, non assistiamo a bombardamenti a tappeto sulle città ucraine e alle uccisioni sommarie di prigionieri nemici russi o ucraini, è proprio perché le norme del diritto internazionale umanitario sono generalmente rispettate.
Ciò non vuol dire che violazioni del diritto dei conflitti armati non avvengano, tutt’altro. Ma anche quando esse hanno luogo, il diritto internazionale prevede meccanismi di reazione. Innanzitutto, tutte le violazioni del diritto internazionale umanitario che costituiscono crimini di guerra possono e anzi devono essere punite. È bene ricordare infatti che, in virtù del principio della cosiddetta “competenza universale”, tutti gli Stati hanno non solo la facoltà ma anche l’obbligo di ricercare e perseguire in giudizio coloro che sono imputati di crimini di guerra, a prescindere dalla nazionalità dell’imputato e dal luogo dove il crimine è stato commesso. In aggiunta, la Corte Penale Internazionale potrà perseguire gli autori di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di genocidio: sebbene né la Russia né l’Ucraina siano Stati Parte della Corte, l’Ucraina ne ha accettato la competenza nel 2015 e per un periodo di tempo indefinito. La Corte Penale Internazionale potrà quindi giudicare anche gli atti commessi a seguito dell’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022, come confermato dal suo Procuratore, sulla base di una sua iniziativa autonoma o su richiesta di uno o più Stati Parte. Proprio quest’ultima possibilità si è verificata il 2 marzo, quando 39 Stati hanno segnalato alla Corte la situazione in Ucraina.”
Inoltre, alla responsabilità penale degli individui si somma la responsabilità statale, che comporta l’obbligo per ogni Stato di cessare le sue condotte illecite e riparare i danni commessi. In virtù di tale obbligo, la Russia deve non solo porre fine all’aggressione ma anche riparare i danni che ne derivano: se non lo farà, esiste la possibilità, benché limitata, di ricorrere a meccanismi internazionali di controllo come la Corte Internazionale di Giustizia. Infatti, l’Ucraina ha adito la Corte Internazionale di Giustizia il 27 febbraio, ritenendo che la Russia abbia manipolato la nozione di genocidio in riferimento alla situazione in Donbass per giustificare il suo atto di aggressione.
Infine, va ribadito che anche gli Stati che non prendono parte al conflitto hanno diritti e obblighi in relazione ad esso. In primo luogo, se vogliono possono (ma non hanno l’obbligo) intervenire al fianco dell’Ucraina usando la forza per respingere l’aggressione, sia esercitando il diritto di legittima difesa collettiva, sia facendo seguito a un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ONU (autorizzazione invero improbabile dato il diritto di veto riconosciuto alla Russia sulle decisioni del Consiglio). In aggiunta alla possibilità di fornire assistenza finanziaria, logistica e militare all’Ucraina, gli Stati possono adottare sanzioni contro la Russia, sia singolarmente che all’interno di organizzazioni regionali come l’Unione Europea. Iniziative possono anche essere assunte tramite l’Assemblea Generale ONU, riunitasi il 28 febbraio in una rara sessione di emergenza. Sessione, che il 2 marzo ha adottato una risoluzione di condanna dell’aggressione russa con 141 voti a favore, 35 astensioni e 5 voti contrari.”Ancora, gli Stati possono intervenire sulla base di trattati esistenti, come la convenzione di Montreux che regola il passaggio delle navi negli stretti dei Dardanelli e del Bosforo e cui la Turchia ha dichiarato di voler dare attuazione limitando il transito di navi da guerra. Quanto agli obblighi derivanti dal conflitto, tutti gli Stati hanno il dovere di non fornire assistenza alla Russia, Stato autore dell’aggressione, e di non riconoscere alcuna delle conseguenze che ne derivano, incluse eventuali modifiche ai confini territoriali dell’Ucraina. Devono anche attuare le misure decise dal Consiglio di Sicurezza e cooperare alle indagini della Corte Penale Internazionale.
In altri termini, l’ordinamento internazionale si presenta tutt’altro che impreparato a reagire alle sue infrazioni. Le condanne all’invasione, il supporto prestato all’Ucraina e l’adozione di severe sanzioni contro la Russia da parte di un gran numero di Stati dimostrano che le azioni militari russe, piuttosto che minare la tenuta dell’ordinamento giuridico internazionale, si stanno rivelando un’occasione per riaffermarne la cogenza delle norme su cui riposa la garanzia della pace e della sicurezza globali.
Andrea de Guttry, Emanuele Sommario, Chiara Tea Antoniazzi, Luca Poltronieri Rossetti, Alessandro Mario Amoroso e Tommaso Totaro
* Il contributo riassume i risultati di un seminario tenuto alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, di cui è disponibile la registrazione qui.
Devi fare login per commentare
Accedi