Geopolitica
La Cina entra nella fase 2: la “post-emergenza” (e la “solidarietà” all’Italia)
La Cina è passata radicalmente alla fase successiva rispetto alla gestione della crisi epidemica che l’ha coinvolta e con la quale ha dovuto convivere concretamente a partire da una data simbolica, come quella del Capodanno Cinese.
Se da un lato i numeri di carattere sanitario parlano di un rallentamento dei contagi (e di un calo delle vittime) e quelli economici di una lenta ripartenza del gigante asiatico, la politica di Xi Jinping è certamente più avanti ed è capace di interpretare una fase nuova e decisamente successiva.
Se il 10 marzo il Presidente cinese ha compiuto la sua visita a Wuhan, che con toni trionfalistici e solenni ha sancito simbolicamente la fine della fase più acuta e devastante della crisi sanitaria [Renmin Ribao – il Quotidiano del Popolo, 11/3/2020], è nei giorni precedenti che Xi si occupato di tutt’altre questioni, ma che in una prospettiva di medio periodo, possono risultare molto più cruciali per la vita della Cina.
Nei primi giorni del mese, infatti, in piena emergenza, ha partecipato a una riunione sulla battaglia contro la povertà, il cui discorso, verrà presto pubblicato e divulgato [Xinhua, 9/3/2020]. Ridurre i livelli di povertà e di diseguaglianza, in particolare nelle aree rurali, è uno dei cardini della politica di Xi Jinping, portato avanti almeno dal 2013 e la cui lotta mirata è stata inserita tra quelle fondamentali dal XIX Congresso del PCC (2017). Se il Comitato Centrale del Partito si è posto l’ambizioso obiettivo nel 2018 di eradicare la povertà assoluta, entro il 2020, nelle aree rurali, è certo che il problema è centrale non solo nelle ambizioni politiche del leader cinese, ma coglie il segno di un necessario superamento di una grande contraddizione della Cina, forse la più evidente. Se il Paese ha conosciuto, in questi decenni, una crescita imponente diventa necessario oggi che i vantaggi possano essere estesi a una fascia più ampia di popolazione. Nell’analisi della dirigenza cinese non sfugge che il paese asiatico deve superare la contraddizione tra l’essere il secondo paese per PIL al mondo e ben più indietro nelle classifiche per PIL pro-capite; così come che se la presenza di milionari la colloca tra le prime cinque posizioni, allo stesso tempo sono decine di milioni gli abitanti che vivono sotto la soglia di povertà.
La Cina si sta ponendo, cioè, il problema che è stato vitale per la prosperità delle democrazie liberali e spiccatamente fulcro delle politiche socialdemocratiche di redistribuzione della ricchezza ed implementazione del welfare. In questo senso è possibile intravvedere un cambio di passo anche nella gestione interna della situazione corona virus. Si è passati dalla fase di cura emergenziale, a quella, ancora tutta da organizzare, ma ufficialmente annunciata di prevenzione.
L’interesse per l’estensione di garanzie sociali rappresenterà un altro passo fondamentale che investirà la visione cinese: lo dicono i numeri, non solo quelli relativi alla popolazione (la più numerosa del mondo), ma soprattutto quelli sull’aspettativa di vita (oggi il paese registra un indicatore ben superiore a qualche decennio fa). Tra l’altro, proprio questo aumento porterà presto il paese asiatico ad “invecchiare” in modo importante nei prossimi decenni.
Se su un versante, la preoccupazione alla lotta alla povertà rappresenta un fattore fondamentale interno, con sullo sfondo l’emergenza mondiale scoppiata a Wuhan, anche sul piano esterno, la stessa sfuma via via dalla sua iniziale narrativa, che la voleva legata (soprattutto nei commenti occidentali) alla sua arretratezza, per passare, con estrema disinvoltura e pragmaticità, ad una narrazione totalmente differente.
In primo luogo, ora che l’epidemia è diventata un fatto globale, stiamo assistendo a una “de-sinizzazione” del fenomeno, cioè ad una progressiva presa di distanza rispetto al fatto che l’epidemia sia un accadimento prettamente ed esclusivamente cinese. Gli avvenimenti, e soprattutto gli scienziati, se saranno in grado di ricostruire la catena di contagio, si incaricheranno di affermare se sia vero o meno quanto circola in questi giorni e cioè che li primo diffusore del contagio sarebbe stato un militare statunitense, presente a Wuhan nel mese di ottobre per partecipare ai Giochi mondiali militari. Certamente resta l’immagine che la Cina vuole proiettare all’esterno: quella di una Paese (e sistema politico) che si è reso capace di vincere la battaglia sul COVID19, rendendosi protagonista di aiuti, umani e materiali, ai Paesi che affrontano ora l’emergenza.
Il comunicato sui media cinesiche riferisce della telefonata intercorsa tra Xi Jinping e il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte è abbastanza emblematico in questo senso. Il presidente cinese non solo assicura l’impegno per “sconfiggere l’epidemia il più presto possibile in modo completo” al proprio interno, ma anche di dare “fiducia ai paesi per prevenire e controllare l’epidemia”. La nuova politica viene, poi, esplicitata nella disponibilità “a concordare di lavorare insieme per contribuire alla cooperazione internazionale per combattere l’epidemia e costruire una ‘via della seta della sanità’”. La Cina cioè persegue e rilancia il proprio intento geopolitico e in questa comunicazione abbandona pure l’espressione con cui di norma si riferisce al progetto di “una cintura, una strada” per assumere quello molto più empatico alla cultura italiana di “via della seta”. Xi fa questo certamente con l’Italia, unico tra i paesi del G7 (oltre che aderente alla NATO) ad aver sottoscritto il Memorandum con la Cina, ma contemporaneamente rivolge disponibilità di collaborazione ad altri Paesi europei (e non) coinvolti dall’emergenza sanitaria.
La pragmaticità si dimostra ancora una volta come un valido elemento per valutare le evoluzioni della Cina e della sua politica, capace di perseguire, come rimane nell’intento politico di Xi, la propria “rinascita”.
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