Beni comuni
Città clone: si prepara un futuro di megalopoli fotocopia a identità zero?
Nel 2050 la Terra avrà nove miliardi di abitanti e 6,4 vivranno nelle città. Otto abitanti su dieci saranno concentrati in megalopoli come Tokyo, San Paolo, Il Cairo o Shangai. Intorno a queste città gravitano già oggi dai 20 ai 50 milioni di abitanti e il 2010 è stato l’anno del sorpasso storico tra città e campagna: per la prima volta nella storia dell’umanità, gli abitanti delle zone urbane hanno superato quelli residenti nelle zone rurali. Oggi stanno cambiando le tecnologie, i beni e i servizi che usiamo tutti i giorni, le nostre metropoli si stanno adeguando ad un mondo in trasformazione e cominciano già ad emergere alcune forti contraddizioni: questi grandi agglomerati hanno già tratti di profonda “somiglianza” che li rendono, ai nostro occhi, tutti stranamente familiari e anonimi allo stesso tempo. Certi quartieri si assomigliano tutti, alcuni fenomeni di nuova urbanizzazione si ripetono secondo regole sempre più comuni.
Quartieri fotocopia a dimensione di consumatore
Questo processo di spersonalizzazione é evidente nei costumi e nelle scelte di consumo dove la globalizzazione dei gusti, degli oggetti, delle tendenze domina le dinamiche psicologiche che determinano il nostro nuovo modo di pensare e di comportarci e, di conseguenza, anche i criteri di inclusione (tra simili) o esclusione (dei “diversi”) nelle comunità. Le città, soprattutto quelle più grandi, sono luoghi di passaggio del movimento globale delle persone e presentano oggi un mix di tratti globali che vanno a mescolarsi ai caratteri locali e tradizionali, creando una continua tensione tra chi dei due cerca di imporsi sull’altro. Uno studio britannico descrive questo processo mostrando come i segni del cambiamento si palesano nelle strade principali delle città che rispondono ormai ad un solo modello: diminuiscono i negozi tradizionali mentre le catene di abbigliamento e i grandi marchi alimentari “colonizzano” i centri storici trasformando i paesaggi urbani, rendendoli tutti somiglianti, quasi fossero cloni l’uno dell’altro. L’espressione “città clonate” è stata usata per la prima volta dalla New Economics Foundation, un centro studi inglese che ha lanciato questo allarme già nel 2005.
L’americanizzazione delle città europee
Un fenomeno in ascesa: mainstreet al posto dei centri storici e quartieri periferici tutt’intorno. L’uniformità negli Stati Uniti è sempre stata considerata un pregio: l’affermazione del modello di vita americano e, cioè, la possibilità di trovare ovunque lo stesso tipo di ristorante o lo stesso supermarket è una garanzia di qualità, nel paradosso di vedere nello standard la qualità. Questo fenomeno nasce dalla necessità profonda di creare l’identità di una nazione giovane, come sono gli USA, con i suoi grandi spazi e il bisogno sentitissimo di una iconografia aggregante. Ma questa tendenza sta invadendo ormai da anni anche l’Europa ed oggi mostra tratti sempre più marcati. All’inizio fu McDonalds. Dopo essersi diffuso capillarmente da Los Angeles fino a New York, ha attraversato l’oceano ed è sbarcato nelle nostre vie. La Gran Bretagna, per i legami storici e linguistici, è il paese dove questo processo è più evidente. Un recente rapporto della stessa fondazione Clone Town Britain afferma che, oggi, il 41% dei centri urbani del Regno Unito sono “città clonate” e un ulteriore 23% sta per diventarlo. Ciò significa che oggi più di due terzi delle città inglesi ha la stessa “high street”, equivalente alla “mainstreet” americana, una via dello shopping dove le vetrine sono pressoché le stesse ovunque.
Un mondo di vie dello shopping
Ma questo processo di clonazione non riguarda, ovviamente, solo l’Inghilterra, ma anche le altre città d’Europa e le grandi capitali del mondo. Anche in Africa iniziano a comparire le stesse catene di abbigliamento e gli stessi megastore e il centro di Atene assomiglia a quello di Roma, quello di Stoccolma a quello di Madrid, quello di Milano a quello di Londra:l’unico denominatore comune sono le insegne commerciali, ovunque le stesse. I dati del rapporto parlano chiaro: tra il 1997 e il 2002, nella sola Gran Bretagna un negozio di prodotti alimentari al giorno ha cessato l’attività sotto la spinta delle nuove catene di grande distribuzione. La media sale a 50 la settimana, per quelli di prodotti specializzati e questo dato è addirittura raddoppiato negli anni a seguire, fino al 2010.
Un rischio per la democrazia
Questo non è solo un problema di ordine economico ma anche un rischio per la democrazia, perché quando avremo una sola catena di edicole o una sola catena di librerie in tutto il paese, queste diventeranno gli arbitri dei giornali e dei libri che leggiamo. Così come i supermercati sono gli arbitri di quello che mangiamo. Il tema diventa ancora più complesso se guardiamo ai processi di inclusione dei nuovi cittadini. In questo caso la domanda da porsi é come sia possibile “mescolare” tutti gli ingredienti provenienti dalle diverse culture con quelli autoctoni, senza che si perdano in un melting pot superficiale e anonimo. Nelle città clone si annulla ogni elemento distintivo. Nel frastuono di fondo, ogni suono diventa impercettibile. Al contrario, è necessario (e urgente) agevolare il processo di costruzione di una società di cittadini attivi, capaci di arricchirsi delle reciproche culture, differenti, responsabili e non solo “consumatori”, ma soprattutto fruitori di servizi e garantiti da eguali diritti.
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